Qualche giorno prima di partire per Cuba, partecipai a una cena durante la quale un individuo che si vanta di girare il mondo e di scrivere guide turistiche non fece altro che ripetere che il mondo arabo era totalmente privo di cultura.
Lo guardavo mentre lo ribadiva pubblicamente decine di volte, a voce ben alta e con l’aria soddisfatta di sé, impermeabile a qualsiasi dubbio. “Hanno avuto una bellissima cultura nell’antichità, poi la hanno completamente dimenticata e ora non c’è niente!“, pontificava.
Fu una serata estremamente spiacevole, di quelle che possono darsi solo in certi ambienti di piccolo-media borghesia gretta, chiusa, provinciale e arrogante – e Genova li ha, sfortunatamente, e sono il lato oscuro della peraltro incantevole città – che mi lasciò con un mal di testa che mi durò un mese – ed è che come somatizzo io, nessuno al mondo – e il rimpianto di non essermene andata mollando la cena a metà.

Che coraggio, definire “senza cultura” un’intera fetta di mondo, e proprio quella.
Come se non esistesse una letteratura araba contemporanea, una narrativa, una poesia. Come se non ci fosse arte. Come se il mondo arabo non componesse musica. Come se non avesse cinema. Come se non avesse una rigogliosa arte di strada, come se non fossero maestri di comic, vignettisti satirici tra i migliori della scena politica internazionale. Come se non ci fosse riflessione politica, teologica, come se non avesse intellettuali e saggisti. Come se non avesse identità. Come se non esistesse.
Il mondo arabo “senza cultura”. Che vergogna, sentire gente che lo dice senza arrossire, davanti ad altri, certa dell’impunità che solo l’ignoranza – la propria e quella del proprio mondo – può garantire.
Che disagio, che pessima serata.

Ieri, invece, consultando il Google Reader dopo parecchio che non lo guardavo, ho ritrovato un altro trombone di vecchia conoscenza, Salame-lik, che, tanto per cambiare, mi invoca da mesi incolpandomi, assieme a qualche altro, di ogni possibile disgrazia sia capitata in Egitto nell’ultimo anno.
A me Sherif fa ridere. Mi rendo conto che vuole solo attirare l’attenzione ma, cosa vuoi, ho pensato che dedicandogli una mezza risposta, oltre a fare una buona azione, potevo anche riflettere su un paio di cose a cui stavo comunque pensando in questi giorni.
La diversa presenza dello Stato a Cuba e in Egitto, per esempio.

Sherif, in pratica, dice che:
1. Gli egiziani sono in gran parte poveri e analfabeti, quindi non adatti alla democrazia.
2. Se portati a votare liberamente, gli egiziani votano male e rovinano pure il rapporto tra Egitto e Israele/USA, quindi è meglio se non votano o votano per finta, come sotto Mubarak.
3. Cuba sarebbe (cito testualmente) “messa ben peggio dell’Egitto di Mubarak”.

Be’: a me dispiace ma, con tutto il bene che voglio all’Egitto, il confronto con Cuba o, se vogliamo, tra Mubarak e Fidel, soprattutto sui temi relativi all’istruzione, è impietoso.
Cultura e istruzione non sono la stessa cosa e, certo, l’Egitto ha un grosso problema di analfabetismo. Il sistema scolastico impiantato da Nasser, gratuito per tutti fino all’università compresa, è diventato, sotto Mubarak, una fucina di corruzione, lezioni private carissime come unico modo per andare avanti, famiglie indebitate per pagare dette lezioni, inefficienza e scarsa o nulla penetrazione nei settori più disagiati della società egiziana.
La lunghissima gestione di Mubarak lascia in eredità il problema dell’analfabetismo che Sherif tanto denuncia, e questo nonostante l’Egitto fosse, dopo Israele, il paese più finanziato dagli USA al mondo. Chiedetelo a Mubarak, dove sono finiti tutti quei soldi. Non nella scuola, decisamente.
Che poi un popolo tenuto nell’analfabetismo da una lunghissima dittatura, non sia di conseguenza adatto alla democrazia, è uno di quei ragionamenti che danno l’intera misura del credo politico di uno come Sherif.

(Così come la sua idea che “la democrazia non è altro che la dittatura della maggioranza” dà l’esatta misura di quanto ne sappia, lui, dell’argomento. La democrazia è tutela della minoranza, ovviamente, ovvero l’esatto contrario di ciò che dice Sherif. Ma cosa gli vuoi dire? Puoi solo suggerirgli di riprendere gli studi abbandonati, per il suo bene.)

