Io non ho amato Cuba, nei tre anni trascorsi a studiare lì. Tanto è vero che mi spostavo in Messico ogni volta che potevo, e alla fine a Cuba ci avrò trascorso un anno e mezzo in totale. Non l’ho amata perché amo poco le isole, in generale, e perché i cubani mi davano sui nervi, parecchio. E la pativo: l’embargo è uno stillicidio di cose che non funzionano, che non si trovano, che sono difficilissime da fare. L’embargo crea paesi logoranti dove la sopravvivenza è legata all’organizzazione che ti dai, e dove tu, straniero, sei sempre in torto: perché hai più soldi – credono loro – e vieni dalla parte di mondo che la vorrebbe vedere cadere, Cuba, e l’isola risponde togliendoti ogni tratto umano e trasformandoti in un portafogli che cammina, caricaturizzandoti nel cliché dello straniero a Cuba che, nove volte su dieci, non è una bella persona. Io, quindi, ogni volta che potevo prendevo il mio Cubana de Aviación e in 50 minuti ero in Messico, dove la gente era normale e non si aspettava di essere pagata anche solo per rispondere a un “buongiorno”. E dove, perdonatemi, mangiavo: un’insalata che non fosse di cavolo, una minestra che non fosse sempre e solo di riso con fagioli, un frutto che non fosse l’unico che si trova a Cuba di trimestre in trimestre. Un’introvabile patata. Un gelato che non fosse stato scongelato e ricongelato quaranta volte. A Cuba, a meno che tu non voglia spendere molti soldi – e anche lì, uhm – apprendi cos’è la deprivazione sensoriale, dopo mesi passati a provare un sapore solo. Io a Cuba una volta sono quasi svenuta in un supermercato, dopo due giorni trascorsi all’infruttuosa ricerca di un pomodoro. Il corpo ti chiede certe vitamine, certi sali minerali, e tu non riesci a darglieli. Atterravo in Messico e, i primi due giorni, mi strafogavo.
Eppure, Cuba funzionava. A modo suo. Davanti a ogni facoltà, all’università, c’era una targa che ringraziava la tale Comunità Autonoma spagnola che aveva finanziato il sistema elettrico. All’interno della facoltà sembrava di essere negli anni 50 dopo un bombardamento: banchi, cattedre, lavagne, tavoli sbilenchi, lampadine a intermittenza, computer e telefoni arcaici, sedie metalliche incongruenti, tutto in rovina, tutto cadente, e in mezzo a tutto questo professori trasandati, sciupati, malvestiti, che però ti facevano lezioni durante cui il tempo volava, che sapevano quello che facevano, che erano bravi. A volte proprio bravi. L’assoluta incongruenza tra lo squallore del luogo e la qualità delle parole. E la serietà, la severità, l’inflessibilità dietro la trasandatezza. La gente che ho visto bocciare all’esame di dottorato. L’incongruenza che tu, straniera, avvertivi tra come si presentava il tutto e la loro altissima considerazione di sé. Perché i cubani hanno un’immensa stima di sé. I cubani si sentono speciali, bravissimi, una specie di razza eletta. E questo non te lo aspetti, da un paese che cade a pezzi. E siccome te la fanno pesare, la loro presunzione, la loro certezza di essere degli immensi fighi, un po’ li strozzeresti e un po’ ti ritrovi ad ammettere che tutti i torti non ce li hanno. Li strozzeresti per i modi, ma poi devi ammettere che la loro forza è tutta lì. Nel sentirsi i migliori di tutti e quelli che non hanno paura di nessuno.
E’ difficile, per una come me, arrivere all’aeroporto praticamente in fuga, pregustando il mondo normale che riabbraccerai entro un’ora, sopportare con odio le ultime angherie cubane prima di entrare nell’aereo (un assorbente dieci dollari di cui otto te li metti in tasca tu, negoziante cubana che abusa del mio stato di straniera in difficoltà?) e poi, nel momento esatto in cui l’odio ti trabocca da dentro, vedere gli sportelloni di un aereo angolano che si aprono e i passeggeri che cominciano a scendere: in sedia a rotelle, in barella, uno più sciancato dell’altro. Africani che vanno a curarsi a Cuba. Gente che noi, in Europa, lasciamo morire con indifferenza se non soddisfazione, e che la poverissima Cuba invece accoglie e cura. E tu che fai? Guardi, ti rendi conto, e che te ne fai più del tuo odio? Ti accorgi che sei una straniera viziata o, peggio, che non sei proprio nessuno. Che la Storia, da quelle parti, non sei tu, non passa per l’Europa. Tu sei lo spettatore pagante, se ti va bene, oppure aria, vattene. Cuba mette a fuoco altro da te.
