E quindi, ieri sera, mentre ci baciavamo teneramente sotto la luna ridendo di Scr…ooppss…
(Ma no, dai, sto cazzeggiando, in realtà volevo scrivere di tutt’altro. Ricominciamo.)
In realtà volevo dire che l’atmosfera un po’ Eva contro Eva degli ultimi giorni mi ha ricordato un episodio complicato, ambiguo e mai chiarito del mio passato, e pensavo che, boh, magari scriverne qui avrebbe avuto senso.
Successe un mucchio di anni fa, quando mi ero appena separata dal mio primo marito ed ero ipersensibile, affacciata sull’ignoto, da sola nell’ex casa coniugale a pensare a come me la sarei cavata e, di colpo, persi tutte le amiche donne tranne un paio storiche, quelle che erano solo mie e non della coppia.
Non ho mai capito se è una cosa normale o se fui sfortunata io. Io so che lì dove vivevo, in un borgo alle porte di Milano, le coppie che avevo frequentato assieme a mio marito fino al giorno prima della separazione subirono una trasformazione sorprendente nell’attimo stesso in cui il suddetto marito divenne ex. Nel senso che i mariti diventarono mediamente più gentili e ciarlieri, anche se non per questo più simpatici, mentre le mogli cominciarono ad evitarmi fino a farmi sospettare di stare diventando trasparente. Ed io registravo il fenomeno ma, a dire il vero, non è che me ne preoccupassi molto. Avevo un ombelico intero che mi teneva occupatissima, in quel momento, e comunque mi riferisco a un ambiente che frequentavo senza che ci fossero amicizie vere, profonde. Il circoletto della sinistra locale, coppie con cui si andava a cena, cose così. Quegli ambienti che hanno senso come gruppo, più che come somma degli individui.
Era iniziato il bel tempo, frequentavo la piscina del luogo, se qualcuno mi veniva a tenere compagnia facevo volentieri due chiacchiere e, sennò, leggevo il mio libro. E veniva a fare due chiacchiere, ogni tanto, il simpatico e buon marito di una delle donne che più mi erano simpatiche, nel suddetto gruppo: una napoletana come me, che trovavo intelligente e arguta e con cui c’era stato qualche scambio di confidenze, un po’ più di complicità che con le altre. Forse un po’ rigidina, ché era rifondarola (già, allora c’era Rifondazione) ma buffa, alta un metro e un tappo e con i capelli cortissimi da bambino, l’aria tenera e intelligente che compensava la vena di rigidità.
Facevo due chiacchiere col marito in piscina, dicevo, ma più perché mi era simpatica lei che per lui. Lui era un bravissima persona, per carità: bruttarello forte ma pieno di buoni sentimenti, zero trasgressioni nel curriculum, sposato da sempre, senza dubbio l’ultimo uomo al mondo con cui mi sarebbe mai venuta voglia di peccare. Quale non fu la mia sorpresa, quindi, nel salutarla al supermercato, una sera, e vederla girarmi le spalle e andarsene ignorandomi.
Una più sensibile di me, magari, si sarebbe insospettita prima: quando lei arrivava in piscina e mi vedeva parlare col marito, in effetti, invece di raggiungerci si metteva sulla sua sdraio e rimaneva là, nonostante i nostri saluti da lontano. Ma io, che ti devo dire, ero l’innocenza fatta donna: avevo pensato che volesse stare in pace, chennesò. Ero in totale, assoluta buona fede. Una buona fede cosmica, accecante. Supportata anche dalla bruttezza di lui, penso col senno di poi. Non avrei mai detto che quell’uomo potesse suscitare gelosia in sua moglie, e lo dico affettuosamente. Troppo un brav’uomo, davvero.
Ci rimasi malissimo, quindi. Cascai dalle nuvole con dolore, mi sentii colpita da un’ingiustizia fortemente immeritata e, per giunta, lo schiaffone del suo darmi le spalle andò a planare dritto sul mio disarmato sentimento amichevole nei suoi confronti.
