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Il mio ultimo viaggio al Cairo è stato all’insegna del Mistero dello Smalto per le Unghie.

Nel senso che tempo fa, a Milano, mi capitò di essere l’attonita protagonista femminile del seguente dialogo:
“Ah, ma tu metti lo smalto per le unghie? Tzk. Una musulmana non lo farebbe mai.”
“Eh? Uh? Come? Ma se Il Cairo è la capitale della manicure, te la fanno pure a mezzanotte!”
“Sarà per le straniere.”
“Ehm: no, guarda che ti sbagli. Se c’è una cosa che colpisce, delle donne egiziane, è proprio la cura che dedicano alle unghie! Le vedi con gli smalti più improbabili, te lo giuro!”
“E allora vuol dire che non pregano. Te lo assicuro.”
E, di fronte a tanta sicurezza, una tace.
Che vuoi che faccia?
Anche se in fondo lo sai benissimo, che c’è qualcosa che non va nel ragionamento, ciò che lì per lì pensi è che magari ti sbagli.
Forse ricordi male.
Forse quelle file di donne intente a fare la manicure che incontravi dall’estetista erano tutte cristiane. “No, ma non può essere!”, pensi poi. Te le ricordi col velo, cribbio.
E non è che ne abbia frequentati pochi, tu, di estetisti in Egitto. Avresti potuto farci una categoria di ‘sto blog, con le mirabolanti scoperte che facevi frequentandoli…
Eppure deve essere che ti sbagli.
Te lo garantiscono con assoluta sicurezza e competenza, uhm, dottrinale: “Se una ha lo smalto sulle unghie vuol dire che non prega. Lo smalto invalida le abluzioni, quindi non si può pregare.”

Poi l’avevo rimossa, la cosa.
Un po’ perché – è più forte di me – quell’oggetto sconosciuto che qui chiamano islam mi ha sempre prodotto del malessere, e molto perché sono talmente tante, le discrepanze tra ciò che per me è islam e ciò che la stessa parola significa per altri, che a ripercorrerle tutte ci vuole del tempo. Mica ce la fai in un quarto d’ora.

Arrivata in Egitto, quindi, ho dato inizio alle indagini: “Senti, Julia: ma a te risulta che le musulmane non mettano lo smalto?”
“Eh? Ma cosa dici?”
“Nel senso: ti risulta che le donne con lo smalto non preghino?”
E Julia mi guarda come se fossi pazza. “Senti, le unghie delle nostre alunne te le ricordi pure tu. Cos’è questa storia?”
“No, perché sai… in Italia…”
E lei: “…”

Le mie indagini sono proseguite per tutta la settimana. Dal parrucchiere, nei negozi, in metropolitana e ovunque: non avevo occhi che per le mani delle signore.
Lo dico a Pepe e Julia: “Certo che è curioso: una sta qui per anni, e poi il dubbio sull’incompatibilità tra smalto e religione se lo fa venire in Italia…”
Mi rispondono ululando, entrambi: “Ma chiediti perché, ti pare?? Cosa vorrà mai dire, se qui in Egitto non ti era manco venuto in mente?? Forse che qui non è un problema, giusto?? Chieditelo, santo cielo, e vedrai che ti rispondi da sola.”

Sono andata avanti nelle mie indagini e, alla fine, il risultato è stato quello prevedibile: che, sì, di donne che non mettono lo smalto per non “ostacolare le abluzioni” ce n’è. Negli strati modesti della popolazione, per lo più. E che le altre se lo mettono tranquillamente, appunto.

Perché, in effetti, la cosa che mi sembrava strana era questa: che è un mondo pettegolo, il mondo arabo. Dove la gente non si fa gli affari suoi manco a morire.
E quindi: possibile che avesse un significato così netto e così di rottura, ‘sto benedetto smalto?
Possibile che basti guardare le unghie di una donna, per sapere che non prega? Mi stai dicendo che è una bomba di anticonformismo ribelle, questa signora tondetta e velata con le unghie bianco-latte che, in questa società conservatrice, va dicendo al mondo che lei non le fa, le sue preghiere?
Ma dai.
Non ci credo.

Dice: “Sì, ok, ma queste sono stronzate…”
Dico: “Sì, eppure….”
Dice: “Bah. Quante pippe.”
Dico: “Eh.”

In Palazzo Yacoubian, la giovinetta di estrazione modesta che accetta di fare da seconda moglie al riccone si presenta appunto così: senza grilli per la testa, buona e brava e senza smalto.
Poi succede che passa un sacco di guai, ma vabbe’.

E ne parla anche Randa Ghazi nel suo simpatico libretto, di smalto.
“[…] ma io davvero non lo capisco. Cioè, credi davvero che la preghiera non abbia più valore o ne abbia di meno perché hai su lo smalto?”
Perdinci. Che me ne frega a me.
[…]
“[…] ma questo smalto si può mettere o no? Lo sheikh in tivù ha detto di no, ovviamente, ma sai, lui è un uomo, in fondo che ne sa lui…”
“Senti, Leila. Sto perdendo la pazienza. Tu vuoi sapere cosa ne penso? Penso che questa sia fondamentalmente una stronzata. Che ci siano problemi molto più seri. Che in quanto musulmane abbiamo problemi molto più grossi. E che se vuoi metterti questo dannato smalto, mettitelo, perdio.”

C’è stato un tempo in cui l’islam mi ispirava pensieri seri.
Mi dava persino la percezione della grandezza del mondo, l’islam, e della sua varietà, ricchezza, complessità.
Adesso non ci riesco più.
E non è che non mi dispiaccia: in fondo, dedicare un viaggio in Egitto al Mistero dello Smalto è un modo per ridere e per recuperare, ridendo, quel capitale di passione che avevo e che ho perso. Solo che non è facile.
Sono la cosa più difficile da recuperare, le emozioni perdute.

Credo che il cosiddetto fondamentalismo sia questo: l’islam dei portinai elevato a sistema.
Se fosse qualcosa di più – di più terribile, eroico, importante, complesso – sarebbe meglio.
Si potrebbe ancora parlare.
E sentire qualcosa.
Ma così, no. Non ce la faccio.
Non ci riesco più.

Un’amica italiana convertita mi diceva, l’altro giorno: “Sai: io mi sono convertita all’islam pensando di intraprendere un percorso spirituale, come dire. Invece passo il tempo a dire ad altri italiani come me che, no, il mio cane non è un jinn. E’ un cane. E comunque è marrone, non è nero. Di conseguenza, non può essere un jinn.”

La guardo.
Già.

Che peccato.