Per entrare a piazza Tahrir devi passare per dei controlli che consistono in un ragazzo – o in una ragazza, se sei donna – che gentilmente ti perquisiscono e controllano che tu non abbia armi o cattive intenzioni. Ci sono andata ieri sera con Julia: il tempo di posare la valigia da lei ed eravamo già là e non vedevo l’ora, dopo sei mesi passati ad immaginarmela, a chiedermi come potesse essere una Cairo così cambiata, una Tahrir postrivoluzionaria tanto inaspettata da essere  inconcepibile. L’avevo già sbirciata dal taxi, dalla sopraelevata che mi portava a Dokki: tende bianche in lontananza, l’unica cosa diversa in un tragitto uguale a sempre. Poi, una volta dentro, non so: è una Cairo diversa e uguale allo stesso tempo, uno spazio di libertà mai visto prima e, allo stesso tempo, la Cairo di tutta la vita, ingegnosa e ridanciana, e i bimbi ovunque.

E’ come uno strano impasto tra una festa dell’Unità con le famiglie a spasso, un Hyde Park con palchi da cui la gente prende la parola, un happening di artisti, un seminario di politica collettiva, un altare itinerante ai Martiri per cui si chiede giustizia e un campeggio al centro, con un sacco di tende, e sedie e tavolini, e gente che si è piazzata lì e che ci rimane. Piazza Tahrir, luglio 2011. Ci passerò molto tempo.

Tra poco è Ramadan, tra l’altro. Mi sa che si animeranno ancora di più, le notti di Tahrir. Sembra fatta apposta per accogliere la gente, all’imbrunire. Come una strana festa, testarda, con un retrogusto di disperazione dietro l’apparenza giocosa. Una festa sul filo del rasoio, destinata in un modo o nell’altro a segnare il futuro del mondo arabo e di noi tutti.

Poi, questa mattina, sono uscita e sono passata davanti alla casa del nuovo primo ministro, che è a 10 metri da casa di Julia. E’ una casa normalissima, anche un po’ scalcagnata, come tutte quelle di Dokki. La riconosci per la scorta che ci staziona davanti, elegante, palestrata e in borghese. Stamattina la riconoscevi anche per il gruppo di gente incazzata che ci stazionava sotto: hanno aspettato che Sharaf uscisse per fischiarlo ed è stato uno spettacolo strano. Due auto blu, quella di scorta e la sua, e la gente attorno a inveire e uno dei poliziotti nella seconda macchina che aveva un mitra, enorme, e lo puntava contro la gente. Una spera che non siano poliziotti nervosi, quando vede ‘ste cose. D’altra parte è anche strano vedere un primo ministro tanto esposto, coi manifestanti a un palmo dal naso. Mah.

Ché, poi, di nervosismo ne ho visto ben poco: le macchine sono andate via, i manifestanti hanno deciso di fare un sit-in lì, in mezzo alla strada, e i poliziotti, sbuffando, hanno messo le barriere per non fare entrare il traffico, ché sennò chissà che ingorgo si sarebbe creato. Julia ha alzato gli occhi al cielo, quando gliel’ho raccontato: “A quelli di Mubarak permettevano qualunque cosa, a questo poveretto gli stanno facendo una testa così: ogni giorno ce ne è una.” In effetti, in Europa non sarebbero permesse manifestazioni tanto vicine alla casa di un primo ministro, direi. E’ come se qui la democrazia andasse per tentativi, c’è un sacco di roba da imparare e da capire.

E niente, io sono contenta.

Avevo bisogno di tornare.