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Qualcuno ricorderà questo post.
Segnalavo il caso di due tra le diverse centinaia di bambini palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Il caso di queste due mi aveva particolarmente colpito per il più banale dei motivi: perchè la loro foto era online.

Be’: Chiara, una commentatrice di questo blog, le ha cercate. Al principio le ho cercate anch’io, a dire il vero: tra le altre cose, avevo chiesto ai ragazzi di Rafah Pundits se riuscivano ad avere notizie da Nablus, per sapere della loro sorte.
Intanto, però, si era creata una piccola newsletter tra chi era interessato al caso e, di fronte ai consigli di una persona che conosce bene quel tipo di realtà, mi ero fermata: si trattava di usare grandissima prudenza nel chiedere informazioni, di non mescolare in nessun caso il piano politico con quello umanitario etc. Che una magari, senza farlo apposta e con la disinvoltura datale dalla propria realtà, fa pasticci che nemmeno si immagina.
E così Chiara è andata avanti per conto suo e ci ha fatto sapere. Per la precisione, un paio di giorni fa ci ha fatto sapere che entrambe le bambine sono tornate a casa. “Speriamo che molti altri possano seguirle”, diceva chi le ha scritto.

Secondo dati della Defence for Children International, organizzazione internazionale con sede in Svizzera, i bambini attualmente detenuti nelle carceri israeliane sono 344.
Torno a scrivere ciò che scrivevo nel post a cui mi riferisco (abbiate pazienza se ne ricopio un pezzo pari pari, ché trovare altre parole vuol dire rileggere cose che alla lunga fanno ammalare): questi bambini vengono torturati (in Israele è legale) e firmano circostanziate confessioni in solo ebraico, lingua che di solito non parlano.
Di solito li portano in territorio israeliano e per le loro famiglie e per gli avvocati è impossibile ottenere il permesso per raggiungerli.
Le tecniche di tortura usate dagli israeliani e su cui testimoni e associazioni umanitarie concordano (vedere qui, qui e qui) consistono nel tenerli legati in posizioni dolorose, in doccie gelide e bollenti, privazione del sonno, pestaggi alla testa e ai genitali e cose così.
Questi bambini vengono tenuti in isolamento in celle senza luce o con luce 24 ore al giorno, non hanno accesso al bagno ma solo al pavimento della loro cella, mangiano cibo marcio e bevono acqua contaminata e non ricevono, ovviamente, alcuna cura medica nè visite o generi di conforto dai familiari.
Vengono picchiati mentre sono legati e bendati e soggetti a scherzetti terrorizzanti di vario tipo, con l’obiettivo di spezzarli psicologicamente. A vita.
Le femmine vengono interrogate nude e minacciate di stupro. Che poi siano stuprate o meno, non lo so, e non lo sa nemmeno chi mi legge. Gli arabi non le dicono, queste cose.
(A dire il vero non c’è nemmeno bisogno di essere prigioniere palestinesi, per essere interrogate nude dagli israeliani. So di cooperanti spagnole a cui è successa la stessa cosa.)
I bambini, in genere, sono accusati di aver tirato pietre. Ai carroarmati, di solito.

Se andate su questa pagina del Defence for Children, trovate una lista di motivi per cui i piccoli carcerati possono essere puniti: non alzarsi immediatamente quando c’è l’appello; fumare durante l’appello: non assumere la posizione giusta durante l’appello; guardare le guardie negli occhi; ascoltare musica; pregare nel cortile; pregare assieme; cantare o festeggiare; per le ragazze, uscire all’aperto con i capelli sciolti. A proposito di ragazzine: nella stessa pagina c’è anche un piccolo paragrafo dedicato a loro che (sarà per femminismo) vengono sottoposte a pestaggi come tutti. Si accenna anche a manganelli che emettono scariche elettriche, nel paragrafo.

In teoria, ci sarebbe un fondo presso le carceri in cui le organizzazioni umanitarie o altri possono donare dei soldi per aiutare questi bambini. In pratica, questi vengono anche multati per le loro mancanze: può succedere, quindi, che i soldi che voi donate per aiutare un bambino vadano a finire nelle casse dello Stato di Israele perchè questo bambino si è messo a cantare. O perchè (come si racconta nella pagina) un suo compagno di cella si è tagliato i capelli in modo sgradito alla guardia di turno e la punizione tocca anche ai compagni di cella.
Lasciate perdere, direi.

Dice: “Ma guarda com’è democratico Israele, che alla fine le bambine sono state liberate.” Già. Perchè non avevano fatto nulla, suppongo. (Ammesso e non concesso che resistere a questo stato di cose sia un crimine sanzionabile.)
In realtà succede spesso che dopo qualche mese di carcere ti liberino e tanti saluti: la Defence for Children pubblica periodicamente l’analisi di casi specifici, e l’ultimo riguarda il caso di un ragazzino sottoposto a detenzione amministrativa a 15 anni.
La detenzione amministrativa (queste cose vanno spiegate) è quella per cui ti arrestano senza accuse e senza processo, in base a “informazioni” che né l’arrestato né il suo legale possono vedere. Questa detenzione è valida da un mese a un anno, ma può essere rinnovata indefinitamente.
Il ragazzino di cui si occupa lo studio è stato arrestato a 15 anni, dicevo. Lo hanno liberato 20 mesi dopo, quando ormai era quasi maggiorenne. E questo è quanto.

Io vorrei tanto che qualche fan di Israele le smentisse, queste cose, dimostrandomi – magari con un po’ di documentazione a supporto del wishful thinking – l’inattendibilità delle organizzazioni che cito, per esempio.
Solo che non succede mai. E’ più facile gridare: “Antisemita!”

Comunque: un “grazie” di cuore a Chiara, garbata e testarda, e a tutti quelli che hanno trepidato per la sorte delle due signorinelle.
Ha dei commentatori in gamba, questo blog.