Altra giornata qualunque.
Siccome Milano è, come tutti sanno, situata appena a sud del Tropico, la sorpresa di vedere nevicare ieri sera le ha provocato un collasso da cui, mentre scrivo, non si è ancora ripresa.
E pensa che sono passate 24 ore.
Io, appuntamento alle 7 da un’amica che abita a 5 o 6 fermate di autobus da me.
Arranco in qualche modo verso la fermata: le strade, intese come luogo di passaggio delle macchine, sono state più o meno ripulite. Le strade intese come luogo di passaggio dei pedoni, invece, concentrano tutta la neve di Milano la quale, ormai, si è ghiacciata.
Fa eccezione la zona sotto i marciapiedi che invece continua ad essere un lago testardamente liquido e io, con l’acqua che mi arrivava alle caviglie, ci ho già sacrificato per sempre un paio di scarpe, verso mezzogiorno.
Ora sono al paio di scarpe n. 2 e, dicevo, raggiungo la fermata dell’autobus.
E aspetto.
Venticinque minuti.
Poi mi rompo le balle e chiamo un taxi.
Eh, i taxi.
Perché, a Milano, mica alzi una mano e ne fermi uno.
No.
Devi telefonare.
Poi ritelefonare fino a quando trovi libero.
Poi sorbirti una voce registrata che ti recita tutta un’idiotissima pappardella sul trattamento dei tuoi dati personali e a spese tue, ovviamente.
Infine, forse, prendi appuntamento con un taxi.
Che per dieci euro (ventimila lire, sì) ti porta 5 fermate di autobus più in là.
Poi, vabbe’: cinema allo Spazio Oberdan, che il cielo lo benedica, e riflessione sul fatto che l’offerta culturale di Mlano è, diciamocelo, bizzarra. Un film come, per esempio, Control Room, in cui Al Jazeera racconta se stessa, la sua copertura del conflitto in Iraq e i suoi rapporti con l’esercito USA, a Milano non è manco passato, che io sappia.
Io l’ho visto al Cairo in una sala affollata di egiziani e stranieri, con la regista che rispondeva alle domande del pubblico e parlava dei premi ricevuti.
Qua, non ho ancora trovato nessuno che l’abbia anche solo sentito nominare.
E dico Control Room perché se ne è parlato molto e anche l’Italia, mi consta, è incuriosita da Al Jazeera. Ma mi pare che su questi temi l’offerta sia poverissima in blocco, ecco.
In compenso, lo Spazio Oberdan era pieno di gente, stasera, che ha avuto il coraggio e la resistenza di sciropparsi un film spagnolo in lingua originale in cui, per due ore e mezzo, viene narrato il tentativo di dipingere un albero di melocotogno.
Ora: con tutto il rispetto verso Victor Erice (anche se, francamente, trascinare per 180 minuti l’inquadratura di una mela cotogna mi pare un po’ fine a se stesso, ecco) e per il resistentissimo pubblico tra cui mi includo, a volte mi sorge il dubbio che a Milano sia più facile soddisfare il proprio senso estetico che porsi delle domande sul vasto mondo.
E’ un’offerta culturale con delle gravi carenze, mi pare, e non a caso ho recentemente avuto modo di sentirmi sorpresa dal pubblico della Casa della Cultura, nientedimeno.
Perché eravamo tutti là, alla presentazione di un saggio sull’Islam come è vissuto in India o nelle ex repubbliche sovietiche e, quando è toccato alla platea fare domande, le domande sono state tre. Due, disarmanti: “Ci spiegate cosa succede in Iraq?”
In realtà si era lì per parlare dell’Islam in Cina o in Uzbekistan, toh. Se tu, pubblico, chiedi dell’Iraq, è evidente che c’è qualcosa che non va.
C’è che muori dalla voglia di capire cosa succede nel paese in cui l’Italia ha le sue truppe, per esempio, e i tuoi media non te lo spiegano.
