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Puoi arrivare qui dall’Italia o dall’Alto Egitto, non cambia nulla.
Vieni immediatamente identificata come Appena Arrivata, e tutta l’esperienza precedente non ti serve a niente. Si ricomincia daccapo, a cercare di convincere il mondo che non sei un’oca da spennare, sei un’onesta lavoratrice pagata in lire egiziane, manigoldi…
E, intanto, ti sbirci nelle vetrine, alla ricerca degli indizi che permettono a LORO di scoprire che sei appena sbarcata.
Boh.
Sara’ come una patina trasparente, visibile solo ai tassisti…

E ti dai un tono da cairota di lungo corso e sfoderi l’arma delle quattro parole in arabo appena imparate (e ripassate furiosamente in treno, per tutte le tre ore di viaggio). Niente. Il taxista cairota sogghigna e ti risponde in arabo, tu ti arrendi e passi all’inglese e lui: “Ten pounds.”
Te li da’ tua mamma, ten pounds, tu sei matto…

E stasera sono sbottata. “Io, qui, ci lavoro! Il tuo governo mi paga in pounds, non in euro! Ma ti pare giusto che, guadagnando come un’egiziana, io debba pagare le cose il doppio di quanto le pagano gli egiziani??”
Per prima cosa mi ha interrogato, ed io avevo le risposte giuste: “Alsun”. “Gama’a”.
E allora ha scosso la testa: “No, non e’ giusto.”
Five pounds.

Ma aveva l’aria perplessa, quando sono scesa.
Credo temesse di essere stato turlupinato. Lui.

(Comunque sembra un delirio di consumismo, il Cairo, venendo dall’Alto Egitto… compreresti tutto, compreresti: la baguette, le mele luccicanti, tutte ‘ste birre ovunque, e che belli quei chilometri di palline di caramelle, e i vestiti, gli elettrodomestici, l’utile e l’inutile, specialmente quello, e i giornali, tutti, e guarda i pub, i ristoranti, le luci, il traffico… se non sto attenta, laggiu’, va a finire che mi ruralizzo…)