Un paio di sere dopo, alla festa parrocchiale del borgo, venni invitata da qualcuno a unirmi alla tavolata dove erano tutti loro. Io mi sedetti, lei prese il suo piatto e se ne andò sbuffando. Sguardi divertiti negli occhi degli uomini. Ostentata distrazione nelle donne. Il marito non c’era, forse faceva la fila per le salamelle. Io lì da sola, con la lettera scarlatta della neoseparazione in una tavolata di gente che meno male che era di sinistra. Pensa se fosse stata di destra. Il malessere, la furia che sentii me li ricordo ancora.
L’ignaro marito divenne, da quel momento, il destinatario dei miei più smaglianti sorrisi, delle mie più indifese confidenze, di ogni mia possibile voglia di socialità, divertimento, consolazione. Senza che tra noi ci fosse assolutamente nulla, ché davvero non mi piaceva in alcun modo, ma con una costanza che, in breve, ci portò a passare insieme le giornate intere.
Un uomo buono, ingenuo, ignaro di peccati e di cose della vita non ci mette molto a trasformarsi nel cavalier servente di una perfida trentenne neoseparata e animata da possenti propositi vendicativi. Solidarizzava con il mio momentaccio. Ricordò di possedere una moto che non usava da tempo e la rispolverò per portarmi al mare. Sulla spiaggia di Camogli, rideva delle mie preoccupazioni per il nanogrammo di cellulite che avevo allora e mi rassicurava riempiendomi di complimenti. Mi insegnò a usare lampadine a basso consumo per ridurre i costi della luce e cominciò a pensare di essermi utile, poi di essermi indispensabile. Quando gli dissi che volevo eliminare ogni traccia del mio ex marito dalla mia camera da letto, comprò vernice e pennelli e imbiancò la stanza da solo, in una giornata, sotto il mio sguardo grato e adorante.
Ormai, al supermercato, quando incrociavo la moglie ero io a darle le spalle. Poi vedevo lui e gli ripetevo che, no, non lo amavo, e che la smettesse di lasciarmi bigliettini d’amore sul tergicristallo della macchina, ché eravamo solo amici. Non gli ho mai dato nemmeno un bacio. Mi era solo simpatico, davvero. E mi servì per riprendere sicurezza in me stessa. E, certo, per indossare con divertimento dei panni a cui non avevo manco pensato, prima che altri me li cucissero addosso, ma che – dopo le gite al mare, la camera imbiancata, i fiori e i sospiri e le galanterie e tutte quelle robe là – avevo infine deciso di tenermi e di farne buon uso.
La veste da peccatrice dona molto di più della divisa da neoseparata affranta, o sorelle. Una si guarda allo specchio e rifiorisce più in fretta.
Loro due partirono per le vacanze a fine estate, forse settembre inoltrato. Io avevo appena trovato un fidanzato e detto per l’ultima volta a quest’uomo che, sì, amici sempre ma amanti mai. Tornarono prima del previsto, dal loro viaggio: lei era stata malissimo, era rientrata per accertamenti, le avevano diagnosticato un tumore. Quell’inverno la incrociai spesso al supermercato, con un berretto di lana a coprire i capelli da ragazzino spazzati via dalla chemio. Una volta quasi inciampammo l’una nell’altra e lei, che era con un’amica, si allontanò con un’imprecazione, strattonandola via. Io, niente. Che dovevo fare?
Non sono superstiziosa, non sono propensa al pensiero magico, non credo assolutamente di avere alcuna responsabilità nel fatto che lei si sia ammalata. E’ stato, evidentemente, un disgraziatissimo caso. L’essere stata molto incazzata per diversi mesi – prima facendo tutto da sola, poi col mio efficace contributo – non l’avrà comunque aiutata, me ne rendo conto.
