Ci sono rimasta male, oggi, nello scoprire che potevo essere tanto in disaccordo con un amico che stimo e a cui voglio bene. E’ come se quello che io credevo essere un patrimonio di valori condiviso, in questo paese, si sgretolasse ogni giorno di più, lasciandoci ognuno nella propria bolla. Bolle dotate anche di un loro senso, magari, e di una buonafede a cui mi rassegno a fatica e solo di fronte all’evidenza, come stavolta. Ma bolle, infine, ché comunicare si fa sempre più difficile e, forse, le uniche sensibilità condivisibili sono quelle del privato, delle cose minime di ogni giorno.

Parlare di gatti, allora, e di barche, di fidanzati e di figli, di quotidianità e piccole gioie, piccole tristezze. Ché in queste cose ancora ce lo ricordiamo, che siamo umani, e si tiene bassa la tensione e si respira, non si corrono troppi rischi.

Allora faccio foto della mia quotidianità e c’è la scaletta, per esempio, che al momento sta appesa alla mia scrivania ma tra qualche giorno sarà appesa alla mia barchetta e io sarò appesa a lei:

scaletta

E poi c’è il gatto che mi aveva adottato e che è stato messo agli arresti, pare, ché a un certo punto è apparsa una lettera di protesta sulla parete dell’ascensore, con la foto del micio e un minaccioso: “I proprietari di questo gatto se lo tengano in casa, ché ha l’abitudine di intrufolarsi negli appartamenti altrui.” E da allora non l’ho più visto, il gattastro, e mi manca. Spero che riesca a evadere dalla galera in cui lo avranno recluso, e spero pure che gli mangi i gerani e poi glieli sputazzi sul tappeto, agli autori della denuncia nell’ascensore. Sarà sicuramente gente che vota Berlusconi, non vedo altre spiegazioni. Cittadini dell’ordine, non adatti ad essere adottati da un gatto.

gattastro1

E poi c’è la foto che non sono riuscita a fare: era qui nel centro storico, era dopo il tramonto e c’era una luce bellissima ed io mi ero fermata a guardare la piazzetta sotto casa, con i suoi palazzi storici e le edicole votive, e sono passati due bambini neri come il carbone e correvano, si inseguivano. Ed erano assolutamente fuori contesto, in mezzo a tutta quell’atmosfera medievale, e allo stesso tempo ci stavano così bene ed erano così perfetti che gli ho scattato una foto, subito. Poi ho guardato, e nella foto c’era di nuovo la piazzetta vuota. Correvano troppo veloce, i due bimbi neri come il carbone: impossibile fermarli, impossibile fissarli. E, in qualche modo, mi è parso che fosse un buon segno. Non si lasciano prendere, per fortuna loro e pure nostra. Non li fermiamo. Corrono, almeno loro.

piazza