(Continua il diario in differita, e’ un po’ come mettere a tavola minestre scaldate)
Alla fine ce l’ho fatta a fare amicizia, anche se ho dovuto usare le maniere forti.
E’andata che sono passata davanti alla Scuola Elementare Italiana, che è vicinissima all’Africa Pension dove adesso alloggio, e dietro al cancello c’era un connazionale che stava caricando tavolini su una jeep. E quindi sono entrata decisa esclamando: “Ciao, sei un collega, pure io, bla bla bla…” Lui, un po’ spiazzato ma gentile, mi ha spiegato che stava portando ‘sti tavolini alla Casa degli Italiani e che lo avrei trovato là dopo un po’. E quindi sono andata e ho identificato un’altra colleghina, giovane e con l’aria simpatica, e lei stava facendo vedere un film ai suoi alunni e quindi ho fatto irruzione dove proiettava il film e le ho detto: “Ciao. Volevo sapere se posso offrirti il pranzo, quando finisci.” E lei, guardandomi un po’ stralunata: “Ah, cioè così? Diretto?” E poi, sorridendo: “Hai proprio bisogno di informazioni, eh?”
Gia’.
E così abbiamo mangiato insieme e poi la sera ci siamo visti a cena con altri colleghi alla Spaghetti House (yep) e finalmente l’ho respirata da vicino, questa benedetta scuola italiana di Asmara, e mi ci voleva.
L’impressione è che se lo guadagnino, lo stipendio. Lavorano parecchio, mi è parso, e soprattutto cogli dell’impegno genuino nel loro approccio.
Del resto, ho l’impressione che l’Eritrea lasci meno scappatoie dell’Egitto alla gente che lavora qua, nel senso che al Cairo è facile estraniarsi dal contesto e fare l’occidentale nababbo, se questo è ciò che vuoi. Ad Asmara no. Qua sei in Eritrea in ogni momento, c’è poco da estraniarsi e ancora meno da fare i nababbi. Ed è sempre chiarissimo che sei in casa di altri e che è opportuno che tu ti dia da fare. Non ti vizia, questo paese. Non quanto altri, almeno.
E sono enigmatici e felpati, questi eritrei, e non credo che siano gente facile. Fanno una fatica tremenda a sorridere, fanno. Sembrano un gran bel popolo, nel senso profondo del termine: fieri, orgogliosi, corretti, onesti, eleganti nei modi. Belli. Ma non sorridono, non ti guardano, non fanno caso a te, sembrano timidi o, boh, tristi. Poi, quando finalmente riesci a strappargli un sorriso, l’effetto è gratificante, proprio perché poco scontato. No, non devono essere tipi facili.
Pare persino che la polizia eritrea, caso più unico che raro in questo continente, sia praticamente incorruttibile. Così mi hanno detto. E non faccio fatica a immaginarli, ecco.
L’incontro con i colleghi italiani mi serviva per affrontare un nodo che mi portavo dietro da molto tempo, a proposito di sliding doors e tutta ‘sta roba.
Mi spiego, con l’avvertenza che e’ una noiosa storia da prof.
Dunque: succede che i prof italiani non di ruolo possono iscriversi, ogni tre anni, alle graduatorie per i supplenti all’estero di non piu’ di due paesi stranieri. Questo benedetto triennio si apri’, per quanto mi riguarda, durante il mio ultimo anno in Egitto. E io, alle prese con l’annoso problema di procurarmi uno stipendio che non fossero i 100 euro che mi pagava l’Egitto, mi feci due calcoli e chiesi l’Etiopia e l’Eritrea, puntando le mie speranze in particolar modo su quest’ultima perche’ sapevo di potere contare su un discreto punteggio. E ce l’avevo, in effetti. Peccato che, prima di me, ci fosse un misterioso siciliano che chiameremo Don Millepunti e che doveva avere iniziato a insegnare a dieci anni, a giudicare dal punteggio spropositato che aveva. Nemmeno in mille vite lo avrei superato. Se lui voleva insegnare in Eritrea, l’unico modo che avevo per prendere il suo posto era l’omicidio.
