Continuo ad andare verso Occidente, con calma. Sto comunque lavorando, non c’è bisogno che mi scapicolli per arrivare all’Avana. Trascorro a Camagüey altri due giorni assolutamente analoghi a quelli dell’andata, con l’unica differenza che la gente si ricorda di me e mi saluta, nei locali in cui ritorno. Da qui all’Avana è ancora lunga, devo spezzare il viaggio e decidere dove fare la prossima tappa. Però è quasi un mese che viaggio e la mia curiosità comincia a essere sazia, non immagino una nuova meta che mi possa stupire. Mi succede ogni volta, a Cuba: dopo un po’ mi stanco, mi si esaurisce il desiderio di fare e di vedere. Probabilmente soffro le isole, alla lunga.

Camagüey si riscatta quando passo davanti a un centro culturale e decido di finire lì la mia serata. C’è una donna che canta accompagnata da una ragazza al piano. Il repertorio non è banale, percorre la storia musicale di Cuba. Ed è intervallato dalla lettura di poesie di Nicolás Guillén, importante poeta cubano che non conosco quanto dovrei e ne approfitto per colmare lacune. Fino a quando la cantante non si accorge di me, apprende che sono italiana e si mette in testa di farmi cantare a tutti i costi le canzoni di Laura Pausini, costringendomi alla fuga.

La mattina dopo vado alla stazione dei bus con le idee poco chiare, intenzionata a prendere il primo mezzo verso Occidente. Che risulterà essere diretto a Varadero.

“No quiero ir en su carro a Varadero” (interessante canzone dedicata alle italiane che pagano gli uomini a Cuba)

Varadero è la perla del turismo di Cuba. Ma siccome qui siamo snob, in anno e mezzo che frequento l’Isola non ci avevo mai messo piede, benché sia a 150 km scarsi dall’Avana. I fatti dimostreranno che non sbagliavo a starne lontana.

Il posto in sé è una lunghissima striscia di terra che, per quello che ci interessa, è fatta da un’interminabile strada principale attraversata da un centinaio di strade piccole. Parallela alla stradona lunga c’è la spiaggia.

Chi dice che la spiaggia di Varadero sia la più bella del mondo non deve averne viste molte: è una spiaggia lunghissima, di sabbia chiara, con le sue brave palme e un mare indiscutibilmente molto bello, ma dovrebbe essere più curata, specie attorno ai bar dove spiace vedere mozziconi e bicchieri di plastica abbandonati. E dietro c’è questa stradona, come dicevo. Che vuol dire che ogni cosa è a molti isolati dall’altra, e se un bancomat non funziona devi andare a quello dopo, che è al capo opposto della stradona, 40 o 50 isolati in più in là. E il posto dove si mangia decentemente è a venti isolati, internet è a trenta isolati tornando indietro e così via. Lungo la stradona, un susseguirsi di taxi e coco-taxi che ti sparano tariffe fuori dal mondo e da qualsiasi mercato, cubano o europeo che sia, e che dipendono solo dall’umore del tassista. Per lo stesso percorso ti possono chiedere un dollaro o cinque, e con tutta l’arroganza di chi è abituato a masticare turisti tutti i giorni. Mentre tu scarpini sotto al sole cocente e, pur di non avere a che fare con ‘sti tizi arroganti, ti fai venire le vesciche ai piedi, in pieno scontro tra la loro cocciutaggine e la tua. Per una come me, Varadero è la raffigurazione dell’inferno.

Né le avventure del mio arrivo contribuiscono a rendermi ben disposta verso il luogo. Perché arrivo di sera tardi, quando le casas particulares sono buie e sprangate, e decido di andare in albergo. All’hotel de cuyo nombre no quiero acordarme (ma lo farò per Tripadvisor, ‘sta cosa grida vendetta) la signora della reception mi dice che certo che c’è posto. Poi mi guarda e mi fa: “Ma perché non va in una casa particular, le conviene, ne conosco una qui vicino”. Il punto è che i cubani prendono una commissione, quando ti portano in una casa particular, mentre l’albergo è statale e lei non guadagna niente se mi fermo lì. Ed è sera tardi, sono stanca, non mi fido della sua casa particular e voglio andare a dormire, quindi insisto per prendere la stanza in albergo. E lei mi guarda e fa: “Oh, avevo sbagliato, qui non c’è posto!” Da prenderla a schiaffi. Ma intanto si è fatta l’una di notte passata e devo cedere. Finisco in ‘sta casa del cavolo che abbandono la mattina dopo, ma intanto sto già tirando giù tutte le madonne possibili.

Io di Varadero ho capito una cosa: è un posto che ha senso se te lo vivi da dentro un resort e uscendone il meno possibile ché, tanto, non è che fuori ci sia molto da vedere. Dal resort sfrutti la spiaggia al suo meglio, hai tutto a portata di mano, sei in una bolla che ti permette di isolarti dai cacciatori di turisti, non devi negoziare anche per respirare l’aria e quindi alla fine ti conviene pure economicamente, ché da viaggiatore indipendente spendi comunque cifre senza senso e per giunta ti incazzi. Infine, cosa da non sottovalutare, se te ne stai in un resort i tuoi soldi finiscono allo Stato cubano, che di sicuro li spenderà meglio degli avvoltoi in cui incappi altrimenti.

Sono rimasta lì due giorni, ho collezionato decine di aneddoti di cui voglio solo scordarmi e infine sono fuggita. Venendo da Varadero, quando finalmente arrivi all’Avana ti viene voglia di inginocchiarti e baciare il suolo. Mai più. Sarà sicuramente un posto bellissimo per la maggioranza dei turisti, ma io non sono fatta per questi luoghi. Delle cose che amo di Cuba, lì c’è pochissimo, e in compenso c’è parecchio di ciò che proprio non mi piace. Chi mi somiglia vada a Baracoa, che è meglio.

(Niente foto, non c’era niente che mi ispirasse)