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C’è gente che nella clandestinità ci vive benissimo e ci prospera, perfino.
Non è il caso di Arturo e Mafalda.
Che, infatti, prima di arrivarci le hanno tentate tutte, compreso un articolato tentativo di poligamia consapevole, naufragato causa recalcitranza di entrambe le femmine coinvolte, sia pur rigorosamente a turno: a questo proposito è passato alla storia un affranto sms di Arturo a Mafalda che recitava: “Ma come, ora che avevo convinto Petronilla ti ci metti tu? Ma gli esami non finiscono mai?”

E tuttavia avevano finito col rassegnarsi, dopo molti disastri. O, meglio, gli eventi li avevano depositati là: al chilometro zero del vedersi di nascosto.
Clandestini, infine, ed è quando hanno trionfalmente doppiato la boa dell’esaurimento nervoso.

Perché è una cosa terrificante, la clandestinità.
Lo stress delle mille ore di attesa fino al materializzarsi di un “Buongiorno” via sms, e ti rimiri quel ” Buongiorno” manco fosse un prezioso manoscritto del ‘200 e vorresti dirlo alle amiche, “guarda che bel Buongiorno è riuscito a mandarmi!” ma loro, chissà perché, ti guardano inespressive, e tu ripieghi sull’osservarti le unghie.
Le telefonate che le aspetti tanto che, quando arrivano, l’energia fa “pluff” e quasi non sai manco più cosa dirti.
Gli appuntamenti a Novara, a Castelviggione, le fughe di due-giorni-due e poi chissà quando ti rivedi.
Una perenne frustrazione, un’incompiuta perpetua, un centellinare forzato da inappetenti dell’amore quando staresti piuttosto morendo di fame, un disastro.

Non so se hanno retto un mese: mi pare che sia durata persino meno, non sono sicura.
So che a Mafalda deve essere rimasto un residuo di tic nervoso dall’ultima volta che sono riusciti a ritagliarsi un weekend insieme, quei due, ché te lo racconta ed ha dei piccoli scatti involontari che tendono ad aggravarsi se, nelle vicinanze, capita che squilli un telefonino.

Mafalda che ti racconta, col tic.

Che vanno a dormire e squilla il cellulare ed è Petronilla. E nella notte dormono e squilla il cellulare ed è Petronilla. E la mattina albeggia e squilla il cellulare ed è Petronilla. E provi a farti due coccole e squilla il cellulare ed è Petronilla.

E Arturo che abbandona la stanza e le fa: “Io comincio a scendere, tu fa’ pure con calma.”
E Mafalda che si rigira quel “Fa’ con calma” nella mente e poi fa gli esercizi di respirazione per rilassarsi, scende e viene accolta dalla faccia sorniona e divertitissima del portiere dell’albergo: “Buongiorno, signora! Suo…. ehm… mar… uhm… marit…cough… marito, ahahah, è fuori che telefona”
E, da fuori, s’ode distintamente la voce di Arturo: “Ma cara, ti assicuro, sono all’Agip di Potenza, credimi!”

Mafalda che, dalla sdraio, osserva ad occhi socchiusi Arturo che si esibisce in una performance di balle che più maschili non si potrebbe, ed è che il ” Ma cara, sono scherzi della tua immaginazione, sono proiezioni della tua mente” è il grande classico dell’Uomo che Mente e Mafalda l’ha sempre odiata, questa mania che hanno i maschi di dirti balle cercando di farti credere che sei pazza, e si domanda se viene inclusa nel pacchetto dei cromosomi maschili, la bugia a sfondo psicodiagnostico, e per un attimo prova un moto di sorellanza verso Petronilla, per quanto le stia potentemente sui maroni e non l’abbia manco fatta dormire.

Perché lo sappiamo tutte benissimo che non è mai successo – mai, in tutta la Storia dell’Umanità – che un uomo pronunciasse il “Cara, sono scherzi della tua immaginazione ” se non per piazzarti una terrificante balla.
Mai.
Da Adamo in poi: “Ma Eva, cara, qui non c’è nessuna mela, sono scherzi della tua immaginazione.”
Eppure ci caschiamo sempre, tutte. Forse sono scherzi della mia immaginazione, caro. Hai ragione. Forse sì. Che strano. Scusami.

E Arturo.

Arturo che racconta poco ma dimagrisce e si accartoccia sempre di più su ogni balla raccontata, ché la sua intenzione sarebbe di tenere tutte tranquille e contente e invece gli si disperano ogni giorno di più, tutte e due, e stavolta non fanno nemmeno più a turno, come ai tempi della poligamia consapevole: si lagnano all’unisono, adesso, e Arturo non fa in tempo a consolarne una che gli frigna l’altra, e l’aria terrorizzata con cui esala il: “Mafaldina, per piacere, ma non piangere…” sarebbe esilarante se Mafalda non fosse troppo occupata a piangere, appunto, per potere ridere.

Arturo, che si scervella alla ricerca di soluzioni per uscire dal suo pasticcio e ogni tanto prova uno speranzoso: “Ma cara, se devi soffrire così forse è meglio che ci lasciamo…” ma si sente rispondere: “Aaaahhhhh!!!!! Starei moooolto peggio!!! Siiigh!!!!” e si accascia sulla sedia, esausto, e gli si afflosciano un po’ anche i baffi.

Arturo che una sera, dopo l’ennesima performance ballista-consolatoria, torna a casa stravolto, si addormenta ammaccato e dolente, viene svegliato e interrogato nel mezzo del sonno e lì, nel buio di una voce suadente che gli dice: “Dai, confessa, io ti capirò”, sogna di potere essere finalmente compreso e cade in trappola: “Sì, grazie, non ne potevo più di dire bugie, grazie per essere così comprensiva.”
Un attimo dopo, Petronilla gli sta sfasciando la casa.

Arturo che si rompe le balle, infine, e dà all’una il numero di telefono dell’altra.

“Lascia mio marito!”
“Non ci penso nemmeno!”
“Lui con te è infelice!”
“No, sei tu che lo stressi!”
“Tu vuoi portarlo via!”
“No, facciamo a metà!”
“Tu sei pazza!”
“Tu sei irragionevole!”

Arturo che, nel frattempo, riempie quatto la sua valigia di pinne, maschera e boccaglio. Il costume. Il fucile da pesca. Libri. Qualche maglietta, l’essenziale.

E poi saluta entrambe e se ne va.
In Corsica.
Da solo.
Torna tra un mese.

Mafalda: “Ma stai fuggendo da entrambe?”
Lui: “Sì, non posso negarlo.”
Mafalda: “E come ci si sente?”
Lui: “Uh, benissimo, mi ci voleva!”

E quindi rimangono solo Mafalda e Petronilla, nella città d’estate.
Il sultano, barricato su uno scoglio che ci piace immaginare protetto da una batteria di mine antidonna.
Lui e una canna da pesca, e ci pare di sentirlo fischiettare da là.

E Mafalda pensa che Petronilla ormai ha il suo numero, maledizione, e figuriamoci se non la chiama per controllare dov’è, fosse mai che è in Corsica pure lei.

E già si vede, nell’afa di Luglio.
Senza Arturo, mamma mia che tristezza.
Ma col telefono che squilla, ed è Petronilla.