Punto numero uno: a scuola bisogna seguire il primo istinto – non il secondo o il terzo, il primo – e questo ti dice di non toccarli, i ragazzi.
Io ancora ricordo la prima studentessa che ho toccato, tanti anni fa: si lamentava di avere la febbre, volevo sentirne la fronte e le chiesi il permesso. Lei rimase un po’ stupita: “Prof, certo che può toccarmi la fronte!” eppure mi sembrò comunque strano farlo. Entrare in contatto fisico contamina il rapporto, credo, tra alunni e prof.
Punto secondo: ci sono tuttavia tipi di scuola – o di alunni – dove impari che la tua asetticità fisica ha delle controindicazioni. Io l’ho imparato negli istituti professionali, in tutti quelli dove sono stata.
Non mi ci trovo granché bene, nei professionali: sono una a cui danno fastidio gli alunni che non studiano, ché mi fanno sentire declassata dal ruolo di prof a quello di babysitter, e insegno una materia che richiede della concentrazione. Capisco che possa essere molto gratificante per certi colleghi di italiano, il professionale, con tutta quell’estrosa sregolatezza che, se incanalata bene, sa essere fertile e vitale come null’altro. Per noi di lingue invece, come per quelli di matematica, normalmente è un purgatorio. Abbiamo in comune l’esigenza di fare i conti con le regole, noi e la matematica.
Siamo quelli che bocciano di più, non a caso.
Sono scuole, quindi, dove mi riesce difficilissimo colmare la distanza tra me e i ragazzi attraverso lo scambio verbale o quello che potrei pomposamente chiamare “incontro intellettuale”. Il piccolo miracolo della spiegazione che li intrighi, dell’argomento che incuriosisca, del gioco logico che li colpisca non avviene, ti pare di essere schermata. Parli e non fai breccia, non mandi segnali.
Poi arriva il giorno in cui prendi i tuoi freni inibitori, li parcheggi da qualche parte e lasci che la teppista che è dentro di te emerga e prenda il timone. E quindi uno lo prendi per la collottola, l’altro lo minacci di tirargli un gesso in testa, all’altro ancora gli dai dieci buffetti in successione sulla cocozza e – miracolo! – improvvisamente si accorgono che sei umana. Ti mettono a fuoco. Qualcuno ti sorride persino.
Questo, se sono piccoli. Al primo, secondo anno. Dalla terza in poi è tardi. Lì te lo giochi diversamente, il tuo lato teppista. Con sfumature più gangsteriane, non so come dire.
Sta di fatto che il professionale è la scuola dove il contatto fisico tra alunni e prof avviene più spesso, e quindi è la scuola che richiede maggiore familiarità con l’istinto, e precisione nel gestirlo.
D’altronde il corpo impera a tutti i livelli, nel professionale: non riescono a scherzare senza spingersi e schiaffeggiarsi un po’, i ragazzi, e sono quelli che più fatica fanno a star seduti, sono quelli che mangiano di più appena possono e l’oliosa focaccia sotto i banchi impesta di sé ogni singolo foglio di carta, e sono quelli con la mutanda più in vista sotto i calzoni, con il reggiseno più sporgente sotto la canotta, e sono quelli che ballano meglio – e con differenza, ma tanta – e quelli che più spesso si fanno male o rompono qualcosa.
Ed è l’unico ordine di scuola, quindi, dove alla trentesima volta che dico a un ragazzo di entrare in classe finisce che lo prendo per il colletto e ce lo trascino, con la goffaggine di chi non ci si vede proprio, in questi contatti ravvicinati. E loro sorridono, contenti. E’ vicinanza. E’ come se ci facessi amicizia, e alle loro regole.
Punto terzo: la scuola è anche conflitto, si sa, e l’altro giorno c’era una bella collega, nel bar sotto scuola, che si è fatta un pianto. Diceva che ormai una donna deve andarci col burka, in classe, e se è minimamente giovane e carina ha finito di vivere, se i suoi studenti lo decidono, ché loro possono freddamente scegliere di rovinarti professionalmente e stroncarti la carriera e quindi devi calcolare ogni gesto che fai, ogni centimetro di corpo che mostri per non finire filmata, ricattata, accusata di molestie a ragazzi che sono il doppio di te, sospettata di seduzione di minori che sono abbastanza scafati da costruirtelo addosso, ‘sto ruolo, e rovinarti letteralmente l’esistenza.
Camminava rasente ai muri, la collega, sempre col terrore di cosa venisse filmato alle sue spalle, e si interrogava sul proprio abbigliamento con lo stesso smarrimento che si prova nei paesi arabi all’inizio, quando a te pare di essere decentissima e manco te ne accorgi, della scollatura troppo ampia o delle forme rivelate dai pantaloni.
