Parto dalla fine, dall’ultimo commento che Cloro ha scritto fino ad ora:

“Non so se l’avete capito, ma il fatto che io sul blog parli di Finkelstein o traduca Gabriel Ash o attacchi il vile operato dello Stato di Israele non ha mai significato che abbia mai negato l’Olocausto o parlato in qualsivoglia maniera delle camere a gas o dei sei milioni di morti. Mai discusso nè parlato di queste cose, nè sul blog nè altrove (a scuola o in siti vari). MAI. Il concetto è: chi mi accusa di negazionismo con nome e cognome, mi diffama quindi paghera’ i danni.”

Perché è successo che, tempo fa, la blogger che tiene Agorà di Cloro abbia scritto un post in cui se la prendeva con tale Marco Pasqua, giornalista di Repubblica molto attivo nella diffusione dei comunicati di quel bel tomo di Riccardo Pacifici.

Ed è successo che il suddetto Marco Pasqua, invece di rispondere nel merito di ciò che gli veniva detto o, in alternativa, di ignorarlo, abbia deciso che la vendetta è un piatto che si consuma freddo, a quanto pare. E così oggi, di punto in bianco, appare su Repubblica di Milano questa roba qua:

Ora: io Cloro la conosco più a livello personale che di blog. A suo tempo incappò in qualche disavventura con una pazza con cui a mia volta avevo avuto a che fare, quindi ci incontrammo e siamo in rapporti amichevoli da allora. Di conseguenza, appena ho visto l’articolo l’ho chiamata, sbalordita:

Ma Cloro, scusa, ma tu sei negazionista? Fai discorsi negazionisti in classe?

Ma sei scema???“, mi fa. La Cloro è una tipa sanguigna. E mi ha spiegato il retroscena della cosa e il suo sbalordimento nel leggere l’articolo.

Ed io mi sono incazzata parecchio. Perché, a prescindere dal blog di Cloro e dalle sue opinioni, con cui si può o meno concordare, c’è il fatto che un conto è il proprio blog e un altro il proprio lavoro. E, in quest’articolo di Repubblica, non c’è mezza parola che lei abbia pronunciato in classe, nelle sue funzioni di prof. Ci sono, semplicemente, le sue opinioni personali espresse sul suo blog personale, tagliuzzate, assemblate dal giornalista e sbattute a tutta pagina assieme alla sua qualifica professionale e al nome della sua scuola. Il tutto, coronato dall’insinuazione: “E chissà se alcuni di questi concetti riescano a insinuarsi nelle sue lezioni[…]” che, oltre ad essere abbastanza viscida, conferma appunto che il giornalista di Repubblica non ha la più pallida idea di ciò che Cloro faccia o non faccia a scuola.

Un’operazione di rara scorrettezza, direi. La diffamazione gratuita di un’insegnante in base a ciò che questa pensa o dice al di fuori della scuola. Il tutto sullo stesso giornale che, nello stesso giorno, si lamenta per gli attacchi dei politici agli insegnanti.

Operazione che, peraltro, mi turba perché la stessa cosa potrebbe succedere anche a me e a chiunque esprima, sul proprio blog, idee politiche che non siano quelle maggioritarie nel paese. E, del resto, chi mi legge da tempo sa quante volte sia circolata anche su Haramlik, questa minaccia. E quindi, fatemi capire: la libertà di espressione di una privata cittadina che di mestiere fa la prof è ridotta rispetto a quella di chi fa altri mestieri? Perché, se è così, io vorrei saperlo con chiarezza. Tanto per non rimanere esposta alle vendette personali del primo giornalista che decido di criticare qua sopra.

Credo nella certezza del diritto: se scrivo cose in contrasto con la legge, chiudetemi il blog e perseguitemi, ma come cittadina. Oppure, se faccio male il mio mestiere e sono scorretta come insegnante, mandatemi un’ispezione. Purché sia richiesta dai miei alunni, dalle loro famiglie o dal mio preside, non certo dal primo giornalista filoisraeliano che passa di qui.

Ma non esiste, non è civile e non è corretto che i piani tra la tua persona e il tuo lavoro vengano confusi in questo modo, senza darti modo di difenderti, e da giornalisti che, per loro stessa ammissione, nemmeno si prendono la briga di sapere come lavori nella scuola che sbattono a tutta pagina.

Fossi al posto di Cloro, giuro che preferirei che Repubblica chiedesse il sequestro del blog, piuttosto, se è tanto convinta della delinquenzialità di ciò che c’è scritto: almeno, così, una lo chiede alla giustizia, se le opinioni che esprime sono legittime o meno. Almeno, così, una è in condizioni di difendersi. Ma da un articolo così, chi fa il nostro mestiere come si difende?

L’imbarbarimento del paese e del suo giornalismo ci rende una categoria estremamente ricattabile.

E a questo Marco Pasqua, evidentemente, questo sistema piace. Sappiate che, a scrivere di lui, rischiate di vedervi additare sulle pagine di Repubblica come brutte persone, prima o poi. E sappiate che Repubblica si presta, evidentemente, a fare da cassa di risonanza delle sue vendette.