Scusate il ritardo, è che avevo da fare: dovevo prepararmi per il Concorso. Nelle ultime settimane non c’ero davvero per nessuno, a stento rispondevo al telefono. Somatizzavo, facevo incubi in tutte le lingue su cui sarei stata esaminata, mi lagnavo come una quattordicenne, vedevo serie su serie di terrificanti telefilm in inglese e facevo test, soprattutto. Migliaia di test, milioni di crocette, ho ancora tutti i fogli sparsi sul pavimento della mia stanza e mi chiedo quanti sacchi mi ci vorranno per disfarmi, prima o poi, di tutta questa carta che mi viene la nausea a guardare.
Poi abbiamo preso l’aereo, io e il mio cuore in un pugno, e ci siamo presentati a Roma, e poi ho comprato degli occhiali da presbite nuovi, passando da 1,50 a 2 gradi per essere sicura di centrare bene i pallini dei quiz che avrei dovuto riempire. Per essere certa di non arrivare in ritardo alla prova ho preso la stanza direttamente all’Ergife, con la mezza idea di precipitarmi a farla anche in pigiama, qualora la sveglia, per disgrazia, non avesse suonato. E poi ho quasi dormito, la notte prima, se dormire è svegliarsi ogni mezz’ora per ripensare ai phrasal verbs o a tutte le parole spagnole che non hai avuto bisogno di usare nell’ultimo decennio e che erano di colpo tutte lì in fila nel tuo inconscio, a farti il solletico e a non lasciarti riposare. “Aspersorio”. “Stame”. E quella bevanda a base di cognac e assenzio che bevevano a Tenerife, come si chiamava? “Solisombra”, sì, era così. Sol y sombra.
E poi, la mattina, ero lì che ripassavo ancora, ché inglese sarebbe toccato dopo francese e tedesco, e invece ho sentito le sirene della polizia. E su Facebook è apparso, ferale, il messaggio di una francesista: “Prova di francese annullata“. E allora mi sono vestita, ho lasciato la stanza e, con la mia valigetta e i fasci di appunti, sono andata a unirmi alla massa di colleghi che affollavano il piazzale davanti ai cancelli del locale delle prove e, da lì in poi, quello che è successo è noto a chiunque abbia visto un telegiornale.
Io posso raccontare solo i momenti che mi hanno colpito di più, e chissà che non mi faccia bene.
I francesisti che escono dalla prova annullata e uno ha il librone blu con i quiz sotto il braccio, ancora incellofanato. “Ma scusa, quello è il librone?” “Sì“, fa lui, e poi ne spuntano altri, e poi arriva una collega e glielo strappa di mano e si mette a urlare: “Ehi, qui c’è uno che ha il librone, accorruomo, polizia!!!” Le telecamere che arrivano in piazza accolte dagli applausi. I giornalisti inseguiti per tutto il piazzale da colleghi che, a decine, hanno scandali da denunciare. Le voci che si inseguono: “Prova annullata, no rimandata. Annullato solo francese. No, francese lo recuperano alle 7 di stasera. Aspettiamo i sindacati. Aspettiamo gli ispettori del MAE. Ehi, dicono che arriva il ministro.” Arrivano due reparti di celerini, invece, a fare fronte alle terribili professoresse lì riunite.
