Come la pensi io, sul tema “Boicottare la Fiera del Libro di Torino“, è presto detto: personalmente, mi sentirei male ad andarci. “Celebrare il 60esimo anniversario” dall’inizio di una guerra che ha fatto, direttamente e indirettamente, milioni di morti, seminando dolore e distruzione in una tragedia che non finisce e non accenna a finire, mi pare folle o, almeno, superficiale in modo agghiacciante. Tanto più che questa celebrazione viene proposta mentre a Gaza la situazione è quella che sappiamo e via discorrendo. Diverso sarebbe stato se, come chiedeva Isabella Camera D’Afflitto, l’organizzazione della Fiera avesse riconosciuto la complessità della ricorrenza prevedendo “uno spazio sostanzioso dedicato alla Palestina”. Saremmo stati di fronte a un evento importante, in quel caso, e lo avrei seguito grata per l’occasione di incontro e di conoscenza proposta, e colma di aspettative. Peccato che non siamo un paese da cui ci si possano aspettare queste cose.
Mi astengo, tuttavia, dal chiamare “boicottaggio” la mia personale intenzione di proteggermi da un malessere, e per i saggi motivi osservati da Leonardo in tempi non sospetti: per allergia nei confronti dell’effetto-Ratzinger. Lo abbiamo appena visto succedere, dai. Lo sappiamo, come funziona. Come ha scritto Enrico Bonatti, a proposito del caso-Sapienza:
Di tutte gli improperi che ci hanno gettato addosso, personalmente mi sento costretto ad accettarne uno: quello di “CRETINI” affibbiatoci da Cacciari. L’Italia è il Paese dei furbi, e chi non è furbo è cretino.
Col senno di poi, vista la conclusione della vicenda, dobbiamo ammettere che i 67 firmatari sono stati poco furbi. Il Rettore ha avuto il suo evento mediatico alla grande. Il Papa ha colto la palla al balzo e, rinunciando all’ultimo momento ad intervenire, ha conquistato l’alone di martire dell’oscurantismo e dell’intolleranza di un gruppetto di scienziati della Sapienza […]
Che dal caso della Fiera di Torino sarebbe venuto fuori un caso-Sapienza-bis, era scontato.
L’aria che tira non permette di discutere perché le discussioni non vertono su ciò che viene detto, dalle nostre parti, ma sulla versione caricaturizzata di ciò che si vorrebbe dibattere. E quindi tocca venire offesi a livello personale da appelli come quello di Montanari che, senza entrare minimamente nel merito delle ragioni di quanti non si riconoscono nel comportamento tenuto da chi gestisce la Fiera di Torino, ti piazza lì l’accusa di volere aggredire la cultura ebraica. Nientedimeno.
Ma si sapeva, appunto.
Non credo sia possibile, in queste condizioni, stare a spiegare che criticare gli organizzatori della Fiera di Torino vuol dire questo: criticare gli organizzatori della Fiera di Torino. Non la cultura ebraica. Gli organizzatori della Fiera di Torino. Lo si può dire, urlare, sillabare (gli-or-ga-niz-za-to-ri-del-la-Fie-ra-di-To-ri-no) ma non serve a nulla. E’ fiato sprecato.
Quando ti vengono a dire (e te lo dicono degli scrittori, non Nino Strano in Senato) che qua si esprime “una solidarietà senza riserve nei confronti degli organizzatori della Fiera del Libro di Torino” e che lo si fa in modo “apartitico, e politico solo nell’accezione più alta e radicale del termine“, tu che dici?
Non sono dei bambini, quelli che si esprimono così. Non possono non vedere quanto c’è di politico, e non di culturale, in come Rolando Picchioni ha gestito questa vicenda. E Rolando Picchioni è un politico, appunto. Non un candido uomo di lettere avulso dalle brutture del mondo.
Deputato nelle file della Democrazia Cristiana dal 1972 al 1983, è stato sottosegretario ai beni culturali dal 1979 al 1981, nei governi Cossiga I e II e nel governo Forlani. Nel 1990 è stato eletto nel Consiglio regionale del Piemonte, dove ha ricoperto l’incarico di capogruppo della DC. Coinvolto nel cosiddetto scandalo petroli, ma assolto. È stato membro della loggia massonica P2 con la tessera numero 2095.
Nel 1995 è stato rieletto nelle file del CDU, ed è successivamente divenuto Presidente del Consiglio regionale del Piemonte (1995-98). In seguito è entrato nel Partito Popolare Italiano, poi nell’Udeur e quindi nella Margherita. È tra gli organizzatori della Fiera Internazionale del Libro di Torino, prima in veste di segretario generale della Fondazione per il libro, la musica e la cultura (dal 1999), e poi di presidente (dal 2005). Nel 2007 ha aderito al Partito Democratico, candidato alle primarie per l’assemblea costituente regionale.
E tuttavia bisogna essere insultati, offesi sul piano personale dalle consuete insinuazioni sulla bruttura morale (non è che un antisemita sia bellissimo, giusto?) che si celerebbe dietro le tue critiche, da chi esprime solidarietà senza riserve e apartitica e politica solo in senso alto a Rolando Picchioni. Vabbe’.
