A Tahrir c’era un sacco di roba, l’altra sera: l’inaugurazione della scuola in piazza, il cinema all’aperto e, prima, quest’esperimento chiamato Tweetnadwa di cui parla anche Paola Caridi qui:
Si tratta di una specie di assemblea di twitters: un palchetto con uno schermo su cui scorrono i twits della gente seduta lì attorno, su appositi lenzuoloni stesi per l’occasione, un moderatore e vari interventi di persone che sono abituata a leggere su Twitters e poi, dal vivo, ti impressionano per come sono giovani.
Molta borghesia cairota, tra questi ragazzi: la piazza è più interclassista, spesso decisamente popolare. In questi incontri, invece, noti un livello socioculturale diverso, e la sensazione di stare assistendo alla crescita della futura classe dirigente egiziana si fa ancora più forte.
Tahrir è comunque, sempre di più, un Egitto in miniatura. Io ho trovato strepitoso questo post di Sandmonkey: il post dell’anno, per quanto mi riguarda. Qui un piccolissimo assaggio, ma il post va letto tutto:
Tutto è iniziato nella zona delle tende, dove dormiamo: la prima notte le tende erano una accanto all’altra, in formazione sparsa. Poi abbiamo cominciato ad avere problemi con la gente che passava: domande indiscrete, occhiate (c’erano ragazze nelle nostre tende, figuratevi…) e occhiolini alle ragazze. Così, il giorno dopo abbiamo cambiato la posizione delle tende, in modo da creare un grosso circolo con uno spazio all’interno per gli ospiti ed un’unica entrata/uscita all’area. Il tutto, per proteggerci dagli sguardi e dalle azioni della stessa gente i cui diritti stavamo difendendo. Così, senza neanche accorgercene, abbiamo creato – noi, gente che considera elitisti e classisti i quartieri residenziali – il nostro involontario quartiere residenziale. E la cosa più tragicamente comica è stata che, nel nostro tentativo di assicurare il passaggio all’area e di controllarne l’accesso, abbiamo pure reso impossibile la fuga nel caso fossimo stati attaccati. Standard di sicurezza egiziani al loro meglio!
Poi sono arrivati i ragazzini di strada. Tre di loro, di 8, 12 e 13 anni. Un giorno sono arrivato e li ho trovati lì con noi, giacché la gente delle tende, in lotta per l’uguaglianza, li aveva fatti entrare ed aveva iniziato a insegnargli cose, a giocare con loro e a condividere i ventilatori, l’ambiente comodo, l’acqua fredda e i succhi e gli snacks. E quando sono arrivate le scorte e abbiamo cominciato ad aprirle e a organizzarle, loro hanno iniziato ad aiutarci, e a ripulire la zona. Alla fine eravamo così a nostro agio in questa dinamica che abbiamo cominciato a rivolgerci a loro quando ci serviva roba da mettere in freddo o dovevamo ripulire la zona delle tende, creando quindi, senza farlo apposta e senza volerlo, qualcosa che somigliava molto allo sfruttamento del lavoro minorile, in cui i ragazzini lavoravano in cambio di cibo, bevande, svago e posto per dormire, il che è economia trickle-down ai suoi livelli più basici: bella cosa, da parte di un gruppo di rivoluzionari e attivisti dei diritti umani […]
No, ma leggetelo tutto . Sul serio.
A Tahrir, di giorno, ci sono comunque una quarantina di gradi: è un forno, dico sul serio. Io mi sono già presa un po’ di malanni – dal torcicollo, a furia di passare dal forno all’aria condizionata, a un accenno di attacco di porfiria che sto sconfiggendo bevendo litri di acqua e zucchero. Le successive riflessioni sulla mia scarsissima forma fisica mi hanno fatto capire che ho bisogno di un paio di giorni di tregua al mare. Forse parto domani.
Adesso, invece, vado a cena al Fish Market, confidando in un’improbabile brezza dal Nilo.
Carissima, aspettami mi raccomando! Io arrivo il 7 inshallah, mia moglie andrà a Port Said ma io penso starò al Cairo o al massimo vado solo pochi giorni a Port Said o successivamente o solo i primi giorni. Wait for me!