Le ore che passano e la gente che, stufa di denunciare la presenza di libroni per tutta la piazza, opta per studiarseli. Gruppi divisi per lingue sotti gli alberi e tra le aiuole, quiz declamati in tedesco con l’accento di Treviso, in francese con quello di Bari. Colleghi che ti rispondono in inglese pure se gli chiedi che ore sono, un gruppo di tizie con le occhiaie che è appena arrivato dall’Argentina. Le ore che passano, la calca ai cancelli, io che mi situo strategicamente imbucandomi tra quelli di tedesco per stare in una buona posizione quando finalmente, molte ore dopo, toccherà a inglese. Superati i cancelli c’è una rampa che porta ai locali delle prove, e in questa rampa, i colleghi di tedesco rimangono a fare la coda, in piedi, per circa due o tre ore. Io trovo un angolino, mi siedo sulla valigia, mi metto il pc sulle ginocchia e mi preparo ad aspettare. Passano altre ore che io occupo ripassando i quiz del concorso per presidi che ho scaricato dal sito del ministero ed estraneandomi dal contesto più che posso. Ho sete ma, se è per questo, vorrei pure fare la pipì, desiderio del tutto irrealizzabile. Meglio che mi tenga anche la sete, quindi. E poi pure la fame. Alcuni colleghi gridano: “Chi vuole inglese? Chi vuole spagnolo?” e la gente in coda si passa i libroni di mano in mano, strappa le pagine relative alla sua lingua, ed è tutto un balletto tra chi legge le domande e chi denuncia quelli che le leggono, e a volte sono le stesse persone. E la cosa tragica è che, in realtà, basta uno sguardo per capire che non vale manco la pena di guardarli troppo, ‘sti quiz del librone: sono di un livello talmente basso che, esaurita la curiosità, non te ne fai più niente. Sembrano i quiz che io darei ai miei alunni di prima o seconda, occuparsene è uno spreco di energie mentali e c’è bisogno di salvaguardare i neuroni per quella che, ormai, pare l’impresa più ardua di tutte: identificare i pallini e riempirli bene, sennò la penna ottica delle correzioni è capace di non leggerteli. La gente di tedesco intanto è entrata e siamo rimasti noi di inglese ad occupare la rampa, e siamo migliaia, uno sopra all’altro.
Io ormai sono in piedi, sempre attaccata alla mia valigina, ché comincia a fare buio e i colleghi mi pesterebbero, se rimanessi seduta nell’angolo, e non c’è lo spazio per muoversi e nemmeno per fumare, ammassati come siamo, e non finiamo mai, ci sono professori a perdita d’occhio, e di colpo, dall’interno del salone a pochi metri da noi sbuca un organizzatore agitatissimo che ci urla la più surreale delle domande, vista la situazione: “C’è un medico, tra di voi???”
Ci guardiamo. No che non c’è un medico. E’ evidente. Ci sono solo professori. Di lingue. Cosa vuoi che ci faccia, qua, un medico? Qualcuno azzarda: “Mah, che ne sai. Magari qualcuno che ha una doppia laurea.” E tutti che pensiamo che vale cinque punti, una seconda laurea, ma a nessuno è venuto in mente di prenderla in medicina e, dal fondo, una voce azzarda: “Io faccio il volontario sulle ambulanze, a Como.” Ed io, riflettendo, concludo che sono decisissima a non svenire, anche se ho sete, fame, e soprattutto voglia di fare la pipì, ma farei ‘sto concorso anche se fossi colta da un attacco cardiaco, a questo punto, e comunque svenire è perfettamente inutile, in una situazione del genere e in un posto dove ci sono due reparti della Celere ma nessuna ambulanza e, comunque, anche se ci fosse non potrebbe fendere la folla: gli svenuti potrebbero essere estratti dalla rampa in cui siamo solamente con delle gru. Intanto si è fatto proprio buio, è notte.
E poi riesce finalmente a entrare, la mandria di docenti a cui appartengo, e facciamo tutte le code – lascia le borse, fatti identificare, prendi l’attestato, prendi la matita pseudo-indelebile, bla bla – con ormai solo il desiderio di sederci, finalmente, e credo di non essere mai stata tanto ansiosa di raggiungere un banco in tutta la mia vita, ma è che se non mi siedo stramazzo.
