Dice: “Ma perché essere rosso-bruno* è male? E che c’è di sbagliato nel fare un pezzo di strada, per cause sacrosante come la Palestina o l’antirazzismo, assieme a questi bizzarri tipi che, vabbe’, avranno passati inquietanti e presenti confusi ma, insomma, sono tanto idealisti e dicono tante belle cose?

*Rosso-bruni: destra radicale e sinistra convinti di avere obiettivi comuni.

Già. Perché è una pessima idea? Sarò breve: perché si dà spago a un ambiente asfittico e settario, zeppo di brutti tipi, dove la componente rossa ci mette la protesta e la componente bruna fa scivolare le idee, spacciandole per islam.

Ok. Ora proviamo a spiegarci meglio, una cosa alla volta:

Perché il rosso-bruno è settario, ed essere settari è Male.

L’habitat naturale del settario consiste in un piccolo “noi” circondato da un grande “loro”. Il settario vive quindi in una dimensione eroica, e grande è il tempo che investe a smascherare traditori e a sventare congiure del Grande Loro, altrimenti detto Mondo Esterno. E’ un paranoico che, in un mondo ostile, ha sempre ragione e che se non si difende perisce.

Questa è una forma di protervia mentale, ovviamente: il settario non pratica lo spirito critico verso il proprio gruppo, ché altrimenti non sarebbe settario, e può – deve, anzi – permettersi di eliminare l’autocritica dal proprio orizzonte. In questo modo, il settario diventa uno che può fare le cose più abiette e non vederle.

Io credo che queste siano caratteristiche antropologiche, più che politiche. La politica si limita a far loro da contenitore. Non è strano, quindi, che attorno a una determinata causa (la Palestina, metti) si riunisca gente che viene dall’estrema sinistra come dalla destra radicale, da esperienze religiose di nicchia come da qualsiasi possibile carboneria. Non dipende dalla causa in sé, quanto dal bisogno del settario di riproporre un Noi contro un Loro all’infinito.

Poi, come tutti, il settario cresce e invecchia. E, come tutti, si ritrova ad essere sempre più tiepido sul piano della Fede e a compensare la perdita di entusiasmo con l’affinamento delle capacità affabulatorie. E qui sopraggiunge la debacle etica, naturale punto di arrivo di ogni settarismo: sei un vecchio paranoico che ha passato la vita a fare il carbonaro, e quella che da giovani poteva chiamarsi ‘capacità di dedizione’ diventa, in vecchiaia, pura e semplice mancanza di scrupoli, mentre la Causa cede terreno all’interesse personale.

L’ultimo settario che ho conosciuto è un tizio, dirigente di un ente pubblico, che è da 40 anni in un gruppuscolo di estrema sinistra, nonché astensionista. E, a proposito delle elezioni, mi diceva: “Ma guarda che non è un male che abbia vinto Berlusconi. Anzi. I contratti migliori, per noi del pubblico, arrivano sempre quando governa la destra.” Ecco, appunto. Il settario vecchio, ovviamente, questi discorsi te li fa esclusivamente quando siete soli al ristorante. Se parla in pubblico, invece, pare Che Guevara. Identico. E’ un fenomeno che ormai ci è noto.

Il settario vecchio è dunque, fondamentalmente, un disonesto. Come spiega uno che se ne intende parecchio a chi gli chiede se esista buonafede negli ambienti con queste caratteristiche: “A livello intermedio, sì. Buonafede e fanatismo insieme. Nei vertici, no.

Questa disonestà può anche non venire mai chiaramente alla luce, almeno a livello pubblico e con pienezza di dettagli. E’ sufficiente tuttavia a connotare negativamente, grazie all’aura equivoca che porta con sé, sia gli ambienti in cui si radica che le cause che vampirizza.

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Perché la componente bruna dei rosso-bruni è piena zeppa di brutti tipi.

Se il settarismo è, di per sé, un percorso che sfocia nella perdita del senso etico, oltre che dello spirito critico, la commistione con gli ambienti neofascisti fa sì che si finisca facilmente accanto a gente che ha, con la pura e semplice delinquenza comune, un rapporto più disinvolto di quello che c’è normalmente a sinistra. Figurati che cocktail ne esce.

Le pulsioni criminali diffuse in certi ambienti di destra non sono un mistero e la storia della destra radicale in Italia è piena di vicende di delinquenza. Sono certa che non sia necessariamente composto solo da rapinatori, stupratori del Circeo e trafficanti di chissà cosa, l’ambiente, ma sono altrettanto certa che sia dominato da una certa elasticità morale e da una qualche simpatia indulgente verso il criminale inteso come tipo umano, individuo pur sempre in lotta contro la società, e certo coraggioso ed eroico a modo suo. L’autoindulgenza proterva tipica del settario si sposa, a destra, con la certezza che il mondo sia dei duri o, almeno, dei furbi. Il minimo che ti può capitare in questi ambienti, quindi, è di finire a frequentare gente che vive di gabole fiscali e non, che rubacchia se può, che picchia la moglie e fa lo stronzo coi figli, uguale a un berlusconiano qualsiasi. Questo, se va bene. Figurati se va male. In mezzo a delinquenti con gli zerbini sullo stomaco, ti ritrovi.