Ci vuole pratica, per imparare a coprirsi per bene, e una trasformazione dello sguardo, una diversa percezione del proprio corpo. Si impara, ma ci vuole del tempo.
E si impara a suon di incidenti: me lo ricordo, in Giordania o in Egitto, il disagio di portare addosso camicette che mi erano sembrate decentissime per anni e la fretta di correre a casa a cambiarmi, la sofferenza per non poterlo fare immediatamente. Si impara, si impara. E poi torna utile. Guardavo la collega carina e piangente e avrei voluto dirle: “La maglia, più lunga e accollata. Niente tacchi sottili che provocano. Metti un foulard attorno alla scollatura, anche se a te sembra minima. A loro no.” Ma come fai a farglielo capire, a una che anziché lavorare in un paese arabo insegna in mezzo ad alunni mezzi nudi? E’ che siamo fuori contesto, ci vuole il doppio della fatica.
Te ne accorgi, a scuola, di quanto sia arretrata la condizione delle donne rispetto a qualche anno fa. Te ne accorgi perché una prof donna è, in qualche modo, una che detiene potere. E aggredire le donne attraverso il loro corpo è tornato di moda, sta tornando normale.
Ricordo una collega giovanissima e severa spinta alla resa a colpi di bacetti lanciati in corridoio e cori da stadio fuori da scuola. La durezza di altre che se la fanno scivolare addosso, questa cosa, e col tempo pare che si facciano crescere i baffi o il neo peloso sul mento, tanta è l’attenzione ad essere almeno madri se proprio non si può evitare di essere donne. La consapevolezza costante di essere ricattabili e di non potere, quindi, sbagliare nemmeno un gesto.
Perché in questo sono cambiati i tempi: non c’è desiderio, negli alunni intenzionati ad usare questo strumento nel conflitto con le prof. Sono ragazzi assolutamente sazi, satolli. Non giocano ad abbordare. Giocano a fare passare la prof per quella che abborda, con i loro filmini clandestini che cercano pelle scoperta.
Loro sono gli eterni bambini, tanto. E tu sei pure adulta, oltre che donna, quindi doppiamente in torto.
Noi si zampetta in punta di piedi lungo il baratro, a scuola.
Come si faccia ad arrivare fino in fondo ogni anno, è un mistero.
O, forse, non ci sono statistiche per conteggiare i caduti.
Come capisco questa cosa del vestire: devi stare nei paesi dove la condizione della donna è arretrata. Arretratissima. Dove i codici morali vengono dati e sorbiti dalle scollature, da lembi di pelle mostrata. Centimetri che fanno di te una signora o una che la dà via facile. Devi aver vissuto un’infanzia dalle suore per capire quanto e come si è bigotti. Con i governi di destra che ci si ritrova, con le televisioni che abbiamo che messaggi pensi arrivino nelle loro testoline? Il non rispetto per le donne in questi anni è aumentato in modo esponenziale e la scuola è un pezzo della società.
Viaggiando per il mondo si scopre che il rispetto delle/per le donne dipende solo da quanto rispetto si ha per la vita della persona. Grazie bel post. 1 bacione
Piccolacuoca, stavo per scriverti. Mi sa che il pellegrinaggio a Santiago salta e riprende quota il viaggio estivo in India. L’idea originale era che io e Marzia ti venissimo a trovare e poi andassimo in Darjeeling, ma vedo che la stagione è infernale per farlo. Altri suggerimenti? Mare? Dicono tutti che in India il mare non è granché, ma fino a che punto?
(Quel che si dice un OT coi fiocchi, ecco. :D )
Mi pare terribile quello che racconti, ancora di piu’ in un Paese dove l'”essere coperte” non e’ imposto a tutte le donne. O forse sta andando verso quell’imposizione, paradossalmente a colpi di scosciate ovunque.
Il mare dell’India?
Non lo conosco, ma so che le più importanti imprese chimiche (le più inquinanti del mondo) sono lì.
In India possono produrre prodotti chimici, non solo a costi bassi, ma con macchinari obsoleti, che qui non potrebbero più usare.
Ricordo quando andai allo stabilimento Montedison di Terni, una città nella città, e producevano il celofan (credo che lo facciano ancora), un giorno trasferirono tutti i macchinari all’estero e ne fecero di nuovi.
Per il resto l’India è meravigliosa, ma non ti addentrare per i vicoli delle città (Calcutta o Bombay), non ne uscirebbe vivo nemmeno Tarzan.
Può capitare che mentre cammini per le strade principali, di vedere persone morte o agonizzanti per fame sul marciapiede tra l’indifferenza delle persone.
