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Apprendo da Mazzetta che, mentre sulle prime pagine dei giornali la cronaca politica si svolge a base di “Coglioni!“, “Vaffanculo!” e altre pensose analisi, il nostro parco-leggi si arricchisce di nuove chicche. Da lui trovate la lista completa – dall’ufficializzazione delle “ronde padane” fino al test linguistico per immigrare in Italia. Qui mi piace sottolineare questa cosina, tra le altre:

Va malissimo ai migranti, con l’introduzione del reato di clandestinità (che non tiene conto del al no della UE), anche se la pena prevista è una incredibile ammenda da cinque a diecimila euro che nessuno pagherà mai. Il carcere per i clandestini era una boutade ed è stato sostituito con un’altra boutade che al massimo intaserà gli uffici giudiziari e costerà mediamente seicentocinquanta euro per ogni clandestino multato.

Ed è che non hanno un gran senso pratico, questi qua, dopotutto. O, almeno, a me non pare granché pratico obbligare pezzi di Stato a sobbarcarsi incombenze improbabili e costosissime che hanno la sola funzione di essere applaudite da quei minorenni cronici dei loro elettori, troppo presi a fare “cippalippa” a chi è preso di mira per chiedersi chi lo paga, il “cippalippa”. Ma sai che lavoro è, mettere in piedi multe inesigibili a migliaia? Ma dai, ma che testa hanno?

Qualcosa di simile pensavo a proposito di Brunetta e del suo decreto, poco fa: arriverà un momento in cui la stessa PA pregherà affinché giunga il momento propizio per toglierle di mezzo, le farraginose cavolate partorite dall’energumeno tascabile. Perché, semplicemente, non è possibile tenere in piedi un sistema di visite fiscali che, se venisse davvero applicato, costerebbe alle tasche dei contribuenti un bel 300 milioni di euro all’anno, e che è oggettivamente e platealmente inutile in caso di assenze brevi, ovvero proprio quelle verso cui è diretta l’offensiva Brunettiana. E cominciano ad accorgersene pure i giornali, grazie al cielo.

E poi so’ curiosa di vederlo ufficialmente riformulato, l’articolo del contratto nazionale di lavoro che a tutt’oggi recita:

Il dipendente assente per malattia, pur in presenza di espressa autorizzazione del medico curante ad uscire, è tenuto a farsi trovare nel domicilio comunicato all’amministrazione, in ciascun giorno, anche se domenicale o festivo, dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 17 alle ore 19.

Dovrà venirne fuori una cosa così, col rinnovo:

Il dipendente assente per malattia, pur in presenza di espressa autorizzazione del medico curante ad uscire, è tenuto a farsi trovare nel domicilio comunicato all’amministrazione, in ciascun giorno, anche se domenicale o festivo, dalla mattina alla sera per un totale di 11 ore al dì.

.Ed io faccio davvero fatica a percepirla come legale, una cosa del genere. Qualcuno dovrà pur intervenire, dico io – la Cassazione, la UE, chennesò – di fronte all’arresto domiciliare, a prescindere dall’opinione del medico, di qualunque libero cittadino che non sia in uno stato di salute tale da potere lavorare.

Non può durare, quindi. Ne sono certa. Non può essere così demente, ‘sto paese.

Ma se invece durasse, mi chiedevo, quali ricadute avrà nel settore privato un simile ridimensionamento del diritto alla salute, della libertà personale, di tante conquiste anche e soprattutto di principio che hanno riguardato il mondo del lavoro fino ad oggi? Se gli statali si ritrovano con lo stipendio decurtato e agli arresti, se si ammalano, ai dipendenti privati cosa finiranno col fargli, appena avranno un attimo per pensarci? Verranno sottoposti a punizioni fisiche?  Raderanno a zero i capelli delle donne, evireranno gli uomini? E ai mitici operatori dei call center di cui tanto si parla non appena qualche statale accenna a lagnarsi, cosa succederà? Li riduciamo direttamente in schiavitù, col collare col nome della ditta stampato sopra?

