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(Nota: in questo post accenno al disastro che si prospetta sull’insegnamento delle lingue. Pedrita mi segnala quest’articolo dell’Espresso, sull’argomento.)

Incontro pomeridiano per fare il punto sulla situazione degli studenti stranieri in città. Ci sono i referenti interculturali delle varie scuole, i mediatori culturali, i funzionari delle diverse istituzioni. Sala gremita. Un’insegnante chiede di poter dire due parole prima che la riunione vera e propria abbia inizio. E lo fa. Fuori dai denti.

Voi vi rendete conto, vero, della situazione? Voi che siete i referenti istituzionali: ci spiegate come si fa, adesso, a integrare gli stranieri? In classi di 30, 35 alunni? Come li integriamo, quando? Ma non erano un’emergenza fino all’altro giorno, gli immigrati? Cos’è, adesso sono scomparsi? A scuola sono invisibili? O li vediamo solo noi che siamo qui perché ci crediamo, a quello che facciamo, e mentre da Roma ci insultano e fanno una manovra da 8 miliardi di euro sulla scuola, ce ne veniamo qua a fare qualcosa che non è altro che del gran volontariato? Vi rendete conto o no? Ce lo dite, per favore, se vi rendete conto???

Applausi, malessere, e l’Istituzione che dà l’unica risposta possibile: “L’Italia lo ha votato, questo governo. E’ stato eletto in libere elezioni, quindi evidentemente il Paese vuole questo, e con questo dobbiamo fare i conti. Il nostro ordine del giorno prevede che facciamo il punto sull’integrazione adesso, non che ci occupiamo di altro. Atteniamoci all’ordine del giorno.

E così si è parlato di alfabetizzazione, di progetti di formazione, delle ore di mediazione culturale ottenibili dalle varie scuole etc. L’importante era immaginare la realtà limitata a quella sala, senza guardare oltre. Qua, se non ti imponi di fare lo struzzo non lavori più.

Dall’anno prossimo avremo più alunni per classe, e le classi dovranno essere formate senza tenere conto degli indirizzi di studio. Immagina una 4° professionale, per esempio. Tu fai francese e, in classe, avrai tot studenti che seguono un indirizzo e tot che ne seguono un altro. Con programmi e libri di testo diversi. Tu, in un’unica ora, puoi tranquillamente ritrovarti a dovere seguire due programmi diversi, con compiti e interrogazioni diverse, in classi di 35 persone di cui una parte è composta da stranieri e dove hai uno o due ragazzi portatori di handicap; ovviamente, senza insegnante di sostegno. Che, anche se ci fosse, ti toccherebbe un’ora alla settimana, se sei fortunata (sulla questione – gravissima – del sostegno rimando a questo post di The Rat Race). Ecco: ma mi spieghi che diavolo fai, in una situazione così? Oltre a cercare di evitare che si menino tutti quanti, dico. Ma chi integri, ma quando?? Dove?

Mettici anche la mannaia prevista per le scuole per adulti e dimmi tu, davvero, di che diamine di integrazione degli studenti stranieri stiamo parlando. E ti ricordo che non è solo a beneficio degli stranieri, la loro integrazione. E’ a beneficio dei cittadini tutti, ché uno straniero integrato è una risorsa, uno che non lo è sarebbe un problema. O no?

Non so: io non riesco più a pensare ad altro. Sono spaventata, davvero. Non riesco a riconoscermi nella scuola che si vede arrivare e non so immaginare che collocazione darmi, cosa dovrei essere. Cosa ci si aspetta che io faccia, se non mi fanno lavorare.

Perché io non ci posso lavorare seriamente, in classi di 30 e rotti persone. Come faccio a spiegarlo?