Diciamo che sono frequentazioni che non fanno bene, alla lunga. Posso capire che dei ragazzi siano sensibili a certe suggestioni, certamente, ma, passata la giovane età, appunto, si diventa brutti tipi e basta. O frequentatori di brutti tipi, cosa che non fa bene ed è pure pericolosa, ecco.

Perché, il rosso-bruno, non si capisce che diavolo voglia.

L’idea dei rossobruni consisterebbe, grosso modo, in una “difesa delle identità” locali in un contesto di “stretta solidarietà con tutti i popoli e tutte le forze politiche che rifiutano il progetto mondialista della globalizzazione“. Vista da destra, l’identità si esprime nella solfa della “tradizione” e di tradizione, come di spiritualità, l’islam ne ha quanta se ne vuole, ovviamente. E’ perfetto da parassitare, quindi, ed è lì che ci si incontra tra rossi e neri, in questo mondicello.

Quale islam, però? Non quello reale e concreto della gente normale, non quello dei paesi del Medio Oriente che aspirerebbero a starsene in pace, non quello della tolleranza e della varietà e ricchezza culturale che si è espressa per secoli in quei paesi. No, figurati. L’islam inteso come antisistema puro e semplice, in una monodimensione senza scampo. L’islam di una tradizione non importa se mitologica o reale, purché nutra l’immaginario di presunti rivoluzionari nostrani con poche idee proprie.

Quest’islam ridotto a casa okkupata da squatter dell’altrui pensiero finisce col creare effetti paradossali. Ci si può innestare dentro qualunque perversione fascisteggiante nostrana, nel silenzio compreso della zona sinistra dei rosso-bruni che pensa, suppongo: “Mah, si vede che tra gli islamici usa così. Se mi metto a ragionare sembro etnocentrico, magari.” Di esempi in proposito, su questo blog ne abbiamo fatti parecchi, e non ci ripeteremo. Mi limito ad osservare che l’immagine di islam che esce da questa operazione è, di gran lunga, l’operazione più inconsapevolmente razzista che io abbia mai visto. Oltre che la più perversa.

E la perversione e il razzismo scorrono sotterranei, dietro i discorsi invoglianti contro l’imperialismo, e non si dicono. Si sogna una società creata sulla falsariga di una campagna araba depressa, con tutte le sue dinamiche di sfruttamento e sopruso, e non si dice. Ovviamente. Mica ce l’hanno, il coraggio dei propri obiettivi, questi qua.

Nel puzzle rosso-bruno, quindi, a me pare che il rosso sia l’ingrediente della buona fede, di un relativismo culturale pericolosamente malinteso e di una posizione ovviamente critica verso l’esistente ma sostanzialmente priva di idee. E il bruno è l’ingrediente che ce le mette le idee, sintetizzabili in un pappone maschilista e guerresco che, di fatto, finisce col tradursi tristemente in un islam buzzurro e manesco guidato, come le sette insegnano, da qualche scafato opportunista. Piano piano, avviene questo innesto ideologico di incubi che, se non fossero venduti in salsa islamica, apparirebbero chiaramente come la cianfrusaglia fascista che sono. Si innestano dolcemente, invece. Un po’ alla volta, senza che i rossi quasi se ne accorgano. E la gente ci casca, specie in rete.

Tutto ciò ha l’aggravante di essere poco serio.

E a me dispiace assai, davvero.

Spara sulla Croce Rossa, Mmax, spatasciandosi dal ridere sul video della moltitudinaria assemblea del Campo Antimperialista segnalato qui da Diego. Per l’Haramlik, poi, che è in una fase di assorto interesse verso quel Richelieu da saldi del Miguel Martinez, l’esibizione da fine stratega del Nostro, che propone di cercare paeselli impegnati in cause locali contro Destra e Sinistra da parassitare, così da far sembrare che il Campo astensionista riempia una piazza, è gustoso assai. Siamo umane, e avere nuovi motivi per dirci: “Ma tu guarda che imbecille…” ci intrattiene in modo forse non nobile, ma senz’altro allegro.

Peccato che, casi personali a parte, qua di motivi per stare politicamente allegre ce n’è, appunto, pochini. Meno che dalle sionistiche parti di Mmax, sicuramente, e il suo “Khaverim, abbiamo vinto” sottolinea un po’ crudelmente l’ormai cronica impresentabilità del discorso-Palestina in questo paese, ahimè. Tutte le fortune, hanno ‘sti sionisti.