Seduti nei banchi ci rimaniamo per altre due ore, prima che la prova cominci, tra procedure varie, estrazioni delle domande e, soprattutto, attesa per sapere cosa ne sarà dei concorsi che avrebbero dovuto esserci dopo: io avrei ancora spagnolo, dopo inglese, e mancano comunque i dannati francesisti protagonisti del casino del mattino che, poverini, non hanno colpa ma io, in quel momento, se sento di nuovo la parola “francese” vomito. Le passo a massaggiarmi la nuca e la fronte, le due ore successive, e a mangiare mentine per ingannare la voglia di nicotina. No, non bevo. Ormai sono oltre qualsiasi bisogno carnale: so solo che, finito l’incubo, il bancone del bar dell’Ergife sarà lì ad aspettarmi.
Dal fondo della sala, qualche collega cerca ancora la rissa con la Commissione: “Abbiamo il diritto di sapere cosa sta succedendo, spiegateci le irregolarità, confessate le colpe!” Io ringhio, una collega si alza e, tutta rossa, minaccia di morte il Masaniello fuori tempo che, personalmente, prenderei solo a calci. Fateci fare ‘sta caspita di prova e andiamo a casa. Abbiamo sete, fame, voglia di fare pipì. Basta, dai. Per favore.
E poi abbiamo riempito i pallini di una prova la cui facilità era offensiva e basta, e potevi sbagliare solo per stanchezza o astigmatismo, e non è detto che non ci sia riuscita. Una cazzata mortificante, domande uguali a quelle del concorso per presidi che tutti avevamo ripassato fino a un attimo prima, boiate che pure l’ultimo dei nostri studenti azzeccherebbe a occhi chiusi. Altro che librone, altro che tempi stretti, altro che il livello C1 di cui parlava il bando: dopo 15 minuti la gente già si alzava perché aveva finito, la Commissione ha dovuto minacciare di invalidarci l’esame per farci rimanere seduti fino alla fine. Io ho finito in venti minuti e il resto del tempo l’ho passato a perfezionare i pallini e a cercare di ricontrollare i numeri che mi si incrociavano davanti agli occhi. E a sognare il bar dell’Ergife. Un bicchiere di vino rosso. Un piatto di spaghetti. La mamma.
Per lasciare la sala, noi che avevamo la valigia siamo dovuti passare dallo stesso corridoio dell’entrata che, intanto, era stato riempito con cataste di libroni per la prova del giorno dopo. La gente passava, li prendeva, se li infilava in borsa, controllava se erano gli stessi della nostra prova, apriva dibattitti. E’ arrivato un poliziotto grosso e avvilito: “Eddai, lasciate i libroni, non prendeteli!” “Ma li prendono tutti!” “Lo so, io cerco di fermare quelli che vedo, per piacere, non portateveli via…” Dispiaceva per lui, si vedeva che era un bravo cristo. “Ma lei lo ha mai visto un concorso così?“, gli ho chiesto io. “No, queste sono cose da pazzi! Lo invalidano sicuro!”, ha detto lui.
L’ultimo librone l’ho visto abbandonato su un muretto fuori dall’Ergife, vicino alle volanti della polizia. Era giallo, buttato lì, snobbato persino da chi l’aveva preso. Io ci ho pensato un po’: poteva essere un souvenir. Poi ho scrollato le spalle e l’ho lasciato là. Non c’è niente da ricordare, meglio non pensarci più. Ho raggiunto il mio bicchiere di vino rosso.
Lunedì torno a Roma per fare la prova di spagnolo. Vorrei che almeno quella avesse un senso, ma non nutro molte speranze.
Queste prove avrebbero dovuto essere di livello C1, secondo il bando. E solo così avrebbero potuto garantire un minimo di selezione tra i partecipanti. Sono risultate di un livello A2 al massimo, invece, e questo vuol dire che le passeranno tutti. Ma tutti, proprio. Trentasettemila promossi. Il che vuol dire che, nelle graduatorie, conterà solo il punteggio di titoli e anzianità, che è come dire che potevamo pure non scomodarci da casa e mandarglieli per posta, i nostri dati. E tutto ciò vuol dire, per quanto riguarda me, che mi ritroverò ad essere il numero 13.000 circa, visto che questo concorso me lo giocavo solo e soltanto sulle mie possibilità di passare bene una prova difficile.