Il governo italiano proibisce le conferenze sull’argomento, del resto, quindi la gente va alla Casa della Cultura e chiede lumi a chi ha scritto un libro sull’Islam indiano.
Evvabbe’.
E poi la terza domanda.
Un’elegante signora fa l’aria intelligentissima e chiede: “Vorrei sapere che rapporto c’è tra analfabetismo, religiosità e pena di morte.”
E il prode moderatore nonché direttore della Casa (Ferruccio Capelli, che ricordavo membro della segreteria regionale del PDS, guarda come vola il tempo, e che ritrovo molto più importante di prima ma sempre con quel suo tocco un po’ curiale) scuote un po’ il capo e dice: “Uhm, anche la sua domanda è un po’ fuori tema, ecco… ma capisco cosa intende. Naturalmente, capisco perfettamente il ragionamento.” E fa l’aria intelligente pure lui, ed è tutto un ammiccare.
E tocca a Michelguglielmo Torri. rispondere, e lo fa: “Che rapporto c’è tra, uhm, che ha detto? Analfabetismo, religiosità, pena di morte..? Pff. Nessuno.”
E avrebbe anche finito.
Poi, giusto perché è gentile, aggiunge un sintetico: “Le ricordo, infatti, che la pena di morte c’è anche negli USA.”
Basta.
Ed io mi innamoro di Michelguglielmo Torri.
Là.
In quel momento.
Egli si trasfigura, ai miei occhi, e diventa il primo, autentico oggetto del desiderio del mio rientro in Italia.
E’ anche bellissimo, trovo.
Sarà un amore platonico, ovviamente, ed egli non lo saprà mai. Ma lì, in quel momento, io l’ho desiderato anche carnalmente.
Dovevo dirlo.
Al punto che non sono andata a salutarlo, a fine conferenza (risparmiandogli un penoso: “Sa, sono Haramlik e la leggo da anni…”) solo perché avevo ancora i capelli impresentabili tagliatimi dal macellaio dietro piazza Napoli e ciò mi rendeva insicura.
Sì. Già.
C’è chi si innamora di Brad Pitt. Io, lì per lì, mi sono innamorata di Michelguglielmo Torri.
Che volete da me.
Sì, ma torniamo a stasera, ché a volte perdo il filo.
A mezzanotte sono alla fermata della 91 di piazzale Lotto.
Voglio dire: è un autobus importante, la 91. Pure piazzale Lotto, è una piazza importante.
Non sono in vicolo Annunziata, ecco.
E aspetto la 91. E, con me, una valanga di gente. Che solo per arrivarci, a quella fermata, ha rischiato la vita: è una lastra di ghiaccio, la strada, e ci pattini sopra anche da fermo. Camminare è un casino e io rischio il volo più volte. Ci metti minuti interi per fare un metro, giuro.
E ormai sono passate 24 ore, da quando ha nevicato.
Aspetto la 91.
Passa mezz’ora e mi rassegno a chiamare un altro taxi, anche perché sennò svengo per congelamento.
Niente taxi: i numeri sono occupati, non c’è verso.
Quarantacinque minuti dopo, il numero si libera e contemporaneamente arriva la 91.
Spengo il cellulare e monto sull’autobus.
Ormai è l’una di notte.
E, due fermate dopo, il conducente fa: “Alla prossima si scende! Fine corsa!”
Come, fine corsa??
All’una di notte, senza preavviso, in mezzo alla circonvallazione?
Sì.
E ci fa scendere davvero, e nemmeno in una piazza, in un luogo abitato.
Letteralmente in mezzo alla circonvallazione, su un minuscolo marciapiedino in mezzo a due corsie dove sfrecciano le macchine e che è totalmente una lastra di ghiaccio e, infatti, il primo che scende scivola e cade.
All’una di notte.
E la gente protesta ma non c’è un cavolo da fare, ci sta scaricando là.
E scendiamo con mille cautele, per non fare la fine del primo che è volato, e rimaniamo là, come tanti idioti.