Io, intanto, quest’anno ho già fatto più giorni di malattia in due mesi che in tutto l’anno scorso messo assieme. So’ cagionevole sul serio, in questo periodo, e finisco dolorante a letto con una certa facilità. E a scuola mi continuano a chiedere, ansiosi: “Ma insomma, le è arrivata la visita fiscale?” ed io continuo a dire di no, anche con una certa mortificazione. Perché, insomma, io la vorrei, fosse anche solo per farci un post subito dopo. E invece non l’ho ancora vista, e ‘sta cosa mi allarma persino: vuoi vedere che magari il medico è venuto, ha sbagliato citofono e adesso risulto dispersa e invece ero in casa? Col culo che ho, capacissima.

E poi mi pongo domande sul galateo da visita fiscale: perché, ad esempio, nel mio palazzo l’ascensore è rotto, al momento, quindi per raggiungermi bisogna farsi cinque piani di scale a piedi e amen. Ma, quando tornerà a funzionare, funzionerà con la chiave. Ed io cosa dovrò fare, a quel punto? Uscire di casa malata per portare giù l’ascensore al medico e dargli un passaggio con le mie chiavi fino a casa mia? O lasciarlo arrancare a piedi su per i cinque piani e accoglierlo pacifica e sorniona sull’uscio, magari con un bicchiere d’acqua che lo ritempri? Non ne ho idea. Sospetto che andare a prenderlo giù sia illegale, però. Forse devo chiederlo a un avvocato.

Prima sono andata a prendere il solito certificato medico – sì, dopo avere avvisato per email la scuola e averle chiesto di avvisare la ASL, come al solito –  e, lungo la strada, sono incappata in un comizio di Di Pietro. Sentivo che parlava male di Berlusconi e non ho saputo sopprimere un moto di simpatia. Pensa te, avere i moti di simpatia per Di Pietro… tu guarda come ci si concia, è incredibile. E poi mi girava la testa, ma è che sono a casa da martedì sera e quindi è normale, forse. Marzia mi fa: “Vabbe’, ma se stai sempre a letto ti indebolisci per forza!” E ci ha ragione, ma la mia casetta è piccolissima e non è che ci si possa fare molto altro, per 11 ore di fila. Che faccio, mi metto a fare flessioni in cucina? Sto a letto pure da sfebbrata, che altro dovrei fare? Ma stasera si stava bene, fuori, e nulla mi avrebbe impedito di smaltire i postumi da raffreddamento davanti a un caffè, chessò, per prendere un po’ d’aria e sgranchirmi il cervello, oltre che le gambe. Il mio medico sarebbe stato d’accordo.

Ma, appunto, no. Brunetta non vuole. A casa, in castigo.

Tutto questo non farà di me una lavoratrice migliore. Posso tranquillamente comunicarlo come una certezza. Ma del resto si è capito, direi. Brunetta ha sortito un solo effetto, dalle mie parti, ed è che prima andavo a lavorare anche quando non stavo bene, e adesso non mi passa manco per l’anticamera del cervello l’idea di farlo. Tutto qua.

In tutto questo, pensavo agli studenti. Immaginavo gli arresti domiciliari pure per loro, come deterrente per le assenze strategiche quando c’è un compito in classe, metti. In fin dei conti pure loro costano allo Stato, giusto? E, insomma, mi baloccavo con quest’idea. Arrestiamoci tutti, dai, a vicenda. Facciamo a chi riesce a peggiorare di più la vita all’altro. Mettiamoci le dita in un occhio, pestiamoci un piede e poi ridiamo sguaiatamente additandoci l’un l’altro. Abbattiamo ogni residuo ostacolo tra noi e la demenza collettiva.

Io, per esempio, ce l’ho con i portalettere. Secondo me dovremmo munirli di braccialetti elettronici e monitorarli via Google per essere certi che non approfittino dell’orario di lavoro per bere, chessò, un caffè. Si potrebbe ideare un sistema per cui, da casa, l’utente gli fa arrivare delle piccole scosse elettriche se indugiano. Sai come migliorerebbe, il servizio postale?

Sono ancora tutte da esplorare, le potenzialità dell’odio reciproco inteso come carburante sociale. Possiamo fare di più, ne sono certa.