Un boicottaggio è un’azione politica, appunto, e in queste condizioni c’è poco da esprimersi in senso politico. Ci si dà all’esilio interiore, in mancanza di quello effettivo, e amen.
Adesso è uscito un documento, sul sito della Fiera, in cui si dice che non è che fosse proprio-proprio il paese ospite del 2008, l’Egitto, e che ricostruisce la vicenda così (le sottolineature sono mie):
Il 15 novembre 2006 il presidente della Fondazione per il Libro Rolando Picchioni si incontrò a Roma con l’ambasciatore egiziano in Italia Ashraf Rashed. A fine gennaio 2007 Picchioni e il direttore della Fiera Ernesto Ferrero si recarono in visita alla Fiera del Libro del Cairo, dov’ebbero modo di incontrare fra gli altri il presidente della Fiera locale, dottor Nasser El Ansary.
In tale occasione Picchioni consegnò alle autorità egiziane una lettera a firma del presidente della Fondazione per il Museo Egizio, Alain Elkann, con la quale si segnalava l’interesse da parte di Torino ad organizzare intorno alla possibile presenza egiziana un programma di eventi di ampio spettro che coinvolgesse Fiera del Libro, Museo Egizio e altre istituzioni culturali piemontesi, nella prospettiva di poter ospitare a Torino la grande mostra Tesori sommersi d’Egitto, già esposta dal 9 dicembre 2006 al 16 marzo 2007 al Grand Palais di Parigi, dal 5 aprile 2007 al 28 gennaio 2008 a Bonn e in seguito al museo Reina Sofía di Madrid.
Registrato il forte interesse da parte di un main sponsor privato – la Compagnia di San Paolo – e il consenso delle istituzioni torinesi e piemontesi a portare questa mostra nella primavera 2009 negli spazi recuperati della Reggia di Venaria in contemporanea con due altri grandi eventi legati al mondo egizio (una mostra dedicata ad Akhenaton a Palazzo Bricherasio e l’esposizione dei progetti di riallestimento del nuovo Museo Egizio di Torino), la Fondazione per il Libro ha quindi comunicato ufficialmente in data 20 aprile 2007 all’ambasciata d’Egitto l’opportunità di spostare al 2009 la presenza del proprio Paese in Fiera, invitando comunque l’ambasciatore e le altre istituzioni culturali egiziane a intervenire alla Fiera 2007 per un primo incontro organizzativo, poi tenutosi negli uffici del Lingotto l’11 maggio 2007.
La candidatura di Israele quale Paese ospite interviene solo successivamente, nell’estate (luglio-agosto) 2007, attraverso esponenti della società civile torinese vicini alla realtà ebraica, che hanno prospettato ai vertici della Fondazione tale possibilità e offrendo di farsi da tramite con le autorità israeliane.
Ricapitolando: questi qui dicono di essere andati “in visita” al Cairo a gennaio 2007 manco stessero lì per vedere le piramidi. Ricordare che erano lì perché l’Italia era l’Ospite d’Onore della Fiera Internazionale del Cairo sarebbe stato più gentile, diciamocelo.
Inoltre, mettiamola così, devono essersi spiegati male. Perché il documento che riporto qui sopra misura molto le parole, mi pare, e parla vagamente di “eventi di ampio spettro”, mentre sul sito istituzionale del Libro egiziano scrivevano, poveretti:
The Turin Fair (Torino)
Dr. Nasir al-Ansari, GEBO chairman, heading a delegation including Ahmad Salah, head of the Central Administration for Fair Affairs, and Dr. Ahmad Mugahid, President of the National Centre for Children’s Culture, visited Turin, Italy, to discuss preparations for the participation of Egypt as a guest of honour in the Turin Book Fair 2008. The Egyptian Pavilion at the said Fair has been reserved (an area of 800 m2). Apart from books, covering all branches of knowledge to be presented, the Fair will host cultural seminars and artistic soirées.
It is noteworthy that Turin hosts the second largest Museum of Egyptian antiquities, after the Egyptian Museum in Cairo; such are the close relations between the two countries.
E, a dimostrazione che non è che si fossero sbronzati di tè alla mente, gli egiziani, il sito dell’Istituto per il Libro del nostro Ministero per i Beni e le Attività Culturali scriveva, a gennaio 2007:
E ancora, su questa scia, un altro importante accordo quello siglato proprio in questi giorni al Cairo da Rolando Picchioni, segretario generale della Fondazione per il Libro la Musica e la Cultura per avere l’Egitto come ospite d’onore alla Fiera del Libro di Torino nel 2008.
Ma vabbe’, piccoli malintesi. Viene voglia di conoscerli da vicino, però, gli organizzatori del tutto. Perché ‘sta benedetta Fiera, a quanto pare, è rimasta senza sapere chi invitare da aprile ad agosto del 2007 quando, provvidenzialmente, dei cittadini torinesi vicini ad Israele gli hanno detto: “Ehi, ma visto che siete senza ospite d’onore, che ne direste di invitare Israele?“
E loro: “Caspita, idea geniale!“
Senza manco farsi venire in mente che, casualmente, questo era l’anno del 60esimo anniversario del più grande casino che il Medio Oriente ricordi, altrimenti detto Nabka, oltre che della nascita di Israele.