E io non lo posso nemmeno più chiamare, il taxi: dovrei dargli piazzale Brescia come riferimento ma è escluso che io possa raggiungerlo, piazzale Brescia: non riesco nemmeno ad allontanarmi di due passi dal palo della fermata dell’autobus, si pattina sul serio. Cadrei.
Sono prigioniera su una lastra di ghiaccio in mezzo alla circonvallazione, assieme ad altri 15 compagni di sventura che si reggono al palo della fermata pure loro.
Ma non lo poteva dire prima, quel grandissimo demente, che stava caricando gente che avrebbe fatto scendere due fermate dopo?
Da piazzale Lotto una poteva ancora salvarsi, dico io.
No.
Ci ha fatto uno scherzo.
Mattacchione.
Ci ha messo venti minuti, l’altro autobus, ad arrivare.
Io sono partita da Lotto a mezzanotte e sono arrivata a casa mia che erano quasi le due.
Questo è quanto.
E pensavo che lascia perdere il Cairo, dove una simile odissea non mi è mai capitata e, sì, sarà pure un posto disorganizzato ma, santo cielo, assieme al problema ti offre la soluzione, in genere.
Ci sono i taxi, per dire.
Io pensavo al Burundi, altro che Cairo.
E pensavo che in Burundi, almeno, fa caldo.
Che non è un vantaggio da poco, guarda.
E poi se la tirano meno, ecco.
Perché io non sono una che si turba più di tanto, a stare in Burundi, giuro.
E’ il fatto di starci mentre fingi di stare in Europa e con tutti gli svantaggi dell’Europa e solo quelli, ciò che non sopporto.
Arrancare sul ghiaccio, di notte, senza mezzi e senza taxi.
Cambia il ghiaccio con la sabbia e avrai il Burundi, suppongo.
Ed io, se fosse possibile, vorrei appunto cambiare il ghiaccio con la sabbia.
Sa, sono freddolosa.
Poi, scivolando sul ghiaccio verso casa, pensi che mo’ fanno la “Milano city marathon“.
E che sei appena stata vicino alla “Fiera city“.
La Fiera city, oh yeah.
Perché qui si danno i nomi in inglese, giuro.
E mica lo fa il proprietario del bar Jimmy: no, lo fa il Comune! Lo Stato! Prendono un’iniziativa e la battezzano in inglese, dico sul serio!
Mostrando il fiero petto al ridicolo, qui abbiamo la Fiera city, lo giuro su mia figlia!
E la marathon. In the city.
Ma quasi quasi le cerco tutte, un giorno che ho tempo.
Il “nonsoché point” dell’ATM, per esempio.
Un mucchio, ce n’è.
Una si chiede che effetto possa fare ‘sta cosa agli anglofoni di passaggio.
Penoso, immagino.
Si sentiranno in una colonia di ammiccanti fessi, che altro potrebbero fare?
Ed è tutto un po’ così, mentre scivoli sul ghiaccio in the city.
“Vorrei ma non posso”, si diceva un tempo.
Lia, scusa se il commento è totalmente avulso dal contesto, ma da tempo volevo segnalarti questo (se non ne sei già al corrente):
http://dontbomb.blogspot.com
è il blog di alcuni dipendenti di Al Jazeera che hanno espresso nel titolo del blog il desiderio, se non è troppo disturbo ovviamente, di non essere bombardati.
Prof! Io sto traducendo (perché per trovarlo in italiano dovrei andare in una biblioteca tipo a Mantova) un racconto russo ambientato all’inizio della primavera. E’ il periodo in cui, siccome il ghiaccio si scioglie, le strade sono piene di pantano e tante volte sono impraticabili del tutto.
Ieri dopo aver passato la mattina a tradurre sono uscita per andare dalla mia cugina che sta a 300 metri da casa mia… ed ero tutta contenta perché almeno riuscivo a sacramentare tra me e me in russo per l’impraticabilità dei marciapiedi!