Io insegno una lingua straniera. Spagnolo. Se hai 30 e rotti persone davanti, tu puoi spiegargli giusto la grammatica, ammesso che ti ascoltino. Quella sì. Ma non puoi fare nessuna – assolutamente nessuna – attività di tipo comunicativo. Non è tecnicamente possibile, sia perché sono troppi per poterci interagire essendo tu solo una, sia perché ti diventa impossibile tenere la classe, semplicemente. Non ti rimane altra possibilità che la tua lezioncina frontale, quindi, e tenerli occupati il più possibile con esercizi a raffica. Sapendo – come sai, perché ricevi formazione su ‘ste cose da 20 anni – che la tua lezioncina frontale in cui spieghi la grammatica non serve a una beata cippa, a meno che i tuoi studenti non vadano poi – a loro spese – a impararsi all’estero la lingua su cui tu, ok, gli hai fornito una base teorica. Ammesso che poi la capiscano, la tua base teorica. Ché al liceo ci arrivano, ok. Ma in altri tipi di scuola, in certi tipi di quartieri etc. non hanno manco gli strumenti per capirti, se gli fai lezione frontale di grammatica e sintassi. “L’accusativo personale? La sintassi del congiuntivo?? Ma che dice, questa???” E i primi che bocci, se insegni così, sono appunto gli stranieri. Insegna spagnolo così a una platea di ecuatoriani del professionale, se ne hai il coraggio: te li ritrovi con la media del due.

Ed io non so cosa si voglia da me, quindi. Non so cosa si aspettano che faccia.  Sospetto che mi si stia chiedendo, tra le righe, di fare finta di insegnare. Ed io non sono capace, è qualcosa che non reggo. Non è che non mi sia mai stato chiesto, intendiamoci: se so che non lo reggo è perché le conosco, le situazioni in cui si crea una specie di convenzione per cui io faccio finta di insegnarti qualcosa che tu fai finta di imparare e che poi qualcuno fingerà di certificarti con un diploma o un voto di promozione. Solo che, fino ad ora, queste situazioni le ho viste come episodiche, circoscritte alla tale scuola o università, alla tale circostanza o momento. Ritrovarmele istituzionalizzate, e da domani, per me è un capolinea professionale. Non riuscirò a farci i conti.

Io non so se sono una brava prof. Ho un mucchio di difetti – so’ spigolosa, all’inizio sembro sempre incavolata, so’ smemorata, ho un approccio di tipo analitico che va bene per certi studenti e va meno bene per altri. Lo so, ci tengo alla consapevolezza dei punti deboli. Però, porca miseria, io voglio essere brava. Mi piace, il mio mestiere. Lo faccio cercando di essere brava, appunto. Ho degli obiettivi, dei punti di arrivo, e sono punti di arrivo miei, prima che loro.

E quindi ho capito che è per questo che mi sta facendo tanto male, questa mortificante riforma.  Perché mi toglie l’idea di potere essere brava, di potere lavorare bene. E mi incastra in un’immagine e in un ruolo che mi ripugnano da quando ho memoria.

Io non volevo essere questo. L’impiegata delle fantasie di Brunetta. Era tutto quello che non volevo essere, nella vita. Mi sento come se mi stessero soffocando, davvero.

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In tutto questo, una soddisfazione oggi l’ho avuta, ed è un mio post sulla faccenda in home page su Il Salvagente:

[…] A dirlo è Alfredo Garzi, segretario nazionale della Cgil Funzione Pubblica. Che accusa: “E’ una logica della “punizione”, peraltro svolta in modo pubblico e mediatico. “Non si risolvono così i problemi”.

Lo dice anche, con altre parole, dai toni ironici e sarcastici, un’insegnante, che nel suo diario virtuale in rete, solitamente dedicato ad argomenti del mondo arabo, si concede uno “sfogo” che potrebbe rispondere alla recente dichiarazione di Brunetta in merito: “Se i lavoratori pubblici malati si sentono agli ‘arresti’ domiciliari, vuol dire che non hanno la coscienza a posto”.
Per chi ha voglia di “sorridere” a denti stretti leggendo il blog completo, rimandiamo alla lettura originale. Per chi, invece, si accontenta della nostra selezione, eccovi alcuni stralci. […]

Be’: ho letto questa cosa e mi è sembrato di avere scritto qualcosa di utile, cavoli.