Giuro, non me lo invento.
Perché il documento apparso sul sito della Fiera, e di cui riporto uno stralcio qui sopra, si conclude così:
La coincidenza dell’inaugurazione della Fiera 2008 con le celebrazioni del 60° anniversario della fondazione dello Stato di Israele viene ad essere pertanto un’evidente, assoluta casualità.
Be’, che dire. Io ci ero rimasta male perché credevo fosse una cosa importante, la Fiera di Torino, e che la sua organizzazione fosse gestita con criterio. A giudicare dalla loro ricostruzione dei fatti, posso solo pensare che avevo sopravvalutato il tutto. L’impressione è quella di un evento di provincia, gestito male e organizzato come capita e quasi per sbaglio. Non valeva manco la pena di stare a concentrarcisi.
Qualcuno si è chiesto come mai ci si fosse dispiaciuti qui in Italia, per il bidone preso dall’Egitto, quando non pare che il governo egiziano abbia protestato. Io posso solo dire che la stampa egiziana non circola, da queste parti, quindi nessuno sa veramente come l’abbiano presa da quelle parti. Gli intellettuali egiziani, a quanto ci è dato sapere, hanno manifestato solidarietà ai palestinesi, più che concentrarsi su questo aspetto della vicenda. Ho chiesto a gente che sta al Cairo di raccontarmi come è andata, vista da lì, e non mancherò di raccontarlo a mia volta.
Va detto, però, che non è che abbia un grandissimo potere contrattuale, l’Egitto, e tantomeno in queste cose. L’unico che aveva, ovvero offrire all’Italia il ruolo di ospite d’onore nella loro fiera, lo hanno già speso. Mi pare ragionevole pensare che le loro autorità abbiano abbozzato per non compromettere il 2009, a questo punto. Quello che poi pensa la gente, come quello che pensano gli scrittori e gli intellettuali in generale, in Egitto non è, come dire, importantissimo.
Sono certa che i nostri Picchioni e compagnia, uomini di mondo, abbiano saputo trovare gli argomenti giusti per rabbonire le persone giuste.
(Per una visione d’insieme su come l’argomento viene analizzato in rete, rimando a questo post di Georgiamada.)
“Io ci ero rimasta male perché credevo fosse una cosa importante, la Fiera di Torino, e che la sua organizzazione fosse gestita con criterio.”
Beh, importante lo è, oggettivamente. E’ uno degli eventi-chiave nell’industria editoriale. Ed è grande, magniloquente, elefantiaco. Una kermesse che muove milionate di euro.
E un criterio c’è: quello che hai appena descritto :-)
L’appello di Montanari, sigh, è forse il più *brutto* che mi sia toccato leggere da diversi anni a questa parte.
E non per un mio semplice disaccordo coi contenuti: di appelli con cui non ero d’accordo ne ho visti passare tanti, e non mi è mai venuto in mente di definirli “brutti”. Ho usato altri aggettivi, non quello.
Questo invece è davvero *brutto*, perchè è grezzo, sciatto, scritto male.
Tu mi dirai: ammazza quanti ce ne stanno, di appelli sciatti!
E io ti rispondo: vero, dai centri sociali ho visto uscire robe che sfidavano qualunque analisi logica, foreste pluviali di relative e subordinate. Tuttavia, questo è un appello *di scrittori*, di gente che in teoria lavora le parole come il fabbro lavora i metalli.
Per dire, da un po’ di tempo a questa parte Martin Amis scrive e dice idiozie terribili su Islam, terrorismo e scontri di civiltà, però si vede uno sforzo, a volte addirittura titanico: il tentativo (sovente non riuscito) di evitare le banalità, di scegliere con cura le parole per farle risuonare di significato. Amis piscia fuori dalla tazza dal punto di vista dei concetti, ma cerca di non tradire la missione dello scrittore.
Stessa cosa potrei dire per Vargas Llosa: disprezzo quel che dice e il suo personaggio pubblico, ma dopo averlo letto mi lascia qualcosa, sento che le parole non sono vuote.
Invece qui la fretta, la superficialità, l’impulsiva reiterazione del frusto cliché sull’antisemitismo sono *doppiamente* imperdonabili, e io, che sono a mia volta scrittore, mi ritrovo *doppiamente* amareggiato.
Per quanto ho capito c’è stato uno “scippo” dell’indirizzo del tema di questa “fiera”, con una arbitraria sostituzione del “contenuto” con un altro “contenuto”.
Chiamiamoli “giochi di prestigio”.
Mi domando: “una nazione come la nostra, con il più basso indice di lettura di testi letterari d’Europa, (escluso la lettura del Corriere dello Sport, Della Gazzetta dello Sport, di Tuttosport, Novella 3000, Oggi, Visto e Play Boy e similari.. riviste che mostrano qual’è il vero interesse nazionale), perchè tanto clamore?”.
Credo che tutto questo “casino”, nasca dalla preoccupazione di qualcuno, di voler “calmare gli animi”, viso il recente successo del libbro “La Casta”, la nascita del movimento di Beppe Grillo, “l’invito a Benedetto a starsene in Vaticano”. Che il Popolo Italiano si stia svegliando?
