(Disclaimer: segue distillato di ombelico)
Ieri ho avuto modo di dovere rivedere – ancora – qualche coordinata della mia esistenza.
Stanotte mi sono svegliata e sono rimasta un po’ lì, a guardare il soffitto senza potere riprendere sonno.
C’era una frase di mia madre che mi si agitava dentro, nel frattempo, e che, prendendo forma e riaffiorando tra i miei ricordi, ha assorbito e reso intellegibile tutto il disagio che mi teneva sveglia, traducendolo in parole.
Le parole che mi servivano per processarmi, cosa che ho provveduto a fare guadagnandomi, così, il diritto di riaddomentarmi solo dopo essermi opportunamente condannata.
Era una cosa del genere, la frase di mia madre, estrapolata da un discorso più ampio e rimasta lì, nell’ombra di qualche meandro nascosto del mio essere, fino a stanotte: “Quel sentimentalismo, quel vedere le cose tutte dal punto di vista emotivo, affettivo, come una servetta…”
E la sua smorfia di quieto disgusto, mentre lo diceva.
E la mia di stanotte, che fissavo il soffitto, ricordavo di essere figlia di una madre brava nella sintesi e prendevo atto della realtà nuda e cruda: lo chiamo affetto, lo chiamo amore, lo chiamo complicità, lo chiamo essere una brava crista ma – le madri vanno ascoltate – sarebbe meglio chiamarlo “sentimentalismo da servetta”, che è quello che poi in fondo è.
Non si è buoni a scapito di sé.
Si è al massimo servette, appunto.
Quando vivevo in un contesto più stabile, difficilmente mi succedeva che la mia intelligenza etica entrasse in collisione con i miei doveri – oltre che necessità – di autodifesa.
Le due cose sembravano convivere perfettamente: non ricordo che l’una dovesse mai affermarsi a spese dell’altra.
Non succedeva, semplicemente.
Suppongo che non succedesse per due motivi: perché il mondo che mi circondava godeva per lo più di buona salute etica, appunto – e questo capita quando ti sei costruita attorno un contesto stabile; in quelli instabili entra di tutto, invece – e perché comunque non ero mai del tutto disarmata. Altra cosa che si dà meglio nella stabilità, come è ovvio.
Un bel circolo virtuoso di prevenzione a tutto campo che, salvo contatissimi infortuni, mi ha permesso di vivere fino a non molto tempo fa convinta che il mondo fosse un luogo amichevole.
Devo decidermi a prendere atto del fatto che – inutile chiedersi perché, e comunque non lo so – forse è meno amichevole di quanto mi venga spontaneo pensare, tutto sommato.
Faccio una fatica immensa a fare un simile salto di qualità. A farlo nel profondo, voglio dire.
E’ come cambiare sguardo.
Che non è una cosa da nulla, non vorrei dire.
Credo che comporti anche dei costi non da poco, l’operazione.
Perché, comunque, tutte le cose che mi vanno bene nella vita lo fanno perché sono esattamente come sono.
Non ho la più pallida idea di cosa succede, se cambio. Sulla carta parrebbe vantaggiosa, l’operazione, ma poi vallo a sapere.
Però, insomma: una non può nemmeno fare la Vispa Teresa a oltranza. Perché poi mi incazzo con me stessa, più che altro.
Non è un modello esistenziale, la Vispa Teresa.
Io mi ero tarata per sopravvivere in un mondo che, francamente, mi pareva migliore di quanto non mi sembri da un po’.
C’è un errore di calcolo, pertanto, e tocca rifare i conteggi e riprendere le misure.
Ho deciso di farmi crescere il pelo sullo stomaco, per farla breve.
Devo avere ecceduto con le depilazioni, temo.