Se aspiri a divenire vedova, fai fare un giretto per i vicoli di Calcutta, al tuo compagno..non ci entra nemmeno la polizia indiana.
arretramento « Aspettando il Regionale
[…] Più cliccati 3.bp.blogspot.com/_0PqJ_v…conlaspalabras.wordpress.…caffeacolazione.tumblr.co… arretramento Maggio 17, 2009, 5:48 pm Archiviato in: la Frase del mese Da Haramlik: […]
Ho sentito dell’insegnante condannata perché gli alunni la molestavano. E che si aspettano, che una prof denunci gli alunni per stalking (o come si chiama adesso), oppure che vada in classe con lo spray al peperoncino?
E hanno presente poi che cosa succede se una ragazza tiene per un po’ in braccio un bambino (MASCHIO) di circa 4 anni, anche mai visto prima? Nella metà dei casi, il bambino cerca di mettersi a giocare con le tette! E se qualcuno filma la scena, che diventa, pedofilia?
solo tu sei capace di dirle queste cose; e per fortuna almeno tu. un abbraccio.
resto del mondo » Non del tutto illecita.
[…] una lettura collaterale ma non troppo, Lia. Una che quando parla di hijab non dice a caso.) Written by restodelmondo in: Uncategorized | […]
allora ti scrivo email.
adesso che se entri dentro negli slum ti uccidono: no. basta avere una pratica guida del/sul posto. l’India e’ immensa. le zone industrializzate non sono poi tante. rimane un paese prevalentemente rurale. al sud c’e’ meno poverta’ che al nord ed e’ assai dignitosa. poi l’80% e’ vegetariano non amano per nulla l’aggressivita’ ed esiste un controllo sociale alto.
Capito per caso da queste parti, scusa se mi permetto ma … sei sicura che sia proprio l’istinto a dirti di non toccarli? O è il risultato di una cultura occidentale che separa mente e corpo? Di una scuola che il corpo lo pensa incastrato tra i banchi, ordinato e fermo, scatola vuota da riempire di nozioni quando va bene? Di una pedagogia che si occupa del corpo bambino che gioca e fa psicomotricità e con l’andar del tempo declassa le due ore settimanali a una materia paria? Sei sicura che la vitalità sia mancanza di regole? Che solo certe materie possano permettersi di impararsi in movimento? Che ci sia un programma fatto e finito da somministrare uguale per tutti nello stesso modo?
Sarà che non sono insegnante. Sarà che non ho una materia da far imparare ma random tutte quelle dalle elementari alle superiori. Sarà che i miei ragazzi ogni tanto son violenti e la fisicità non posso, non voglio, lasciarla in secondo piano. Sarà che mi ascoltano di più quando gli mollo un bacio che quando parlo. Sarà che coi tacchi non so nemmeno camminare figurarsi correr dietro a loro o a un pallone. Sarà che quando mi arrivano non hanno nessuna voglia di parlare men che meno di studiare. Sarà che ho sempre avuto gruppi multilingue e le lingue non le so, non bastano mai. L’unico linguaggio che funziona sempre, con grandi e piccoli, professori o analfabeti, da qualsiasi parte del mondo arrivino, sani o malati che siano, è quello del corpo.
I ragazzi riconoscono un grandissimo potere agli insegnanti, riconoscimento che gli insegnanti troppo spesso non vedono, travisano. I ragazzi non si accontentano delle mascherine e hanno il dono di vedere oltre, di sapere a pelle chi può diventare loro maestro, chi mette in gioco tutto e chi no. Non si accontentano del libro e delle nozioni, non si accontentano delle parole, vogliono rapporti umani e hanno ragione, perché la scuola è questo che dovrebbe fare –la scuola come le altre agenzie educative- deve educare uomini prima di formare professionisti.
Janusz Korczack scriveva
Dite: è faticoso frequentare bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete: bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
É piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi
fino all’altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli.
O trovargli uno sgabello da ficcargli sotto i piedi per guardarli negli occhi e mettersi in discussione.
Ogni bambino o ragazzo che “rompe” ha ferite che sanguinano da curare. Non lo si può riempire di niente se prima non lo si svuota dal dolore. C’è un proverbio dalle mie parti “Prima di parlare taci”, l’ascolto funziona sempre,l’ascolto e l’essere autentici umani.
A ognuno il suo mestiere, Aria.
Arriva un momento in cui i verbi dittongati glieli devo spiegare, ai miei, ché per questo mi pagano.
E non so se i miei tatuati fanciulli pieni di piercing mi ascolterebbero di più, se nel frattempo li baciassi.
Quanto alla cultura occidentale: prova a toccarlo in Medio Oriente, uno studente, e poi mi racconti.
Vedremo se con le nuove norme sul voto di condotta gli alunni andranno a scuola mezzi nudi.