Cara Lia, sto cominciando a pensare che il tuo splendido blog sia un po’ come le “Lettere Persiane” del nostro triste presente. L’assurdo e lo schifo che accettiamo come normalità, anzi come grado fondante del vivere associato, trova qui, ormai giornalmente, una radicale demistificazione. Tra l’altro, è da qualche tempo che sei in una forma (letterariamente parlando) strepitosa, e anzi, rappresenti l’esatto contrario di quella diffusa valanga d’odio cieco che segnalavi nel post precedente: più sei furiosa e sdegnata, più cresce in te la voglia di civiltà e di umanità.
Mi piace pensare che un giorno tu riesca a farne un libro, di haramlik. Sarebbe una lettura molto formativa per tante persone.
La cosa che mi è venuta in mente è che io ho l’automobile e una cosa del genere non mi sarebbe capitata. E che sono i deboli, gli immigrati (dire extracomunitari mi fa proprio schifo), gli anziani, i poveri quelli che vanno in giro in autobus.
Ecco, il solo fatto che mi sia venuta un’idea del genere mi spaventa. Mi sembra che abbiamo sbagliato proprio tutto.
E comunque temo che in Svezia cose così non capitino, con tutto che non c’è la sabbia…
Un saluto
Ciao!Non è la prima volta che passo dal tuo sito,complimenti è davvero interessante e divertente. Sono rimasta però un po’ indietro: non vivevi in Egitto??
Pensavo di linkarti nel mio blog,spero non ti dispiaccia …
Un bacione!
olfy
cara lia, non mi faccio sentire molto, ma non dubitare del fatto che ti seguo.
la cosa che sorprende non è quello che accade. almeno non sorprende me, sedentario.
sorprende come ormai si subiscano le angherie, e non dico quelle piccole, ma tutte. che i quindici “on-ice” non abbiano deciso di andare alle 2 a suonare a tutti i campanelli di palazzo marino (si chiama così?) per dire come erano incavolati e farsi accompagnare a casa dai funzionari incompetenti che non sanno gestire un inverno normale. che la gente non vada dai cinematografari a chiedere di vedere i film che proiettano nel resto del mondo.
insomma la cosa che stupisce è vedere quanto stiamo bene in quel bozzolo letale, fatto di balle e finto benessere, in cui il ragno della nostra amministrazione ci sta avvolgendo.
ecco, questo volevo dirti.
è proprio difficile, eh lia?
io sono 2 giorni che sono praticamente barricata in casa e va bene che ho le traduzioni di arabo da fare ma volessi anche solo fare il giro dell’isolato non posso perchè temo appunto di scivolare e rompermi 12 ossa. ma con le tasse che paghiamo è tanto difficile far fronte a una nevicata il 3 dicembre? come giustamente dici tu non siamo in burundi, non è la prima volta che vediamo la neve. e quelli fermi 14 ore in autostrada? mah…
Ciao Lia!
lo dovresti mandare questo post, prima che si sgeli, al Comune di Milano.
A quale ufficio?
All’ufficio customer care!
Non c’e’ pero’ la foto di Michelguglielmo Torri!
la risposta di torri è un po’ scema (ma a domanda scema risposta scema).
o meglio perfetta quando dice “nessuno” ma rovina tutto citando la pena di morte negli usa, perchè dimentica che:
– gli usa sono un paese in cui l’analfabetismo è un problema serio
– gli usa sono un paese profondamente religioso (vabbé, non un paese musulmano, ma la domanda era “religione” non “islam”)
io gli avrei citato la cina, o la francia di “liberé égalité guillotiné”
Roberto: non mi maltrattare Torri, sai! Che gli USA li ha citati solo per venire incontro alla signora e non spingerla al suicidio causa domanda troppo scema. E’ un uomo buono.