Desistetti dall’assassinarlo, poi mi arrivo’ la nomina in ruolo e venni richiamata in Italia. Ero da poco arrivata a Genova quando, un bel giorno, mi trovo nella casella email la chiamata dall’Eritrea. Don Millepunti non c’era piu’, chissa’ che fine aveva fatto. Volevo io andare a insegnare la’?
“Certo!”, direbbe qualunque persona sensata, se non fosse per un piccolo problema: che gli insegnanti di ruolo non possono accettare supplenze, pena la perdita del ruolo e il ritorno al precariato. Si poteva anche fare, guarda. Ma quello era l’ultimo anno di vigenza della graduatoria, l’anno dopo si sarebbe riaperta. E se fosse sbucato qualcuno con piu’ punti di me mi avrebbe preso il posto, lasciandomi a piedi in mezzo all’Eritrea e senza piu’ lavoro ne’ in Italia ne’, ormai, in Egitto.
Io non so neanche dire quanto mi lacerai nel dubbio, quanto mi chiesi se rischiare o no. Avessi avuto una prospettiva di almeno due anni me la sarei giocata, contando di mettere da parte abbastanza da riorganizzarmi in caso di sconfitta nella graduatoria successiva. Ma, con un anno solo, non riuscivo nemmeno a rifarmi di cio’ che mi sarebbe costato lasciare Genova, con la casa appena affittata e i mobili dell’Ikea da pagare. Dimettermi dal ruolo per un solo anno in Africa era un rischio folle e non me la sentii.
Poi, non ho praticamente piu’ smesso di chiedermi se avevo fatto bene o male. E se invece mi fosse andata bene, nella graduatoria seguente? Se avessi potuto contare su 4 anni, anziche’ su uno solo? Ci avro’ pensato mille volte, era una spina in una gengiva, avevo paura di saperlo per non morire di rimpianto, uno stress.
E poi e’ arrivato il momento di venirci, in Eritrea, e di andare a vedere ‘sta mano di carte del destino, di scoprire se avevo fatto bene o male.
L’incontro con i colleghi mi serviva a questo.
E cosi’ ho scoperto che quel posto e’ di nuovo di Don Millepunti, sempre lui. Era semplicemente andato a fare un’esperienza di lavoro altrove, ma poi era tornato, aveva mandato a casa la sostituta e si era ripreso il suo posto. E’ qui da tempo immemorabile, per questo ha mille punti. Ha goduto del doppio punteggio per tutto questo tempo. E inoltre ama moltissimo l’Eritrea, e’ la sua seconda casa, fa parte del paesaggio, non se ne vorra’ andare mai ed e’ persino simpatico, mi dicono.
Lo avrei perso di sicuro, il lavoro, un anno dopo avere mollato tutto per accettarlo.
Sono notizie che fanno bene, e’ come togliersi una spina da una gengiva. Fai pace con la tua vita. Io ho sentito un’ondata di serenita’, mentre scoprivo ‘sta mano di carte non giocata, e il rimpianto che si sgonfiava e spariva.
E’ andata bene.
Meno male.
La colleghina mi racconta di Massawa, mi dà un po’ di dritte preziose.
Domani vado, parto per il mare.
Bello. Mi piace la storia del far pace con la vita. Auguri.
Scommeto che…sai a quale regione “appartiene” l’ambasciatore italiano in Eritrea! Medita…
No…non fanno fatica a ridere…Io, p.e., li metto in condizione di farsi delle grandi risate!
Quando si presenta l’occasione, per un qualsiasi motivo, di parlare con loro (in tigrignà), la prima cosa che mi chiedono è quando abbia imparato la loro lingua…Io rispondo traquillamente: “T’malì dhr fadus!…” Ieri pomeriggio, verso le quindici e trenta!
Schiantano dal ridere…
Salutissimi
Walter