Cara LIA,
la scuola è organizzata male e, non me ne volere, ma anche gli insegnanti non sono preparati a dovere. La bella pedagogia occidentale rimane confinata nelle conferenze, sui banchi non arriva quasi mai. In classe mi hanno chiamata, dietro la cattedra (ed era la scuola del bronx, finita pure sui giornali nazionali per il nostro 30% di alunni migranti da 20 paesi diversi), e con gli insegnanti, di quella e molte altre scuole, ci continuo a lavorare.
Col mestiere dell’insegnare ho un po’ di pratica. Ed è perché ho provato a cambiare le consuetudini che parlo, è perché ci sono esperienze, documentate tra l’altro, che dimostrano quello che dico che ti suggerisco di provare prima di buttare le proposte alle ortiche. E sono esperienze dentro la scuola. Di insegnanti che mettono i ragazzi, ogni ragazzo, prima e davanti ai verbi. Prima del rischio di denunce, prima dello stipendio, prima della burocrazia. E’ faticoso, lo so. Doloroso, tornare a casa anche con morsi e lividi. Frustrante essere derisi e ostacolati dai colleghi. Ma raccontarsi che un’altra scuola non è possibile è un’ipocrita comodità. E’ una balla colossale perché è già stato fatto e risultati ci sono. Sono uomini e donne. Ed erano quelli peggiori, erano quelli che avevano già la vita di spacciatori o terroristi tracciata, altro che due piercing e le mutande in vista, sotto il banco non c’è la focaccia, c’è la bamba da spacciare che altrimenti la famiglia salta pranzo e cena. E non mi serve andare in medio oriente per avere bimbe col velo e donne chiuse in casa, ma le donne le abbiamo tirate fuori e il velo le ragazze ora lo portano per scelta. Per scelta perché nel nostro evoluto paese se vai a chiedere per uno stage col velo ti dicono di no, ma il giorno appresso ti aprono le porte, e manco ti riconoscono, se il velo ce l’hai in borsa.
Forse bisognerebbe pensarci meglio prima di scegliere un mestiere che ha a che fare coi minori e il loro futuro. Forse bisognerebbe avere l’onestà di dire che non lo si sa fare o non si vuol fare la fatica che richiede, perché lo stipendio fa schifo e non dà facili soddisfazioni. Per un sacco di motivi, tutti legittimi, ma dirlo, e cambiare mestiere. Che sia il mestiere dell’insegnante, dell’educatore, dell’assistente sociale, piuttosto che del giudice o del neuropsichiatra. E’ che lamentarsi e rigettare agli altri le responsabilità è più facile, e in fondo il ritorno economico è maggiore ma il ritorno umano, quello, auguro a tutti, almeno una volta nella vita, di provarlo.
:)
Mamma mia.
Avrei voglia di lasciar perdere, Aria, ché tutto ciò mi pare troppo stupido per dedicarci energie, ma il fatto che tu sia in qualche modo una donna di scuola mi costringe a risponderti.
Vediamo di essere diretti: tu stai mostrando, Aria, un pensiero caotico – condensi discorsi diversi in un unico insieme disordinato – e tutto dipanato lungo un pedago-fanatismo viscerale, salvifico e, per sistema, del tutto autonomo dal reale contesto in cui va a manifestarsi.
Dal mio post, in questo caso, in cui ho scritto semplicemente tre cose:
1) Che ritengo che il contatto fisico con gli alunni non sia neutro e che vada quindi gestito con assoluta attenzione.
2) Che in un contesto come quello degli istituti professionali il contatto fisico ha una valenza comunicativa più utile che in un contesto liceale o universitario .
3) Che gli alunni sono perfettamente consapevoli della fisicità dei loro professori e che, a volte, usano questa consapevolezza per attaccare.
Tutto questo è semplice osservazione della realtà, non è un manifesto pedagogico. La tua alzata di scudi, quindi, mi pare poco pertinente.
Detto questo, io torno a ripeterti che ognuno deve fare il proprio mestiere. In una scuola c’è lo psicologo, c’è l’educatore, c’è il prof di sostegno, e ci sono i prof di italiano, matematica, spagnolo etc.
Una scuola che funziona è una scuola in cui le competenze e le specificità professionali si armonizzano.
Un cdc in cui l’educatore pretende che i prof lavorino secondo il suo punto di vista è fallimentare tanto quanto un cdc che prescinde dall’educatore. Ti invito, quindi, ad avere più rispetto per la differenza di OBIETTIVI che c’è tra il tuo mestiere e quello degli insegnanti curricolari.
Il mio mestiere è insegnare lo spagnolo e i miei obiettivi non possono essere genericamente formativi. IO devo perseguire obiettivi didattici specifici e, fino a quando i titoli di studio avranno valore legale, rilasciare detti titoli certificando che Tizio sa delle cose che invece non sa è un falso.
E’ una truffa.