Ho lasciato l’Egitto accettando di passare di ruolo nella scuola, anni fa, all’unico scopo di fare questo concorso e ripartire per l’estero con uno stipendio che non fosse dei cento euro al mese che prendevo allora. L’ho aspettato per anni, facendo l’esatta, precisa vita che so da anni di non volere fare, sopportandola solo in nome della prospettiva di ripartire.
Mi toccherà pensare a un piano B, temo. Se ne ho la forza.
Non ci sono nemmeno parole, ormai, da spendere su scuola, concorsi ed esami. L’unica considerazione è che non abbiamo certezze di nessun tipo, e in questo cazzo di percorso tremolante e molliccio non si arriva da nessuna parte. Ti abbraccio con la stima di sempre, per quel che serve.
Grazie, Albamarina. Quanti anni sprecati, mamma mia.
Tutto ciò che hai scritto rispecchia così tanto ciò che è accaduto (anche io ho comprato un paio d’occhiali da presbite dall’ottico vicino all’Ergofe!) e il mio stato d’animo, che non avrei niente d’aggiungere. solo che mi dispiace non averti individuato fra la folla. A proposito di pallini. La mia prova è durata un po’ di più perché , per non sbagliare, ho fatto la minuta. Mentre ricopiavo ho dimenticato i motivi per cui ero lì e ho colorato un paio di pallini a caso, come se stessi riempiendo il “cosa apparirà” della settimana enigmistica. Quindi attenta! E poi sono caduta nel tranello sigaro/sigarette…
forte, la cosa dei pallini a caso. E non mi stupisce: pure io, alla fine, ero con la mente ormai lontanissima da là.
Io ho fatto tutto direttamente in bella: adesso non me ne ricordo più manco una, di domanda, e se provo a pensarci sto male. Vedrò i risultati e amen. Tu torni, martedì?
(Ah, no, è vero che sei di tedesco, per un attimo avevo pensato a francese.)
Ciao, avuto il tuo blog da un’amica che ti legge spesso.
Io ero lì venerdì per la prova di francese e confermo tutto, livello basso e surreale delle domande delle prove, libroni in giro, perfino presenza di qualche domanda riciclata dal test di selezione per presidi del 12 ottobre scorso che girava in rete a mia insaputa già da un po’.
Però oggi ho letto diversi comunicati dei sindacati (intanto CGIL, CISL, UIL): tutti denunciano le irregolarità e chiedono l’annullamento delle prove, mettendosi a disposizione di quanti vorranno fare ricorso. E allora portiamo a termine le prove comunque e poi però non perdiamoci di vista: proviamo a riscriverla noi questa dannata pagina!
Di un’altra cosa sono convinta: nessuno, e dico nessuno, può toglierci il potere di scegliere intimamente la vita che desideriamo. Ultimamente ho l’impressione di lavorare un orto d’inverno e per di più a notte fonda. Non facile, certo, però le mani, i piedi, le vertebre stanno imparando a vedere. Sensibilità insospettate si svegliano. Ne incontrano altre. Oggi l’esuberanza colorata del tuo blog.
Un sorriso,
maga
mai visto un concorso delle poste???
suvvia, hai il posto fisso a scuola e ferie da buttare…in egitto poi ora non ti troveresti tanto bene, leggo che vogliono far iventare tutti astemi, nuova verginità e bombarare le pirami…ma chi vai a fare?
io opterei per la cecenia d i sicuro
bye
Chi era quel grande che diceva: :”Impara l’arte, mettila da parte e fatti raccomandare” :
1) Marchesi;
2) Longanesi;
3}Flaiano.
Prova ad indovinare…
eravamo in tanti, allora, tutti coi sogni rotti a parte quello di raggiungere il bancone del bar.