pallottoliere

Finiti l’India, Dubai e la Riviera di Ponente, e col fidanzato a Roma e la figlia, il fratello e l’amica a casa loro, ritrovo la mia vocazione più autentica – ovvero starmene stesa e biotta sotto al ventilatore col portatile sulla pancia e inaccessibile al mondo tutto – e penso all’esistenzuccia mia, finalmente, compresi quegli stancantissimi particolari che, agendo direttamente sulla mia serotonina, mi richiedono livelli di concentrazione ed energia inaccessibili nei momenti in cui il mio cervello non è totalmente a riposo – in qualsiasi momento che non sia un pezzo di agosto in solitudine, quindi – e, più concretamente, a quella parte dell’esistenza che va sotto la voce “organizziamoci“.

E siccome l’organizzazione mi serve per i punti della vitarella mia dove si formano i nodi – ché il grosso della vita mi funziona splendidamente senza organizzazione di sorta, o forse proprio in sua mancanza – sono qui che mi preparo ad affrontare, in ordine di importanza:
1) la questione del risanamento finanziario
2) la questione del risanamento estetico, ma a quello ci penso un altro giorno, ché pensare a quattrini e dieta nello stesso momento vorrebbe dire alzare il livello dello scontro contro me stessa a livelli incompatibili con la mia sopravvivenza.

Il risanamento finanziario, quindi.

Perché mi è venuto un colpo di genio, qualche giorno fa, e ho pensato che forse l’obiettivo non era, nell’immediato, guadagnare di più, ma spendere di meno. Non ci avevo mai pensato.
E poi ho pensato che spendere di meno, nel mio caso di tizia tutto sommato assennata e poco incline a shopping e cazzate varie, consisteva semplicemente nell’essere più lucida e fare un po’ di ordine.

La prima cosa che ho fatto, e che mi trascinavo da due anni, è stato chiudere finalmente la mia connessione wifi, togliendomi di dosso l’intero condominio che mi navigava a scrocco sulla linea.
La cosa può sembrare poco significativa dal punto di vista economico, ma è altamente simbolica sul piano dei miei meccanismi cerebrali. Perché erano secoli che navigavo in rete dovendomi alzare per resettare il router ogni due secondi, ché i condomini-parassiti ormai erano arrivati all’impudenza di sbattermi fuori dalla mia stessa rete, e non affrontavo di petto la questione semplicemente perché era difficile.
Fastweb non me la risolveva, la mia chiave wep non si conosceva, tutto era complicato ed io mancavo della forza per resistere, concentrata, fino alla risoluzione del caso.
Ci sono riuscita due giorni fa o, meglio, ci è riuscito lui – i condomini li vedi tristissimi, adesso, quando li incroci in ascensore – e questo mio nuovo stato esistenziale, con la linea internet che mi funziona 24 ore al giorno senza che io debba resettare più niente, oltre ad avere liberato le mie energie mentali da un ingorgo importante, mi ha dimostrato che la concentrazione paga, e che posso effettivamente semplificarmi la vita se dedico qualche giorno ad organizzarmela meglio.

E quindi ho affrontato un altro ingorgo, ovvero: “Ma quanto spendo, io, di cellulare, con la mia ricaricabile Tim di cui mi disinteresso da 15 anni?
Ce l’avevo nel fondo dell’inconscio, ‘sta domanda, e venerdì ho capito come rispondere. Sono andata sul sito della Tim e ho fatto due calcoli sulla base dei miei ultimi mesi di ricarica. Spendo sui 60 euro al mese. Dicevo, io, che mi pareva che le ricariche mi durassero poco.
E quindi oggi faccio ‘sta cosa, cambio gestore telefonico.
E pensavo di fare ‘sta cosa con la Tre a 29 euro al mese, ammesso che nel centro storico di Genova la Tre prenda, e ci andrei oggi pomeriggio ma, se sto sbagliando qualcosa, vi prego di fermarmi.
Perché io non ho nessuna fiducia nelle mie capacità pratiche, e il dubbio di fare danni se mi muovo non mi abbandona mai.
La Tre va bene? E’ una buona idea? C’è qualcosa che dovrei sapere e che non so?
Parlate ora, vi prego. Tra qualche ora potrebbe essere troppo tardi.

Poi c’è la questione del conto in banca, come forse si è intuito dal mio post precedente, ed è che a Ferragosto c’è stata riunione familiare, dalle parti mie, ed i parenti compatti mi hanno ingiunto di abbandonare la mia banca ventennale e il suo infausto fido che mi fa campare in rosso da quando ho memoria, e di iniziare una nuova vita sotto il segno +.
E se a un certo punto del mese finisco i soldi?“, ho chiesto io.
Aspetti che passi il mese come fanno tutti“, mi hanno risposto in coro.

Tra i componenti del coro c’era mia figlia, ormai tanto cresciuta da partecipare alla riunione in questione col mio stesso permesso (“No, con la Pupi non ho segreti, può restare“) ed io la guardavo, ed era in piedi a braccia incrociate mentre mio padre mi interrogava ed io le ho chiesto se mi stava giudicando, per caso, e lei si è messa a ridere e mi ha spiegato che stava solo pensando alle soluzioni, ed io ho pensato che ci ho una figlia che, a 26 anni, ha appena messo su un’attività in cui si diverte e che le rende, sta per comprare casa, sa farsi tutti i conti suoi ed è più ricca di me.
E le ho chiesto: “Ma come mai mi somigli così poco, in queste cose?“. E lei, bella e sorridente come il sole: “Be’, io ho avuto papà che ti ha compensato.
E mi ha fatto piacere, questa risposta, ché in fondo è merito mio se le ho scelto un padre capace di compensare i miei limiti.
Sono brava, io, a considerarmi brava.

Il risultato della riunione è che tra qualche giorno, sbrigati i complessi passaggi finanziari di rito, abbandonerò una banca che mi ha fatto da cuccia calda per tutta la mia vita adulta, permettendomi gli sconfinamenti e i pasticci più improbabili e rompendomi pochissimo i maroni ovunque io fossi, da Milano all’Egitto a Genova, sollevandomi dalla terribile – e da me temutissima – incombenza di pensare.
Solo che in cambio mi ha ridotto in schiavitù, come mi faceva giustamente osservare la Famiglia Riunita, e pare che io lavori da vent’anni per finanziarne l’esistenza, fusioni comprese.

Mi libero, quindi, ché da perdere ho soltanto le catene, ed emigro verso un conto senza rosso e senza spese.
Fineco, pensavo.
Va bene Fineco? C’è qualcosa che non so? Tu che mi leggi, emigreresti da Fineco?
Ditemelo.
Tenetemi per mano.
Ci ho paura.

Qua, insomma, si sta facendo uno sforzo importante per togliere un po’ di caos da torno, ed è un caos che è innanzitutto dentro di me e che fa un po’ male, ad estirparlo.
E’ come uccidere qualcosa, una sensazione vagamente mortifera.
Però pensavo che pure quando guarisci da una malattia uccidi batteri che sono dentro di te, in fondo, e che è mortifero pure quello. Poi stai meglio, però.

Insomma, io procederei.
Mamma mia.
E quindi avevo bisogno di starmene qualche giorno da sola, per affrontare ‘ste cose.
Cambiare gestore telefonico.
Cambiare banca.

Sono molto, ma proprio molto più brava a cambiare vita, paese, città, lavoro, casa, marito o fidanzato. Lo so.

Ma ognuno ci ha le bravure sue.

Vediamo di non essere severi, ché il primo segreto per non incagliarsi è la morbidezza.