No, non credo che riuscirai a farti crescere il pelo né sullo stomaco, né sulla lingua,. Nonostante la tua mamma usasse categorie discutibili (la “servetta”)aveva colto nel segno, non puoi inventarti da un momento all’altro un distacco aristocratico, una ci deve nascere…e tu/noi -come direbbe Totò – modestamente non ci “nacquimo”! Credo di avere 10/15 anni più di te – sono abbastanza sicura della mia età ma non della tua – e pur non essendomi mai svegliata durante la notte per questo motivo, mi sono ripromessa centinaia di volte di diventare prudente in pensieri, parole, atti… di farmi coinvolgere meno, e poi … è sufficiente che uno studente (eh sì, faccio parte della categoria)non mostri di apprezzarmi quasi incondizionatamente perché io reagisca istintivamente come un’innamorata respinta e ci metta giorni per utilizzare in modo opportuno le eventuali critiche.
La mia di mamma mi dava un consiglio: tieniti lontana da chi, con la scusa di dirti la verità, ti dice cose cattive e offensive che ti fanno male e non ti servono a niente. Ma questo è forse un altro discorso. Ciao
La mamma ha le categorie delle donne della sua generazione, credo. Gli archetipi offrivano maggiori garanzie, allora, e la “Servetta” era una ragazza semplice che si formava sui fotoromanzi, non – chessò – una laureata in Ingegneria travolta dal crollo dell’Unione Sovietica.
Altri tempi.
Comunque non pensavo tanto alla prudenza, quanto al fatto che ho l’insana abitudine di fare prevalere considerazioni di tipo etico-estetico rispetto alla mia convenienza personale.
Il pelo sullo stomaco serve a proteggere proprio dal farsi ostacolare da quelle considerazioni lì, pensavo.
Quanto agli studenti: io sono certa che dentro ognuna di noi colleghe ci sia una ragazzina (o un ragazzino) che non vuole crescere, e forse ha pure ragione.
Ritengo che fare il prof sia una delle scelte professionali più nevrotiche del mondo, ma con una sua saggezza: non richiede pelo sullo stomaco, per esempio. Anzi.
Però non ce le ho più da tempo, tante energie emotive da regalare ai ragazzi.
Io voglio che mi obbediscano incondizionatamente, più che altro, studiando e imparando quello che devono imparare. Il rapporto personale scorre tra le righe di questa premessa, a volte anche in modo assai nascosto.
Anzi, se c’è una frase che dico spesso a scuola è proprio questa: “E non personalizzate sempre, uffa!”
Poi a scuola – tu lo sai – si è tutti animaletti, in fondo, quindi si finisce col sentirsi.
Senza troppe verbalizzazioni, tolte quelle che possono finire su una lavagna.
Non so se conviene, cambiare sguardo.
Per esempio io sono cresciuta pensando che la gente mi volesse e mi avrebbe voluto bene, così, per simpatia. E poi quando ho capito che non sarebbe accaduto così, a nessun livello, ho sì capito che era ora di cambiare prospettiva, ma non sono riuscita a sostituirla con un’altra. Perché quell’altra, quella del pelo sullo stomaco, non era proprio nelle mie corde, non avevo l’esperienza e l’intelligenza per adottarla, e quella di prima ormai l’avevo persa.
Così ora sono senza.
Forse era meglio prima, forse era meglio continuare a sbagliare ma col MIO sguardo.
Ma non sarà invece il solito ritornello: “che gente frequenti”?
O beh… che ci sarà poi di così sbagliato nell’avere “anche” un pò di “sentimentalismo da servetta”?
Io lo trovo adorabile, e lo dico da maschietto! Sopratutto quando si hanno gli strumenti intellettuali per rendersene conto…. e quindi, in qualche modo, per controllarlo. O forse sto dicendo una stupidaggine? Nel senso che se ne sei consapevole il tuo non è “vero” sentimentalismo da servetta, ma piuttosto un borghesissimo concedersi a dei momenti di languore, nostalgia, tenerezza, con parvenze di micro-macro-sofferenza? Chissà… mi sto incartando? Allora riparto (o almeno ci provo!): dunque, vivere dai momenti (anche prolungati, perchè no?) di sentimentalismo da servetta è cosa buona e giusta? Si. Perchè? Perchè è consolante scoprire certe nostre intime dimensioni, spesso soffocate dalla bagarre quotidiana. Avere pelo sullo stomaco è cosa buona e giusta? Si. Perchè?
