E’ tutto il giorno che vedo sulle bacheche dei vari social network una marea di gente che si mostra scandalizzata e sconvolta per i commenti messi in giro da chi gioisce per l’ennesima ecatombe di immigrati in mezzo al mare. Circolano gli screenshot di tamarroni (tutti col cognome discretamente oscurato, fosse mai) che dicono: “Evvai, settecento straccioni in meno!”, e il commentatore perbene scuote la testa: “Che brutta gente! Che pessima Italia!” Il commentatore perbene neanche se le sogna, certe frasi. Mica è così, lui. O lei.
Un po’ di questi tizi li conosco: ci ho discusso su internet oppure ho scientificamente evitato di discuterci. A volte li ho buttati fuori dal mio feed per non leggerne gli sproloqui – appunto – razzisti. Anche se meno grezzi di quelli dei tamarroni, certo.
Sono quelli per i quali i mille Guernica creati da Israele ogni tot di mesi sui corpi di arabi indifesi sono “per legittima difesa”. Sono quelli che la categoria di colonialismo e resistenza anticoloniale, a Israele, non la applicano mai: per loro siamo sempre a che, se non ammazzi gli arabi, dietro l’angolo c’è Auschwitz.
Sono quelli che diffondono dalla mattina alla sera l’ultima novità sull’Isis ma non si sono mai, veramente mai vergognati per le nostre guerre, le nostre distruzioni di terre altrui, i nostri Abu Ghraib e le nostre quotidiane schifezze. Sono quelli che, se accenni a una connessione logica tra causa e effetto, strillano: “Senza se e senza ma!”
Sono quelli che, a mezzo secolo da Orientalismo, continuano a sposare e a diffondere la narrazione mainstream sugli arabi senza porsi mezza domanda, mai, sulle esigenze ideologiche e politiche di questa narrazione, grati del senso di superiorità razziale e culturale che ne traggono.
Sono quelli che, come le “femministe” europee che in epoca coloniale (ma ancora oggi, ovviamente) parlavano delle “povere donne arabe/indiane/africane” e del dovere di difenderle dai loro orribili uomini, ma senza mai interpellarle e appoggiando di fatto ogni appetito coloniale sui loro destini, oggi hanno in agenda i gay del mondo arabo, e rieccoli a fare finta di essere molto preoccupati per i loro diritti, ovviamente senza mai interpellarli e offendendosi assai se qualcuno gli fa notare il concetto di “pinkwashing”.
Sono quelli che della voce della gente normale (le donne, i gay, i ragazzi, gli intellettuali), in quei pezzi di mondo, non solo se ne fregano ma, anzi, la evitano accuratamente, ché i loro veri intelocutori sono i mostri, i barbuti, quelli delle fatwe strane, ché per mantenere in piedi le loro convinzioni hanno bisogno di un contrappunto suggestivo.
Sono quelli che non hanno scritto un rigo contro l’orribile spettacolo dei nostri media che, fino a ieri, hanno tenuto in prima pagina la storia dei “musulmani che buttano i cristiani in mare”.
Qualche volta sono quelli che alcuni anni fa ragionavano e adesso hanno smesso, fosse mai che perdono qualche amichetto nei socialini.
Sono i tessitori quotidiani, instancabili, della disumanizzazione degli arabi. Ché sennò come gli fai la guerra, come li bombardi, come li massacri, come gli fai tutto quello che gli facciamo da sempre, quello che gli facciamo sempre di più, sempre peggio?
E adesso si sorprendono e si scandalizzano per la voce dei tamarri. Della gentarella senza mezzi culturali e intellettuali che parla con gli strumenti del proprio ceto, tra un rutto e una bestemmia, ma che ripete quello che gli è stato insegnato. Niente di più. Ma è sempre così, con gli alunni, non lo sapete? Pure i miei studenti, quando ripetono ciò che gli spiego, lo fanno in modo più rozzo e sgrammaticato di come gli ho insegnato. Per forza.
E’ pieno di gente perbene, oggi, che si guarda allo specchio e ci tiene a dire: “Questo non sono io. Io sono meglio!” Ci tengono molto, lo vedo.
Barbara
Ciao Lia cara,
e cosa posso commentare? Hai detto tutto quello che penso anche io. Ho una profonda tristezza nel cuore, perchè vedo che nel passare del tempo andiamo scivolando sempre più miseramente verso il basso e sempre più difficoltosa sarà la risalita.
Lucrezia
Io sono sicura che ci tornerai. L’Italia, per dire, fa molta più paura.