E’ vero, in un appello “di scrittori” si dovrebbe stare attenti a come si usano le parole.
grazie. grazie perché qui ho letto. perché sono proprio scomparsi i fatti, nel nostro paese, e si parla senza avere la premura di cercarli. grazie. ciao.
Caro Wu Ming 1, o come preferisci essere chiamato, io ti posso dire invece che la tua risposta è l’unica davvero fuori luogo e offensiva che ho letto in questi giorni. Per questo è l’unica su cui intervengo.
Nel momento in cui ho scritto l’appello e ho deciso di farlo postare in siti come Nazione Indiana, era evidente che stavo deliberatamente andando in cerca di guai e che mettevo in conto obiezioni anche violente a quello che avevo detto.
L’ho fatto perché mi interessava il parere di persone che, politicamente, si trovano dalla parte dove sto io. Cioè persone che, detto in parole povere, al fianco delle comunità oppresse stanno da sempre; e che però desideravo provassero a riconsiderare criticamente un certo meccanismo di alternanza secca, esclusiva, binaria, fra la causa palestinese e Israele.
Il risultato, in termini di quantità e qualità, è andato talmente al di là delle aspettative da lasciarmi sbalordito. Non pensavo che avrebbero aderito tanti scrittori, critici, intellettuali e lettori, e soprattutto non mi aspettavo di vedere nell’elenco nomi come Genna o Moresco, Colaprico o Voltolini, tanto per citarne solo quattro di cui è difficile mettere in dubbio la radicalità delle posizioni.
Qualsiasi discussione sui contenuti dell’appello è sacrosanta; siccome sono della vecchia idea che “in una discussione vince chi è più sconfitto da ciò che impara”, io ho imparato così tanto da molti degli interventi critici che ho letto, che per questi provo solo gratitudine.
Però, amico mio, le tue osservazioni da maestrino in cui parli di “bruttezza”, di una cosa “grezza, sciatta, scritta male”, e per accostamento con gli appelli dei centri sociali tiri in ballo l’analisi logica (dove stanno gli errori di analisi logica in quell’appello? Vuoi gentilmente illustrarli, per nostra edificazione e ammaestramento?) per finire addirittura col dichiararti amareggiato come scrittore, sono, queste sì, un bel colpo basso, tirato mirando ai coglioni e sbagliato solo perché quando uno non sa leggere è difficile che riesca anche a colpire un bersaglio.
Non so chi ti qualifichi nel dare patenti di bella scrittura ai testi altrui. Per quanto mi riguarda, sono qualificato quanto basta per sapere cosa mi esce dalla tastiera.
Aggiungo un dettaglio: dopo aver scritto l’appello, l’ho mandato a Loredana Lipperini, Gianni Biondillo, Gian Paolo Serino e Tiziano Scarpa, proprio per proporre a queste persone di postarlo nei siti di pertinenza di ciascuno, se lo trovavano condivisibile. A quello stadio era perfettamente possibile intervenire proprio sul testo; non ci sarebbe stato niente di strano nel dire: “Sono d’accordo nella sostanza ma qui e qui il concetto mi sembra mal formulato”.
E infatti un intervento c’è stato. Quello di Tiziano Scarpa, cioè di una persona che non sono solo io a considerare un autentico maestro di scrittura e di lettura. Scarpa ha notato che per un lapsus avevo usato l’espressione “Salone” del Libro invece di “Fiera”, e ha suggerito di correggere. Basta, il resto andava bene così. Nella forma almeno, ripeto; perché sui contenuti ciascuno può dire la sua, per fortuna.
Saluti a tutti e grazie per l’ospitalità. Non ho altro da dire.
Credo, Montanari, che Wu Ming 1 non si riferisse all’analisi logica, definendo il tuo appello sciatto e scritto male, ma a qualcosa di più grave: la mancanza di qualsiasi tentativo di compiere lo sforzo che riconosce ad un Amis, ad esempio. Quello di “evitare le banalità, di scegliere con cura le parole per farle risuonare di significato”.
Vederti cogliere correttamente il senso della sua critica mi avrebbe, te lo confesso, tranquillizzato.
Fantastici! Wu Ming 1 & Lia. Oltre la sostanza è la forma, che nonostante sia corretta, non vi soddisfa da un punto di vista estetico. Le parole dell’appello non “girano”, non si appoggiano piacevolmente sul palato nè rimbombano nella testa. Posso dirlo? Ma sì dai, da lettore appassionato e della prima ora del collettivo non mi sarei mai aspettato da Wu Ming 1 un commento così superficiale. E la tenutaria del blog che si sentirebbe male a mettere piede alla Fiera del Libro? E’ un’immagine meravigliosa, sia mai che incontri un Grossman o un Yehoshua e le venga un mancamento. ‘Sti israeliani, se non ci fossero sarebbe tutto più semplice, anche lo scrivere quattro parole per dire che non si è d’accordo con uno stupidissimo boicottaggio.