L’Europa, in effetti, è lontanissima. Ed è straniante sentire gli europei che parlano di Cuba e dicono sempre, puntualmente, tutto il contrario di quello che vedi tu. Dai massimi sistemi a quelli minimi. Cominciamo dai primi: “E’ una dittatura, la gente vuole fuggire, gli omosessuali perseguitati, i dissidenti“. In realtà, l’immagine di dittatura cubana che si ha all’estero è quella dei primi anni 70, del cosiddetto “quinquenio gris” che la stessa ortodossia politica della Cuba di oggi definisce come “intento de implantar como doctrina oficial el Realismo socialista en su versión más hostil.” La definizione è di EcuRed (la Wikipedia cubana, per intenderci) ma io stessa ho sentito criticare, addirittura ridicolizzare quell’epoca nelle aule universitarie dell’Università dell’Avana. Sono passati 35 anni da allora, gente. Cuba non è quella cosa lì. I cubani fanno il diavolo che gli pare. E pure gli stranieri.
Diceva la mia padrona di casa: “Tre cose non si possona fare, a Cuba: le droghe, lo sfruttamento dei bambini e, se sei straniero, una smaccata propaganda antistatale. Per il resto, se vuoi camminare per strada nudo e a testa in giù nessuno ti dice niente.” I dissidenti? Avranno una dignità quelli legati alla Chiesa, suppongo, ma credo che tutti sappiano che le varie Damas en Blanco, per non parlare poi della Sanchez, prendono soldi per ogni manifestazione che fanno (famoso un loro sciopero perché non erano pagate abbastanza). Io non ho conosciuto nessuno, letteralmente nessuno, che ne parlasse con un minimo di rispetto. E’ gente pagata, punto, chiusa la questione. Poi, certo, la gente parla di poltica, immagina il futuro, esprime idee. C’è chi ama (amava, gessù…) Fidel e chi lo detesta/detestava. E chi, la maggior parte, ha sentimenti ambigui, tra l’ammirazione e il rancore. Chi cambia idea ogni secondo. Perché, di fondo, i cubani sono orgogliosi delle loro conquiste. Sono orgogliosi di quello che hanno combinato. E fanno catenaccio, sono uniti, sono isolani. Ecco, sono isolani. Non capisci Cuba se non ti metti in testa questo: che sono isolani, e per loro il mondo è Cuba e tutto il resto c’è se serve, sennò può pure affondare. Vogliono scappare? In realtà vogliono viaggiare. Perché sono isolani, appunto. C’è tanto mondo che non hanno mai visto. E poi, certo, vogliono soldi. Vogliono comprare cose. Vogliono guadagnare, come è umano che sia. Ma poi vogliono tornare. I cubani muoiono di nostalgia, lontano da casa, dalla famiglia, dalla loro gente, dal loro riso e fagioli. Sono uniti da fare schifo, i cubani. E se si sentono minacciati, di più. Ne sanno qualcosa gli USA, che inasprirono l’embargo nel momento esatto in cui cessarono gli aiuti dall’URSS e a Cuba fecero, letteralmente, la fame. Speravano in una rivolta, gli USA. Si ritrovarono con un popolo che si rimboccò le maniche per l’ennesima volta e ne uscì in piedi, come sempre. Inventandosi cose come il pastrocchio di soia, ripugnante intruglio distribuito alla popolazione come “proteinas para el pueblo“. Perché poi sono pratici: il corpo ha bisogno di proteine, vitamine, carboidrati? In qualche modo li ingurgitavano. E nei parchi ci sono gli attrezzi per fare ginnastica, tipo palestra. E se non ci sono medicine, ricorrono alle piante, alla medicina naturale. Ne escono sempre. E si concedono pure il lusso di esportare i loro medici in Venezuela, come altri esporterebbero, chessò, rame, in cambio di petrolio venezuelano. Questo, hanno fatto i cubani: hanno esportato medici in cambio di petrolio. Perché questo è quello che hanno: la loro formidabile, benché odiosissima, gente. Suona retorico, lo so. Odio scriverlo, odio dirlo. Però è vero. Incredibilmente, è vero. Come, poi, questi medici, questi professionisti cubani riescano ad essere bravi nonostante ristrettezze di ogni genere (falla tu, ricerca, in un paese con internet a pedali) io non lo so e non l’ho capito. Ma ce la fanno.