Spero che questo concetto ti sia chiaro perché nella scuola esiste anche una cosa che si chiama “legalità”, e i professori sono tenuti a rispettarla.
Ora: tutto il tuo discorso, applicato alla mia materia, vuole dire semplicemente che tu ritieni che io debba adottare in toto il metodo noto fin dagli anni ’70 come “approccio umanistico-affettivo”.
Capisco che tu ne sia affascinata al punto da volerlo spiegare al mondo come fosse il Verbo, ma a noi di lingue è noto da circa 40 anni.
E mi duole dirti che, per imparare le lingue a scuola, non serve granché. Perché – e perdona il tromboneggiamento ma in qualche modo lo devo pur spiegare – privilegia l’emisfero destro del cervello rispetto a quello sinistro, detto in termini tecnici, mentre l’acquisizione della lingua deve coinvolgere il cervello intero.
Dalla sensorialità, per dirla in soldoni, all’analisi e alla logica.
Questo vuol dire, in parole povere, che i miei ragazzi si divertono molto, se gli faccio fare pratica dei numeri attraverso il gioco del passarsi la palla, ma se poi non li faccio riflettere sul perché e sul come si formano i numeri, le parole ripetute a ritmo di palla lasciano il tempo che trovano. Non durano.
Per quanto la cosa ti possa sconvolgere, quindi, arriva un momento in cui fare scuola vuol dire sedersi e ragionare sui numeri e sui verbi, e pure studiarseli.
Spero di essere stata chiara.
Permettimi però anche di dirti che:
1) tu, quando parli di contatto fisico, parli di “cultura occidentale” a vanvera. Esistono specifici tabù attorno a questa cosa nelle scuole della gran parte del pianeta, dall’Asia all’America tutta passando per l’Africa, e dispiace sentire ripetere il ritornello delle “donne segregate” e del velo non appena ho nominato il Medio Oriente. Ci ho insegnato per anni, le mie alunne non erano affatto segregate e mettevano il velo per scelta e, tuttavia, si sarebbero molto infastidite a sentirsi mettere le mani addosso dagli insegnanti.
Se tu non prendi minimamente in considerazione la sfera della sessualità, quando si parla di contatti fisici tra adulti e ragazzi, forse quella che ha sbagliato mestiere sei tu.
E con questo non voglio dire che non ci si possa toccare: dico, semplicemente, che gli adulti devono esercitare controllo e prudenza su questo tema.
2) Se tu hai piacere a dire che i tuoi alunni hanno la bamba nello zaino per opporti al mio discorso sulla focaccia, fa’ pure. Io, qui, mi firmo con nome e cognome e i miei alunni sono riconoscibili. Non ne parlerei mai in questi termini, anche se ce ne fossero gli estremi. Se non ci hai pensato, forse è perché – di nuovo – quella che ha sbagliato mestiere sei tu.
3) Io provo un’immensa, profonda diffidenza verso i toni salvifici di chi “riscatta” i ragazzi “dal destino di spacciatore o terrorista” e regala “la libertà” alle donne musulmane e produce mondi perfetti nella scuola con due ricette pedagogiche.
Credo nella professionalità dei docenti, non nel loro istinto missionario. Perché i missionari, come è noto, sono gente che ha nevrosi proprie da esorcizzare, e un nevrotico non è il migliore educatore che si possa desiderare.
c’era un racconto di erri de luca su alunni che infastidivano una prof. leggerlo fa capire come sono cambiati i tempi.
ecco, il commento è anche più bello del post. stare coi ragazzi è difficile. quando poi, come me, hai davanti un misto di persone tra i ventisei e i cinquanta, diventa ancora più difficile. La fisicità è qualcosa che devi avere ben presente perchè se non lo fai lavora sottosoglia e produce danni tuo malgrado. Anche nei corsi post universitari, figuriamoci nella sarabanda ormonale della scuola secondaria. baci
Ritengo che Lia ti abbia proprio servito a dovere cara Aria…fritta.
Cara Lia, la questione è molto semplice.
Se un ragazzo in classe rompe anzichè studiare, se importuna l’insegnante, se usa un linguaggio non consono, etc etc, è un ragazzo che esprime un disagio. E i docenti hanno il dovere di vederlo e se la famiglia non risponde hanno l’obbligo per legge di segnalarli ai servizi sociali. Quante segnalazioni hai fatto? Scommetto poche, probabilmente nessuna e spero che sia perchè i tuoi marmocchi hanno solo le mani unte d’olio. Nel qual caso le maestrine possono fare a meno di frignare. Io non mi nascondo. I miei ragazzi sono stati a lungo sui giornali nazionali. Sul loro bel lavoro, anche di studio fatto, è uscito la scorsa settimana un libro dell’unicef. Io non salvo nessuno e sono ben lontana dalla pedagogia occidentale di 40 anni fa, anzi non mi son proprio formata alla pedagogia occidentale. Non ho sbagliato mestiere, sono solo stanca di dover mettere pezze dove i “professionisti” con obiettivi specifici fanno cazzate perchè sono competenti della loro parte e del resto se ne fregano.