Veramente, in un articolo comparso su La Stampa online, Avrham Yehoshua (che tutti mi dicono essere uno scrittore molto impegnato sul fronte del pacifismo…a leggere l’articolo non si direbbe) dice chiaramente che Israele andrà a Torino per celebrare il 60° anniversario. Per quanto riguarda quell’appello, lo trovo fuorviante. Avrei potuto firmarlo anche io. La mia personale posizione radicalmente antisionista non mi impedirebbe in alcun modo di apprezzare la cultura o la letteratura ebraiche, presumo (il condizionale è dettato dal fatto che, ahimè, non le conosco). Purtroppo però, la decisione presa dagli organizzatori della fiera, per le modalità e le motivazioni con cuiè stata presa, ha inevitabilmente ed irrimediabilmente trasformato una manifestazione culturale, che avrebbe potuto essere un’occasione di dialogo fenomenale, in un evento politico di natura meschinamente propagandistica. E da questo, sinceramente, non riesco a prescindere. Nè credo sia giusto farlo.
Faccio passare l’ozioso commento di PietroDG giusto per ribadire, ancora una volta, che non è Yehoshua e compagnia, il problema.
E’ l’ultima volta che lo ripeto, però.
Vorrei che ci si sforzasse di cogliere il punto, se proprio ci si vuole esprimere. Inutile dire che, al di sotto di una soglia minima di sensatezza, i commenti su questo blog non passano.
Dai, che propongo un quiz.
Qui sotto, una foto (bruttina, ma col cellulare questo riesco a fare…) della mia postazione pc.
Ricchi premi a chi riconosce il signore che veglia sulla mia scrivania e me lo situa culturalmente. ;)
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Montanari, sarai anche un bravo scrittore di romanzi ma come lettore delle opinioni altrui lasci a desiderare almeno quanto lasci a desiderare come autore di appelli e petizioni.
Basterebbe quello che ti ha risposto Lia, ma vabbe’, ti ripropongo qui un commento che avevo già lasciato su Nazione Indiana ma che evidentemente non hai letto. Andrea Inglese mi chiedeva:
“Quale formulazione più corretta avrebbe dovuto avere l’appello secondo te?”
Io ho risposto così:
—–
Non bisognava proprio scriverlo. Quella sarebbe stata la migliore formulazione. Ma visto che s’è deciso di scriverlo, si poteva almeno metterci dentro ciò di cui ha riscontrato la mancanza Carla Benedetti, che ha scritto l’intervento più chiaro e diretto su tutta la questione.
E diciamo pure che da scrittori mi attendo – e credo sia doveroso attendersi – un uso più preciso ed efficace delle parole e dei concetti in esse incorporati. Già confondere stato di Israele e cultura ebraica è a dir poco crasso, e quindi è a dir poco crasso l’intero appello, perché quella confusione è alla base di ogni frase.
Se poi esaminiamo con attenzione questo passaggio:
“le opinioni critiche, che chiunque fra noi è libero di avere nei confronti di aspetti specifici della politica dell’attuale governo israeliano”
beh, questa frase è orrenda. Involuta, indiretta, fiacca, e voglio sperare che il problema sia solo stilistico, perché sembra scritta dall’ultimo dei politicanti arruffoni, non dall’autore di “Chiudi gli occhi” e “L’esistenza di Dio”. Circoscrive e circoscrive e circoscrive finché le eccezioni non sbranano il principio di fondo e si perde ogni minimo senso. Raul Montanari doveva essere posseduto dallo spettro di Pietro Longo, quando ha buttato giù queste parole.
Lo sanno anche i sassi che, comunque la si pensi, il problema israelo-palestinese riguarda nodi di fondo strutturali e storici, riguarda le basi materiali di quel paese, riguarda l’economia di quell’area, riguarda la geopolitica figlia della 2a guerra mondiale, ed è storia che si sedimenta da sei decenni, non questione di “aspetti specifici” della politica del governo “attuale”.
L’estensore dell’appello, in apparenza concedendoci (bontà sua!) la libertà di criticare, in realtà circoscrive il criticabile alla superficie di un presente senza origini né sviluppo, e in sostanza afferma che chi andasse più a fondo, chi si sentisse libero di esprimere una critica più vasta e solida in quanto radicata nella storia e nell’economia, sarebbe per ciò stesso un nemico della “cultura ebraica”, cioè di se stesso. Un autolesionista.
Ecco, questo intendevo quando ho usato l’avverbio “maldestramente”.
Non so quanto sia fondata la recente notizia. Sembra che il “Cannocchiale”, da poco oscurato, non avesse tutti i torti nel rendere noto il numero di docenti di origine ebraica alla Sapienza di Roma (oltre 160 docenti).
Se compariamo il numero di questi docenti in ragione al numero totale di docenti della Sapienza, troveremo una sproporzione abnorme tra gl’italiani ebraici e gl’italiani stessi, in rapporto alla quantità numerica dei 2 gruppi.
Se a questo aggiungiamo quello che è accaduto a Torino, si ha l’impressione che il mondo Sionista stia promuovendo un attacco senza precedenti all’indipendenza culturale nel nostro paese.
Non bastavano, i poteri forti tradizionali, della Chiesa Romana, della Confindustria… ma anche quello Sionista.