Gli omosessuali, poi: a Cuba si celebra il Pride, per dire. Sono finiti gli anni 70, “Fresa y chocolate” fu girato con sovvenzioni statali, non scherziamo. Ma, soprattutto, ricordo una pubblicità progresso dello Stato, dei cartelloni esposti nelle farmacie che mi colpirono molto. Era una cosa sulla prevenzione dell’AIDS e c’era la foto di due gay che si baciavano. Ma a differenza dell’Europa, dove i due gay sarebbero stati giovani e bellissimi, nella foto cubana c’erano due signori di mezz’età, bruttini, normali. Due comuni cittadini, come li avresti potuti incontrare sul pianerottolo. Né giovani, né belli, né magri, niente. Due signori che si baciavano e un pacato invito all’amore che non escludeva la prevenzione. Sobrio. Rispettoso. Bello. Mi sembrò un esempio da seguire. Del resto, Cuba è molto poco patinata. Non ha neanche la pubblicità, se è per questo. Solo pubblicità progresso e grosse scritte motivazionali un po’ ovunque. E’ il buono dell’avere molto poco da comprare, nessuno cerca di convincerti a farlo.
Altrettanto stranianti mi paiono poi i discorsi degli stranieri che celebrano i cubani come un popolo di felici danzerini sempre di buon umore e simpatici, uh, che simpatici. Di buon umore? Io, gente stronza come all’Avana ne ho vista poca, in vita mia. Quando diventa chiaro che non li vuoi scopare, che non gli vuoi offrire da bere, che non ti caveranno una lira, tu diventi trasparente ma attorno a te si dispiega la realtà: gente affaticata, incazzosissima, arrogante o, semplicemente, con i cazzi suoi a cui pensare, come è giusto e normale che sia. No, non sono ciarlieri: puoi farti un’ora su un taxi collettivo strapieno senza che nessuno parli con nessuno. Puoi andare mille volte allo stesso bar senza scambiare una parola col barista. Ricevere una gentilezza gratis è rarissimo, ricevere un sorriso non interessato di più. Se sei in difficoltà attiri gli squali. E più è giovane, la gente, e più è stronza. Ecco, questa è una cosa importante: il divario tra i vecchi e i giovani, a Cuba. Con la crisi degli anni Novanta, il sistema scolastico cubano si ritrovò a piedi, come molte altre cose. Con il grosso dei maestri esportati in giro, ci si ritrovò con i ragazzi più grandi a fare lezione ai più piccoli, per dire, e a un generale decadimento dell’istituzione. Per questo e altri motivi, si percepisce uno stacco culturale importante tra i cubani da una certa generazione in giù. I giovani non valgono quanto i loro padri. E questo sarà un problema, in prospettiva. Poi, è vero, la gente fuori dall’Avana (o da Varadero, gessù) è meglio. Molto meglio. Ma i cubani sono, dicevo, isolani. Cocciuti, orgogliosi, quello che vuoi tu, ma non amichevoli. Ma manco per il cazzo, proprio. Se sono amichevoli, anzi, è meglio che ti preoccupi. Avranno i loro motivi, e sono motivi che non ti convengono. Esagero? Sì, un po’. Sintetizzare crea stereotipi, è ovvio. Però, ecco, stereotipo per stereotipo, quello dello stronzo mi pare più azzeccato di quello del felice danzerino. Fermo restando che ballano benissimo, è ovvio.
Ma siamo sempre lì: se da una parte io li detestavo – a un certo punto li detestavo proprio tutti, senza eccezioni – dall’altra, poi, mi accorsi in fretta che, nel resto dell’America Latina, potevo usare il mio status di residente a Cuba come un’onoreficenza, una cosa che mi distingueva in positivo dalla massa europea. Soprattutto in Nicaragua. In Nicaragua, quando la gente scopre che vivi a Cuba si emoziona. Manca solo che ti abbracci. Perché, in un modo o nell’altro, tutti debbono qualcosa ai cubani. “Io mi sono laureato a Cuba, gratis!” “Mio padre è stato salvato da un medico cubano!” Una folla. Il Nicaragua trabocca di gente che in gioventù è stata presa e spesata da Cuba per studiare, che ha avuto vitto e alloggio gratis per anni, che ha con l’isola un debito a vita. E se tu vivi a Cuba, pare che ce l’abbiano anche con te, il debito. Ti trattano bene. Ti rispettano. I cubani sono rispettati, in America Latina. Se lo sono guadagnato. E alla fine, è questo: li rispetti. Io li rispetto. Non li amo, ma li rispetto. E quando hai girato per tutto il Centro America, e non ne puoi più di vedere bambini coperti di stracci, bambini che in Chiapas vanno a lavorare trascinandosi zappe più grandi di loro, bambini che circondano il Ticabus a ogni sosta della Panamericana armati di stracci e si mettono a lavarlo in cambio di un’elemosina, finisce che non vedi l’ora di tornarci, a Cuba, e di vedere finalmente bambini normali (la normalità è un concetto molto mobile), con l’uniforme lavata e stirata, belli pettinati con la riga a lato o le treccine e che vanno, tutti, A SCUOLA. Oppure a giocare. E che non lavorano. Mai. Riatterri a Cuba che trabocchi di rispetto. Lo dici al taxista che ti riporta all’Avana e lui è contento, rincara la dose: “E’ vero, noi ci lamentiamo e ci dimentichiamo del buono, ma è proprio vero. Anche i nostri portatori di handicap, non c’è confronto. E che dire della delinquenza, del narcotraffico? Siamo fortunati, noi.” Sì, sono fortunati, loro. Perché è una questione di prospettiva: se nasci povero, malato, sfortunato, è meglio se nasci a Cuba. Molto meglio, proprio. Fuori da lì, muori e muori male. Un povero non vuole essere guatemalteco, haitiano, dominicano. Vuole essere cubano, credimi.