Perchè il volerci bene (e quindi, difenderci “con la pica y con la espada”) è imperativo categorico, per l’appunto, in quella aggressivissima bagarre quotidiana.
Dimensioni inconciliabili, l’una nega l’altra, o rende quantomeno l’altra “sospetta”? No, dimensioni conciliabilissime. Senza finzioni. E chi se ne frega delle percezioni degli altri… L’importante è la nostra percezione, anzi, consapevolezza, della nostra verità. “Pugno di ferro in guanto di velluto”… oppure “fragile corpo in corazza d’acciaio”… convivere degli opposti, in una realtà che “è” vera e simultanea, semplicemente in alternanza… solo talvolta – raramente – con qualche percepibile concomitanza .
E poi, chi può dire che persino i più rigorosi ingegneri russi, forgiati da riti e miti della Soviet Union non siano capaci di una lacrimuccia di fronte alla più sbragata e sdolcinata delle soap- opera propinate dalla odierna emittenza televisiva made in Moscow? Salvo poi recuperare aplomb e determinazione in un quadro olistico dove lo stomaco è rigorosamente depilato (ma sotto, il pelo, continua a crecsere, eccome!)
Stranamente non riesco a mettermi ben in sintonia con questo post (in genere certe “lezioni di vita” tue le condivido in pieno). Non so se è perché sei tu che sei stata criptica o se è perché sono io che “servetta” non lo sono più (ma non ho la controprova, se si capisce quel che intendo). Però c’è un punto che attrae la mia attenzione e che mi fa pensare: quando parli della collisione tra intelligenza etica i doveri. Io trovo che questo – e senza essere cinica – sia un leit motiv dell’età adulta, con cui infatti mi sto scontrando. E non capisco come per te potesse essere facile un tempo non farli andare in collisione. Ma io parlo di ogni dannata cosa che capita, tu forse parli di qualcosa di specifico.
Ciao, Federica
Anche l’essere buoni risponde ad un bisogno personale…e in questo senso si può essere “servette” in tanti modi e comunque credo che lo si è sempre di sè stesse in fondo.
Un disagio è senz’altro un bene metterlo in discussione (per me “mettersi in discussione” e “consapevolezza” sono ormai dei dogmi dell’esistenza).Ben venga allora farsi crescere il pelo sullo stomaco se è questo di cui si ha realmente bisogno…non ci trovo niente di malvagio in ciò e se non altro,lo trovo un atteggiamento più sincero e realistico.
In fondo gli equilibri cambiano,tutto si evolve e personalmente mi piace l’idea di porsi alla vita come delle leggere canne al vento…
oggi cambi … sapendo ciò che fai e ciò che vuoi … allora scegli …. e sai che se vuoi, puoi renderti tutto più facile …. e allora muori… ma lo avrai scelto tu…. non loro.
io non riesco neanche più a trovare la voglia di esprimerli questi pensieri, finisco in sfoghi rabbiosi come ieri oppure me ne sto in silenzio pensando che – comunque – non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.
e penso che potremmo essere una delle popolazioni con i maggiori problemi di udito.
Le parole di Lia come spunto per ritrovare la voglia di esprimere pensieri.
Però ammetto, è da tanto che entro in questo blog e leggo i vostri commenti e mai mi era venuta voglia di intervenire… è così bello stare pigramenente ad ascoltare, per una come me che – dicono – abbia qualche difficoltà a stare zitta. Ma c’era qualcosa nelle parole di Lia che mi ha fatto pensare a un cambiamento che ho cercato di introdurre nella mia vita e così ho erroneamente pensato che si trattasse di qualcosa di simile. Ho parlato di prudenza in senso lato e forse improprio. Così come l’espressione “farsi crescere il pelo sullo stomaco” per definire un cambiamento di sguardo, l’introduzione di un filtro utilitaristico, mi pare ugualmente personale. Per quanto riguarda l’uso del termine “servetta” non credo che sia generazionale, ma legato a provenienza regionale e sociale.