Sono contento di leggere, in maggioranza, autori stranieri. Come si fanno a definire due schieramenti? Cercando alleanza con chi la pensa come noi. A Francoforte quest’anno l’ospite è la Turchia. I tedeschi avevano già invitato Israele nel 2005, per il 40° anniversario dei rapporti diplomatici fra Israele e la Germania. La Francia ha invitato Israele quest’anno. E l’Italia ha fatto lo stesso. Certo sarebbe stato bello avere tre diversi paesi ospiti in ognuna delle tre manifestazioni. Come Europa, non si dovrebbe cercare di ripetere un avvenimento a pochi mesi di distanza, ma avverrà così. Dico, aldilà di boicottaggi etc. Come se ci fosse una gara ad invitare il personaggio importante in occasione del suo compleanno. E questa è forse la cosa peggiore. La cultura e letteratura ebraica non è nata 60 anni fa, ma ok. Insomma, si vuole festeggiare Israele. Una volta, è più che sufficiente, no? In Europa ci sono non so quanti saloni o fiere del libro molto importanti, qui ne ho citate 3, se ce ne sono altre, non lo so. scusate. Però si potrebbe pensare ad un bel circuito, ad un modo in cui le varie ferie possano dialogare tra loro. Invece di ripetere appuntamenti tra una fiera e l’altra. Per dire. Certo, mi sforzo di pensare che dietro non ci siano motivi politici, ecco. Diciamo che non ce ne sono. Beh, se non ci sono motivi politici, che senso hanno due fiere con lo stesso ospite etc? e niente. scusate la lunghezza, e la probabile confusione di queste parole. ciao.
Caro Wu Ming 1, accetto con piacere le tue scuse, anche a nome di tutti i presenti e intervenuti (scusami questo participio dal sapore così burocratico).
Per rispetto verso chi amministra questo blog, pensavo infatti che l’intervento che avevi fatto qui bastasse a se stesso, fosse “self explanatory”, come dicono gli inglesi con una delle loro ottime sintesi. Che fosse stato pensato e organizzato retoricamente in modo lucido, insomma. Non credevo che si dovesse andare a leggere quello che avevi detto altrove, per capire le tue argomentazioni, che poi in buona parte ripropongono il tono didattico sperimentato anche qui, con una concessione cavalleresca in più allo status del criticato.
Per me non c’è problema, comunque.
La stima è reciproca, a tal punto che io non ho mai creduto che le amenità che hai scritto qui sulla sintassi dei centri sociali fossero il prodotto di un pensiero vago, da abbiocco postprandiale.
Figurati, dato che lo scrivente eri tu io immaginavo invece che si trattasse di un entimema! Cioè di un falso sillogismo che metteva deliberatamente in relazione due cose (il mio appello e i proclami maldestri a cui ti riferivi) che invece non c’entrano nulla. L’entimema è la figura retorica di base della comunicazione persuasoria in generale e pubblicitaria in particolare: faccio vedere una modella stratosferica che sale su una 500, e agli occhi dei gonzi l’accostamento è fatto. E’ un eccellente strumento dell’eristica, l’arte di aver ragione nei dibattiti.
Per questo sottile motivo, ripeto, pensavo che avessi tirato in ballo a sproposito i centri sociali. Invece stai dicendo a me e a Lia (che non mancherà comunque di ribadirti la sua compunta solidarietà) che scrivevi così, in uno stato di sonnambulismo e di approssimazione; che i centri sociali non c’entravano e che in ogni caso ti eri espresso meglio altrove.
E quei riferimenti a Martin Amis e a Vargas Llosa, alle loro parole “risonanti”?
Vedi a quali prove la vita ci sottopone: in mancanza di Vargas Llosa tu ti devi accontentare di Montanari, come estensore di appelli insensati, sciatti e nazi-sionisti a cui aderisce una marea di imbecilli (lo so, non sei stato tu a usare l’espressione “nazi-sionista” – in compenso io non ho mai usato l’espressione “antisemitismo” che ormai mi viene attribuita per default); io mi devo accontentare di te come critico di questi appelli. Va sicuramente peggio a te, dai, diciamolo.
Portiamo pazienza tutti e due. Continuerò a leggerti con molta ammirazione, e lo sai; specialmente, concedimelo, quando scrivi i tuoi libri e ti prendi tutte le tue responsabilità autoriali nel modo che sappiamo.
PS Stravaganze mie e altrui a parte, ripeto: massimo rispetto per le critiche ai contenuti, come quella su “cultura ebraica” (Wu Ming 1) e “cultura occidentale” (Golinelli, d’altronde noto esponente del minimalismo sudvietnamita ed ex star di un programma televisivo della Micronesia – non occidentale, quindi! – che assomigliava da matti al Maurizio Costanzo Show). Anche l’intervento della Benedetti è sui contenuti. Queste notarelle su buona o cattiva scrittura non capisco a cosa portino. Sarebbe come se io eccepissi su quel “sigh” dell’intervento di Bui, facendogli notare che si tratta di un imbarazzante scarto di registro dentro la sua prosa che non è mai scioccamente pop. Ma cosa c’entra?