E quanto alla bamba … beh, aprite gli occhi perchè è un po’ più diffusa di quel che si crede, ed è tra i bravi ragazzi che portano solo le mutande in vista, a prima vista. Prova a guardare un po’ oltre l’aula.
Ah, io non ho scritto che si deve certificare il falso e che a scuola camminate lungo il baratro l’hai detto tu. In una scuola che funziona io non ci dovrei mai entrare e invece passo giornate intere a metter pezze dove fanno stronzate i tuoi oclleghi… come mai?!? no disturbarti a rispondere, sono stupida ma le risposte pre-cotte le conosco ormai
“Se un ragazzo in classe rompe anzichè studiare, se importuna l’insegnante, se usa un linguaggio non consono, etc etc, è un ragazzo che esprime un disagio. E i docenti hanno il dovere di vederlo e se la famiglia non risponde hanno l’obbligo per legge di segnalarli ai servizi sociali. Quante segnalazioni hai fatto?”
Siamo sull’agghiacciante. E dico davvero.
Desidero sapere chi sei, a questo punto, e qual è l’istituzione che ritiene che le cose che hai elencato vadano per legge segnalate ai servizi sociali.
Voi mi fate paura.
Ai miei tempi, avevamo timore dei nostri prof.
Se portavi una nota, rimanevo senza paghetta per un bel po’ (minimo la settimana corrente), oltre averle prese da papà.
Quando entravamo a scuola il preside era fermo sull’entrata e rimandava a casa chiunque di noi alunni era senza cravatta o giacca.
Non parliamo delle tragedie che scoppiavano in casa, se ero rimandato in qualche materia a Settembre, niente mare, al massimo 10/15 gg. dalla nonna, poi lezioni private per recuperare.
Poi c’erano i compagni di classe da non frequentare, quelli che erano stati bocciati già 2 volte, e sicuramente sarebbero stati bocciati per la terza volta (a quel tempo 3 bocciature per la stessa classe significava di dover cambiare obbligatoriamente il corso scolastico).
Oggi non è più così, per quanto ho capito.
Anche i prof sono diversi, qualcuno eccede, e girano tanti filmatini…
Quello che mi pare inquietante è l’uso della sessualità (propria ed altrui) a scopo estorsivo. I ragazzi-che nell’immaginario collettivo rimangono poveri bimbi innocenti ed asessuati fino ai 18 anni e più- imparano già da giovanissimi il potere ricattatorio associato alla sessualità. Cioè, se una volta (tipo nel 68) mi pare che la scoperta e rivendicazione della sessualità da parte dei giovani avvenisse in un contesto di auto-coscienza, esplorazione di sè, presa di consapevolezza, curiosità e voglia di superare le barriere.. ora invece mi sembra che, nonostante i ragazzi inizino prestissimo ad avere una vita sessuale, lo facciano senza la gioia dell’esplorazione, senza alcuna presa di coscienza, tanto ormai sanno già tutto a 11 anni, ma più che altro spinti dal fatto di dover emulare dei modelli.. e dato che in questa società il corpo (specie quello femminile), è una merce di scambio, anzi spesso la donna è ridotta a un corpo, ovvio che esso venga usato come arma: le ragazzine lo usano come arma di provocazione e seduzione, sul modello delle veline che “più sei sexy più il mondo si accorgerà di te”, i ragazzini lo usano per umiliare la donna e riaffermare la loro superiorità di maschio (stupri di coetanee ripresi con cellulare..), infine ragazzini e ragazzine lo usano come arma ricattatoria contro gli adulti-nemici (leggi:insegnanti), ben consapevoli che ogni minimo sospetto di interessamento sessuale di un docente nei confronti di un alunno può demolire la credibilità di un insegnante per sempre. (E tutto questo Al lupo Al lupo distoglie l’attenzione dai veri casi di abusi su minori, quelli che avvengono in famiglia..)
In questo scenario sconfortante, mi viene da dire, che sono fortunati i ragazzini/ragazzine che crescono con un’educazione islamica, con un abbigliamento un po’ castigato e delle idee retrò tipo il corpo femminile va rispettato e con la sessualità non si scherza..
X salaam
Mi sembra un po esagerato, o l’hai sparata grossa:”In questo scenario sconfortante, mi viene da dire, che sono fortunati i ragazzini/ragazzine che crescono con un’educazione islamica, con un abbigliamento un po’ castigato e delle idee retrò tipo il corpo femminile va rispettato e con la sessualità non si scherza..”