Come è ovvio, non è una storia di cui io sia orgogliosa. Credo di avere fatto pochissime cose cattive, nella mia vita, ma una fu quella. Volli essere consapevolmente, razionalmente malvagia. Perché ero stata ferita, vabbe’. Ma fui malvagia, comunque. E mi accorsi – per la prima volta – che la malvagità di una donna, esercitata contro un’altra donna, può dare una sorta di perverso piacere di cui gli uomini sono solo gli strumenti, mentre si illudono di esserne il fine. Abbiamo un rapporto difficile, noi signore: possiamo essere sorelle, amiche per la vita, solidali fino a livelli impensabili in qualsiasi altra relazione. Ma c’è, nello stesso tempo, qualcosa di buio, di primitivo, di profondamente annidato nella nostra psiche che può risvegliarsi come nei predatori quando sentono l’odore del sangue. Il desiderio di sentirne il sapore. Il piacere di sentirlo.
Nessuno è sempre buono, nessuno è sempre morale, nessuno ospita solo buoni sentimenti. L’unica difesa che il nostro senso etico può darsi è la consapevolezza, suppongo. Siamo l’apparenza civile dei primitivi che siamo stati, è banale. Meno lo dimentichiamo, più teniamo sotto controllo il selvaggio, la selvaggia che ci abita dentro.
Perché, poi, non è del tutto vero che io sia esente dalle suggestioni del pensiero magico: in realtà, nelle scoppole che ti arrivano dal cielo quando ti comporti male, io ci credo. E sono in debito di uno scoppolone, per quella vecchia storia. Ho qualcosa da pagare, i conti non sono a posto.
Lei, comunque, guarì. Guarì anche il marito. Non ne parlammo più, non ci parlammo più. Alla fine, era come se nemmeno ci riconoscessimo, quando ci incrociavamo.
Una stronzata. Un malinteso montato artificialmente come panna. Uno spreco di dolore assoluto.
Volevo dire che mi dispiace, ecco. Ma che non saprei chiedere scusa nemmeno oggi. Ho detto che sono in debito, non che ho scuse da porgere.
a volte noi donne/uomini siamo davvero delle stupide/i, inciampiamo, senza accorgercene, in clicheè e stereotipi vecchi come il cucco:la moglie, l’amante, il marito/moglie geloso/a, l’amica-minaccia.Suvvia siamo nel 21esimo secolo….oggi le cosiddette”coppie” sostengono volentieri una persona rimasta sola, senza per questo creare strani triangoli o sentitrsi l’uno minaccia dell’altro.
Ti dirò, non mi è chiarissimo cosa c’entra nella storia il fatto che lui fosse brutto (brutto per te ma non per la moglie, ovviamente). Il “brav’uomo” al di fuori di ogni sospetto era in realtà propenso a farsi cicisbeo al tuo primo cenno e tu a tenerlo in pugno – pur senza farti contaminare sessualmente dalla sua bruttezza – al primo mancato saluto di lei: forse la napoletana non era poi così scema, quando stava in tensione perchè lui ti ciacolava in piscina. Intendiamoci, ho capito che la tua è una autocritica e ti fa onore – ma – stante che di sicuro non hai avuto alcun potere oncogeno – mi sa che non è solo nel finale che hai toppato a relazionarti con la coppia in questione…
Eva contro Eva, dici. C’entra poco ma non l’ho mai raccontato a nessuno e ora mi viene di farlo. Quando mio marito mi confessò di avermi tradito con una collega la frase che seguì fu “tu non devi assolutamente romperle le palle, ha famiglia!”. Avrei sopportato tutto ma non quella difesa ad oltranza prima ancora che venisse immaginata l’offesa. Io non avrei pensato all’offesa (giuro) se lui non si fosse affannato ad assumersi così in fretta la salvaguardia dell’onore di S. Maria Godetti. E fu vendetta. Del tipo girare al marito di lei le mail che i due meschini si erano scambiati. Di quel che successe ebbi sentore ma non cercai conferme. Non mi interessava. E non me ne curai più. Ero già appagata. Senza pentimento. Scusa se ho usato il tuo spazio per questo ot. E scusa se per una volta non mi firmo.
Ci sono diversi pregiudizi riguardo alle donne che divorziano, tra i quali: stanno divorziando per motivi futili, cercano il maschio. Ne ho sentito parlare, con le mie orecchie, in luoghi pubblici. L’essere presi per quello che non si è costituisce una violenza morale: la tua reazione è stata umanissima. Credo che Linus vagheggi per una figura femminile in stile superdonna…