Queste discussioni servono solo a perdere tempo, temo. La dignità e la potenza della scrittura sono un altro paio di maniche, e lo sono anche la causa palestinese e Israele.
PPS Ho una soluzione: invece di disquisire sulla pessima scrittura di questo appello, lanciatene uno voi, avanti, dato che questo è l’invito implicito ed esplicito di alcuni interventi critici. Cominciate pure le diatribe e i distinguo sugli aspetti formali del testo; ci si risente qui fra un mesetto (se va bene).
Giulio Romano si sta facendo uno sforzo per riportare il dibattito sul medio oriente in un contesto di consapevolezza, approfondimento e rifiuto dei facili schematismi, non puoi mettere in poche righe un concentrato di tutto il contrario, dai. Non è mica una gara a chi la spara più grossa o chi ha il complesso dell’accerchiamento più bello.
Dare credito e condividere i proclami di un sitarello dell’estrema destra senza informarsi di cosa si tratti, mettere sullo stesso piano un dibattito serio e pubblico come quello sulla fiera e un rigurgito del sottobosco squadrista squalifica quello che stiamo dicendo. Oltre a confermare le paure di chi vede questi temi in un’ottica di un allarme permanente che impedisce qualsiasi razionalizzazione.
Non è tra i poteri forti che va ricercata l’origine dei nostri problemi ma tra i poteri deboli di una società ammaccata, di una cultura smarrita, di un’informazione rinunciataria, di una politica che non media più le istanze e via dicendo.
E gli stessi poteri forti si incarogniscono anche in quanto interpreti deboli del presente e cercano di prendersi forzando quello che non ottengono per rappresentatività.
Tocca rimettere in moto le idee, difendere la complessità, non rifugiarsi nelle paranoie.
x Tonino:
Non è tra i poteri forti che va ricercata l’origine dei nostri problemi ma tra i poteri deboli di una società ammaccata, di una cultura smarrita, di un’informazione rinunciataria, di una politica che non media più le istanze e via dicendo.
E gli stessi poteri forti si incarogniscono anche in quanto interpreti deboli del presente e cercano di prendersi forzando quello che non ottengono per rappresentatività.
… e allora? Lo vedi anche tu che alla fine sono sempre gli stessi attori (i poteri forti, perchè il dissenso NON HA VOCE e non per sua volontà).
Il cittadino rimane succube ed estraneo al tutto. Non venirmi a parlare delle possibilità di scelta democratica in Italia (accordo Veltroni-Berlusconi) o di possibilità di scegliere i candidati (con le liste bloccate).
Il popolo ha solo la possibilità di non andare a votare. In tutti gli altri casi, scheda nulla o bianca, è considerata “espressione di voto” e quindi ripartita in modo proporzionale.
Montanari scusa, ma se il confronto deve avvenire sui contenuti, perché la prima obiezione a cui ti senti di rispondere è proprio di tipo estetico?
Temo che avere circoscritto l’appello a pochi concetti generici abbia ottenuto sì una ampia e rapida condivisione, ma ora renda più difficile aprire un confronto, persino per voi.
Infatti a parte le varie precisazioni di chi l’appello non l’ha condiviso, nelle risposte di chi l’ha sottoscritto il merito della situazione che lega israeliani e palestinesi (ma anche dell’area circostante che non è nemmeno stato toccato) scivola via via verso il margine, lasciando spazio a considerazioni astratte su dialogo, militanza, letteratura.
Giulioromano: bhe c’è politica e vita culturale anche nei paesi in cui non si vota. Perché nonostante tutte le garanzie e gli agi di cui godiamo c’è una tale omologazione del pensiero?
Tonino, non era un’obiezione di tipo estetico ma di natura professionale. La cosa è un po’ diversa, ne converrai, visto che scrivi e pensi come una persona decisamente intelligente.
Si può dire quello che si vuole sull’appello, ma rinfacciare a me che nell’estenderlo non mi sono comportato da scrittore è altro: è un attacco personale bello e buono, una voglia di colpire alla cieca, ‘ndo cojo cojo, senza distinguere il prodotto dal produttore.
Infatti, quando nel primo intervento ho accennato a una questione di contenuti su cui fin qui si era sorvolato, non è partita nessuna discussione al riguardo. Eppure basta rileggere le prime dieci righe di quel post per rilevarla. Era più divertente il peto in faccia, sport praticatissimo nei blog, dove è favorito dall’effetto-parabrezza. Come gli automobilisti si scambiano dagli abitacoli delle auto insulti che non pronuncerebbero mai viso a viso, così sui blog l’attacco velenoso è sempre una grande tentazione, visto che lo schermo del computer fa anche da schermo nell’accezione originaria del termine.
Per il resto, la tua osservazione è interessante: anch’io sono colpito dalla secchezza di molti “Aderisco”. Dire che possa dipendere dal modo in cui l’appello è formulato non mi sembra un rilievo peregrino; ma io dovevo pensare anche a questo? Prevedere anche questo? Andateglielo a dire a loro, no?
Mi pare che basti davvero, adesso. Il resto si spiega davvero da sé, e rilancio la sfida del precedente PPS. Ma immagino già la risposta: “Hai rovinato tutto con quel tuo testo così malscritto, a questo punto che possiamo fare noi che invece, se ci fosse venuta l’idea, l’avremmo scritto benissimo?”.