E poi perchè la Francia? Sono io ignorante o la ghigliottina dorme tranquilla (!?!) da anni?
per dire di 10 centimetri di neve e delle linee ferroviarie lombarde.
sabato sono partito da casa alle 8.30 e sono arrivato a milano alle 15.40. da casa mia a milano sono in tutto 100 km.
però è giustificato, in burundi mica nevica, scusa. e infatti in finlandia il trasporto pubblico non esiste.
@ paolo: facevo un riferimento (colpevolmente oscuro) alla francia rivoluzionaria che proprio nulla aveva di religioso ma ghigliottinava a man bassa (e se non sbaglio l’ultimo decapitato francese è della metà degli anni 70).
@ lia non avevo considerato questo punto: ritiro l’obbiezione, vostro onore
Attenzione alle dichiarazioni tramite blog/rete: uno pensa di scrivere in un angolo sperduto e oscuro e poi si ritrova l’oggetto delle attenzioni che ti scrive in email. Mi è appena capitato (via flickr). E non ho un blog ai vertici della mega-classifica-generale, io :)
ciao
@paolo27: io sono al momento a berlino e come dicevi tu quando si sente aria di neve cominciano a spargere pietruzze e sabbiolina in modo da non permettere al ghiaccio di formarsi…
qui si che sono avanti, eh?
Oh, qui moriamo dalla voglia di un po’ di emozione, Toni’.
Non so come dirlo senza sembrare troppo “razzista” o prevenuto… ma della mancanza di preparazione alla neve da parte dei milanesi me ne ero gia’ accorto.
Vivo in valle d’aosta e come gia’ dissi siamo “colonizzati” da milanesi con la seconda casa e appena cade un po’ di neve vanno in confusione totale. Non mettono le catene anche se e’ evidente che senza non si muovono, eppure le hanno nel bagagliaio. Oppure non le hanno proprio e amano l’esperienza di lanciarsi in viaggi epici in mezzo alla neve, all’ avventura. Visto cio’, non mi stupisce che se nevica a milano le strade e i marciapiedi rimangono impraticabili.
L’autista del pulmann era mica Lunardi o un suo parente? No perché è la seconda volta che gli automobilisti restano bloccati sulle COSTOSISSIME autostrade italiane e Lunardi se ne esce con la storia delle catene. Cioé è vero che dovrebbero averle, ma per i tratti di statale che si arrampica sul fianco di una montagna, non per un’autostrada. E allo stesso modo – anche se non è proprio identica la situazione ma la disumanità sì – l’autista del pulmann pensa solo al suo fine turno e di lasciare 15 cristiani su un lastrone di ghiaccio in piena notte non gli frega niente.
E’ vero: in posti come il Cairo – ma anche in India, per mia esperienza personale – insieme al problema spesso almeno c’è la soluzione.
Ti chiameremo Lia and The City. :-)
orpo.. se aggiungo al commento di Diego dalla Val d’Aosta il mio dalla Liguria sul comportamento dei Milanesi ne esce un quadro troppo pittoresco, non me la sento e – resto in tema – glisso!
;)
Io credo che l’autista non potesse portare i passeggeri oltre. Evidentemente il suo ordine di servizio finiva lì, e non credo che di sua sponta potesse prendersi la responsabilità di portare a destinazione chi ancora rimaneva sull’autobus. Sicuramente avrebbe dovuto avvisare chi saliva che la corsa non sarebbe stata completa… SICURAMENTE …
P.S. non faccio parte del sindacato tramvieri ;)
P.S.2 x Old: ex-mazzini … adesso Zanardi :)))
cambiando discorso, avevo postato nei commenti qualche tempo fa il link ad un’inchiesta di Rainews24 sui retroscena dell’invasione dell’Afghanistan (tra l’altro già recuperato nei backup di internet)
Il link ERA questo
http://web.archive.org/web/20031011095352/www.rainews24.it/ran24/speciali/obiettivo_usa_nuovo/petrolio_rz.htm
e scrivo ERA perchè non c’è più, nemmeno lì
Non è che qualcuno lo avesse salvato?