Poi scopri che le ragazzine islamiche, come possono il velo se lo tolgono, che vogliono essere autonome, indipendenti e occidentali come le loro coetanee. Per loro il massimo non è andare o accasarsi con un musulmano. Quindi raccontala meglio.
Poi su “ragazzi-che nell’immaginario collettivo rimangono poveri bimbi innocenti ed asessuati fino ai 18 anni e più- imparano già da giovanissimi il potere ricattatorio associato alla sessualità.”
Fino a 18 anni?!?!
Io all’asilo ed alle elementari, la mia passione si chiamava Anna C, e al massimo potevi dargli un bacetto sulla guancia. Ma che siete un pochino ritardati?
Per le religioni monoteiste che conosco io il corpo femminile non va rispettato, va mortificato, va considerato lo strumento del demonio per tentare i maschi e per questo va coperto, nascosto. E mi fermo qui senza manco entrare nel merito del partorirai con dolore o dell’escissione.
Alle femmine nessuno chiede come vorrebbero gestirsi il proprio corpo e la percezione di esso che vorrebero potersi formare da sé, e se lo fanno, manco va bene.
Trovo molto importante che Lia segnali questo tipo di situazione. E sul discorso del corpo, come madre di un bambino, che adesso è piccolo ma che sospetto fortemente cinestetico e già a cinque anni la maestra non sa come gestirlo, ci vogliamo ricordare che i metodi di apprendimento preferiti dalla scuola come la conosciamo noi rispettano di più le modalità dei tipi visivi o uditivi?
Allora visto che un diploma ormai è come la vaccinazione, non ci meravigliamo che in certi tipi di scuole abbondino o siano comunque fortemente rappresentati tipi di studenti che associano delle modalità di apprendimento un tantino più fisiche. Nessuno dice che non possano apprendere o che siano stupidi, dico solo che il tipo di scuola fatto apposta per loro non c’è.
Tutto il discorso del ricatto sessuale meriterebbe una discussione molto diversa, quindi la salto a più pari.
E’ esperienza comune delle mie amiche insegnanti che alle scuole professionali il maschilismo non e’ che sia di ritorno: non e’ mai sparito !
Gli alunni rispettano davvero solo i colleghi uomini.
Le ragazzine musulmane non sono tutte sante come puoi pensare, da molte parti non sanno più come “darla via”, con escamotage anche molto fantasiosi.
Poi l’Islam è fatto apposta per crearsi sempre un alibi giustificativo di fronte a certe cose, della serie “vizi privati e pubbliche virtù”.
Ma a me sta simpatico appunto per questo, perchè è una religione più umana.
Ma se fin dall’asilo le maestrine insegnano alle bambine i balletti e le musichette ruffiane e trash dei vari programmi velinosi, ed alle elementari li fanno cantare in coro in giardino lo spot del formaggio, che ci possiamo aspettare poi!
E’ tutta la società un po’ volgare di questi tempi.
La mia era una riflessione sull’uso della sessualità propria e altrui da parte dei giovani di oggi, un uso spesso improprio ed esibito a scopo ricattatorio, intimidatorio, o come merce di scambio, senza nessuna consapevolezza nè crescita interiore. In questo senso, i valori islamici (e io non sto parlando del velo, ma di senso del pudore, della sacralità del corpo altrui, della sessualità intesa come atto adulto che richiede responsabilità verso sè e gli altri) mi sembrano una protezione verso i più deboli. Certo, questi sono anche i valori cristiani, con la differenza che il cristianesimo (specie cattolico) comunque associa la sessualità alla colpa, legata al peccato originale, e associa la santità al celibato.
Comunque rimane per me un mistero il fatto che, appena si accenna a donne musulmane che vivono la loro sessualità e la loro fisicità in maniera differente rispetto a noi, subito c’è chi interviene con toni accesi per ricordare quanto il “nostro” modello sia migliore e più desiderabile del “loro” (..”le ragazzine islamiche, come possono il velo se lo tolgono, che vogliono essere autonome, indipendenti e occidentali come le loro coetanee”..) oppure che anche loro “da molte parti non sanno più come darla via, con escamotage anche molto fantasiosi”..
che rabbia,
io lavoro in un bar (in attesa che il ministero mi chiami per insegnare dato che la mia abilitazione vale ben poco..ma questa è un altra storia)e non lo faccio perchè sono una “zoccola” ma perchè è il lavoro che posso fare in questo momento per vari motivi.