Ciao a tutti. Verrò a leggervi ma non interverrò più.
Montanari, il mio primo commento era perfettamente self-explanatory, tanto che Lia se lo era benissimo explained da sola e poi ha dovuto explain a te che lo avevi misunderstood perché lo avevi letto in a hurry.
La further precisazione era soltanto, e mi sembrava di averlo precisato, per quanti lasciano a desiderare come lettori di opinioni altrui (cioè: they don’t understand e, senza aver understood, scattano come molle in difesa della propria onorabilità di Authors), almeno quanto lasciano a desiderare:
– come estensori e promotori di appelli;
– come arguti commentatori;
– come arrivanti al punto;
– come gareggianti a chi ce l’ha più longer, se non addirittura longest.
Comunque, il tuo appello era shameful.
And don’t call me “amico mio” because we never met each other before, never talked or wrote to each other, and you’re “mai coverto” in my radar, at least not as an opinionista.
Ciao.
Qui:
LIBERARSI DELLA MENTALITA’ DEL GHETTO
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap20_VIIIa.htm#ghetto
(con in nota un ringraziamento a Lia)
seguito da una
POSTILLA SU UNA COMMEDIA DEGLI ERRORI: ISRAELE ALLA FIERA DEL LIBRO
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap20_VIIIa.htm#errori
Lia: quello della foto sembra Bertrand Russel, ma potrei sbagliarmi.
Di tutta questa vicenda – passata in un amen da evento culturare a evento politico – l’unica cosa che mi sento di segnalare è il modo cialtrone e approssimativo con cui è stata gestita.
Come ho detto a Lia via Gtalk, il Salone del Libro s’è messo – per quanto mi riguarda per pura superficialità e approssimazione, ma potrebbe esserci del dolo, non so – in una situazione difficile ed è riuscito, tentando di sistemarla, a fare pure peggio.
E’ una cosa tutta nostra, italiana, questa capacità di fare le cose veramente male.
Gli scrittori israeliani sono fra i pochi ad essere in disaccordo con le azioni del loro governo. Ok. Infatti il problema non sono mica loro.
Se però si era preso un impegno con l’Egitto (mica con mazzabubbù) perché fosse ospite del salone – allo scopo di ricambiare l’ospitalità fruita – sarebbe stato il caso di rispettarlo.
Ricordo vicende simili anche in alcuni uffici dove facevo consulenza: due persone prendevano, senza parlarsi, iniziative parallele e incompatibili e poi bisognava cercare di metterci una pezza. E nessuno delle due “brillanti menti” si sognava di chiedere scusa dopo o di farsi venire il dubbio che prima di partire con la propria iniziativa era il caso di fare, chessò, una piccola riunione di raccordo.
C’è questo approccio caotico e approssimativo che mi sembra una costante in molte cose, pubbliche come private, culturali come di business.
Impacchettando tutto questo in poche parole: l’Italia s’è fatta una figura misera, senza nemmeno l’onore – si fa per dire – di essere considerati dei veri “stronzi”, ma con quella commiserazione che fa alzar le spalle agli altri paesi e dire “poveretti, han fatto un altro pasticcio”.
PS: Quando in uno spettacolo di danza si provano i passi in maniera approssimativa e senza cura, solo per memorizzarne la sequenza, si dice “provare all’italiana”.
No, per dire.
Azz…volevo dirlo anch’io, ma ero indeciso tra Russell e Walter Chiari. :-D
Ciao a tutti/e,
a stemperare ridente i toni mi candido per il concorso di riconoscimento fotografico scrivendo
Raimon Panikkar.
Almeno credo, comunque è amabilissimo, bello, colto e ironico. Ottima scelta!
Se non lo conoscete scopritelo, sa dialogare assai bene…
Todoelbien.
Moxli
Credo che il signore dalla faccia simpatica che veglia sul pc di Lia non sia nè Russell nè Walter Chiari nè Pannikar, ma Cesare Musatti. Non so molto di lui ma ebraismo psicoanalisi e teatro (dei pupi italiani?) dovrebbero farne il candidato ideale all’interno della discussione. Ma Lia ne sa dire sicuramente meglio di me.
Aleksis
Esatto, Aleksis. Bravissimo. :)
Andai in Israele la prima volta affascinata dal suo librettino “Psicoanalisi ed ebraismo”, nel pieno della mia ortodossissima analisi freudiana. Poi, vabbe’, capitai in Palestina e quella è un’altra storia.
Ma quel poster di Musatti che dice “Noi non siamo uno solo” mi accompagna da una quindicina di anni, ovunque io vada, ed è il mio santino protettore.
Nel monolocale di Milano, non potendo fare buchi alla parete per appenderlo, lo poggiai sul bidet e lì rimase per un anno, con grave perplessità di mia figlia che trovava alquanto impressionante adoperare l’aggeggio davanti allo sguardo ironico del nostro sornione psicoanalista. :)
Adesso l’ho rimesso davanti al mio pc, che è dove deve stare.
E’ l’amico mio e, sicuro, veglia su quello che scrivo. :)