Tornando a Cuba, tuttavia, il paragone con l’Egitto di Mubarak io lo faccio tutti i giorni, stupefatta nel vedere, per la prima volta in vita mia, uno Stato tanto presente in un paese tanto povero.
Cuba non è, a differenza dell’Egitto, campionessa mondiale di incasso di aiuti USA. E’ un paese sottoposto a embargo da oltre mezzo secolo, isolato commercialmente e non solo, accerchiato e tenuto, da generazioni, in una posizione estremamente difficile. Un paese che, durante el “periodo especial”, si è dovuto razionare le calorie per non morire di fame, le ore di luce elettrica per non rimanere al buio.

Di Cuba si può dire tutto, non mi sfuggono i suoi molti difetti, vedo tante cose che non vanno e intuisco che ce ne siano altre che non vedo. Ma, decisamente, non si può dire che abbandoni i suoi poveri, che lo Stato sia assente per i cittadini più svantaggiati.
Le città cubane sono pulite. La spazzatura viene raccolta. Ci sono meno bestie (topi, scarafaggi) che a Genova e gli impiegati di Salud Publica girano per tutta l’Avana per tenere sotto controllo e disinfestare qualsiasi possibile vivaio di zanzara della Dengue. I malati, anche se poveri, vengono curati dallo Stato, non c’è bisogno che se ne occupino i Fratelli Musulmani di turno. A scuola ci vanno tutti, proprio tutti, e ci vanno gratis sul serio, non solo sulla carta.

L’analfabetismo lasciato in eredità all’Egitto da Mubarak, a Cuba è stato sradicato nel 1961. Non solo: i cubani hanno alfabetizzato milioni di persone nei luoghi più reconditi del pianeta, e continuano a farlo: Cuba non esporta solo medici, ha maestri tra gli indigeni del Messico e del Centro America, programmi, missioni.
A Fidel, evidentemente, la cultura non fa paura. Dei suoi cubani non si potrà mai dire che sono “inadatti alla democrazia perché analfabeti“. Sherif, prima di paragonarlo al dittatore del suo cuore, dovrebbe lavarsi la bocca con della candeggina.

E poi, permettetemi un appunto di tipo estetico: ricordiamo tutti le immagini del processo a Mubarak, con lui steso sulla barella intento a scaccolarsi per ore, mentre i figli cercavano invano di proteggerlo dalle telecamere.
Ecco: direi che nessuno al mondo, nemmeno gli anticomunisti più viscerali, potrebbe immaginare Fidel Castro nella stessa postura, offrendo lo stesso spettacolo. E’ un dettaglio piccolo ma, a mio parere, non insignificante.
Direi che parliamo di categorie umane e storiche decisamente diverse, ecco.

I popoli devono poter vivere la propria Storia. Colonialismi, post-colonialismi, politiche e dittatori eterodiretti creano società deboli, malate. Che le società arabe conservino un’identità tanto forte, una cultura (nel senso autentico del termine) vera e viva, nonostante ciò che hanno sofferto e continuano a soffrire, è un miracolo.
A me può non piacere Morsi, e difatti non mi piace. Ma sono convinta che ogni popolo debba potere scegliere, sbagliare, sperimentare e, comunque, seguire il proprio percorso. La Storia non è una linea retta, ha traiettorie accidentate. Il paternalismo del “Tu non sai, è meglio che altri decidano per te” ha fatto danni per secoli, e dispiace che esistano degli Zii Tom che continuano a sostenerlo.

Questo pensavo, quando l’occhio mi è caduto sull’ultimo post del buon Salamelik e sono esplosa nella risata della giornata.
Il Nostro, avendo ricevuto un’email dell’ISPO che è stata inviata praticamente a tutti i blogger d’Italia (io l’ho ricevuta una decina di giorni fa e prontamente cestinata, su FriendFeed mi dicono che l’hanno ricevuta un po’ tutti), si è bevuto tutte le frasi lusinghiere contenute nella richiesta di partecipare a un sondaggio, ha creduto che fossero rivolte a lui-proprio-a-lui e ci ha fatto un post intitolato: “Un altro riconoscimento per Salamelik“.

Ed io sto a rispondere a uno che si lusinga davanti allo spam e ci fa un post.
No, ma dai. C’è qualcosa di struggente, in questa cosa.

Sto immaginando Sherif in salumeria, davanti al cartello: “Sconti riservati in esclusiva per i nostri migliori clienti”. Me lo vedo che, tutto contento e vanesio, esce con il prosciutto intero, certo che il salumiere lo stimi. Ma poverino, ma santo cielo.

(Ora però non ti allargare: la prossima volta che ti prenderò in considerazione sarà verso aprile o maggio, non prima.)