Bene, ci sono uomini, ragazzi, che si permettono di fare commenti sulla mia serietà perchè una donna sola nel bar la sera è una Zocc..persone di sesso maschile che si permettono di dirmi se ho un rossetto troppo rosso o no, troppo sciatta se coperta, troppo poco scollata e allo stesso tempo cercano nelle mie maglie accollate di vedere e commentare i miei seni che hanno la colpa di essere abbondanti (cosa faccio me li fascio?)
un continuo, non sai mai quale “colpa” al giorno hai, ti copri? non basta mai…
del commento sopra:
tutto era per dire che i figli che usano la fisicità per attaccare sono nati da “qualcuno” che sta in giro in questa sociètà e passa questi insegnamenti di non rispetto verso le persone.
X salaam
la condizione femminile nel mondo islamico rispetto al mondo occidentale è decisamente diversa.
Anche la parità di diritti nel mondo Islamico è molto diversa tra maschi e femmine ( nel caso di adulterio, l’uomo rischia solo la fustigazione la donna la lapidazione).
Il desiderio di parità di condizione e di diritti, può essere represso con l’esercizio di una dura educazione, ma prima o poi esplode soprattutto se si vive a contatto con le altre realtà.
a giulioromano: che la parità di diritti nel mondo islamico sia diversa fra uomo e donna è vero, non a causa dell’Islam, ma a causa dei valori patriarcali, tipici della cultura araba e mediorentale e pre-esistenti all’Islam, che si sono imposti dopo la morte del Profeta (su questo, ti consiglio un bel libro della sociologa Ruba Salih: Musulmane svelate). Però non mi piace che quando si parla di Islam, si tende sempre a generalizzare e parlare per “sentito dire”: nel caso di adulterio, sia l’uomo che la donna rischiano la lapidazione, se sono entrambi sposati; se uno dei due non è sposato, invece, riceverà solo fustigazione, come puoi vedere nei casi reali citati in questo sito http://www.stop-stoning.org/. Comunque la lapidazione è considerata da molti autorevoli musulmani (ad esempio Tariq Ramadhan) come un precetto non islamico, e ci sono campagne per abolirla.
Ancora con i valori patriarcali..
Però quando giudicate qualcuno, lo giudicate prima in base al Corano, poi in base alle leggi che si rifanno al Corano e poi ancora con il Corano.
Come se noi dovessimo giudicare qualcuno in base alla Bibbia o al Vangelo… e non in base ad una società secolarizzata.
Non giudicano secondo il Corano (dove la lapidazione non è assolutamente prevista), nè secondo la Shari’a (dove è sì prevista, ma solo con dei testimoni presenti che passino un filo tra i corpi dei due e trovino un impedimento a livello delle pudenda, per cui è praticamente impossibile da provare), oppure c’è l’attenuate della scopata all’estero, che parrebbe essere un peccato più “light”, e chi più ne ha più ne metta (come ho già detto di escamotages ce ne sono finchè si vuole).
Il problema è che, come dappertutto, la scusa della religione è usata dai governi per manipolare e tenere sotto controllo la popolazione, specie le donne.
E l’Islam purtroppo si presta molto a questo abuso, per sua stessa natura.
x Maria
Ricordati di Amina (nome simile), una vedova che venne violentata e rimase incinta.
Allo stupratore non venne fatto nulla, mentre lei venne condannata a morte da un tribunale islamico africano dopo averla fatta partorire.
Una storia che commosse il mondo civile.
Mi pare che fosse in Nigeria.
Per Giulioromano.
La vicenda di Amina infatti venne usata biecamente dal governo nigeriano per due motivi: richiamare attenzione ed aiuti economici internazioneli sulla Nigeria; per finalità politiche interne nell’eterna diatriba tra il nord, musulmano ed il sud cattolico.
X Maria e per gli altri oltrazisti islamici:
Hai detto:La vicenda di Amina infatti venne usata biecamente dal governo nigeriano per due motivi: richiamare attenzione ed aiuti economici internazioneli sulla Nigeria; per finalità politiche interne nell’eterna diatriba tra il nord, musulmano ed il sud cattolico.
Può essere stata usata come ti pare; restano i fatti: Una donna violentata e poi ammazzata in nome delle leggi tradizionali che si rifanno alla Shari’a.. e hai ancora voglia di parlare di civiltà e giustizia?
Se succedesse a te o tua figlia (a questo punto quasi me lo agurerei)?
Poi ci sono tanti casi simili ad Amina nel mondo Islamico, che non fanno più notizia.
la condizione femminile nel mondo Islamico è un insulto alla ragione e a Dio. Chi è in forte crisi è il mondo Islamico, non è certo il mondo occidentale, malgrado i suoi tanti difetti. Nessuna donna occidentale rinuncerebbe ai propri diritti di parità e di dignità.
Qui in Italia, ricordo un altro caso: il padre (Pachistano) con l’aiuto dell’intera famiglia uccisero una figlia perchè voleva vivere con un occidentale..
E mi parli di civiltà?