Cosa si può dire di Fidel nel giorno della sua morte? Questo, probabilmente: che ha dato un senso allo sfuggente concetto di “cubanità”. Concetto che i cubani inseguivano da un secolo, prima che arrivasse lui. Che ha preso un popolo che lottava per la sua indipendenza da cent’anni – prima contro gli spagnoli e subito dopo, come una grottesca beffa, contro gli USA che ne presero il posto – e lo ha reso, per la prima volta nella sua storia, indipendente. Parliamo un po’ di questo, di cosa è la “cubanità”. I cubani sono figli di due popoli entrambi sradicati, spagnoli e africani, piombati su un’isola dove gli indigeni erano scomparsi praticamente subito e senza quasi lasciare traccia. Sono il risultato dell’incontro/scontro e poi mescolanza di europei venuti a fare soldi e di africani trascinati come schiavi. Sarebbero un’accozzaglia di storie e culture diverse, di radici sradicate, di bianchi e neri, schiavisti e schiavi, violentatori e violentati, se tutte queste storie e queste culture non si fossero mischiate, se tutti non fossero andati a letto con tutti, se l’immenso meticciato che ne è derivato non si fosse unito, a un certo punto, nel nome della lotta per l’indipendenza. Cuba è giovane. Diceva uno dei suoi grandi intellettuali, Fernando Ortiz: “Tutto quello che in Europa è successo nell’arco di millenni, a Cuba è successo in soli quattro secoli“. Cuba non ha storia che non sia di appena ieri, non ha spiritualità come la intendono i popoli antichi, non ha religione che non sia un minestrone di riti mischiati, non ha un colore, una faccia, un’identità che non sia quella dell’essere cubani, appunto. Qualsiasi cosa ciò voglia dire. E diceva sempre Ortiz: “La cubanità non la dà la nascita, in un paese come il nostro, né la residenza, il colore, non te la dà nessun dato oggettivo. La cubanità te la dà la volontà di essere cubano“. E’ cubano chi ha voluto costruire Cuba. E Cuba, quindi, ha cominciato a nascere nel 1868, quando bianchi e neri insieme hanno cominciato a lottare contro la Spagna. Insieme, questo è importante. Lì è stato lo spartiacque. E l’hanno combattuta per 30 anni, fino al 1898. Quando sono arrivati gli USA, che fino ad allora se ne erano rimasti a guardare tifando per lo più Spagna, e hanno sfilato la vittoria ai cubani. Hanno dichiarato guerra a una Spagna ormai sfiancata, l’hanno sconfitta e si sono presi Cuba. I cubani, quindi, invece di una vittoria si sono trovati davanti a un passaggio di consegne. Invece della loro costituzione si sono ritrovati l’Enmienda Platt, e un padrone nuovo a cui obbedire.
Però i cubani sono cocciuti, come dicevo. Per i cinquanta anni successivi si sono rotti la testa studiando, protestando, guerreggiando – la rivoluzione fallita del ’30 – e ancora e ancora, tra due dittature e mille governi-fantoccio, mentre la loro economia dipendeva dagli USA, mentre persino il razzismo si accodava a quello degli USA impiantando l’apartheid che gli spagnoli mai avevano conosciuto, mentre sull’isola dilagavano il gangsterismo e la corruzione e le carceri erano piene – allora, mica oggi! – di oppositori politici. E poi è arrivato Fidel, la cui storia è talmente folle che sembrerebbe finta, se non fosse invece reale e documentabile. Si cita spesso “La Storia mi assolverà”, credo il più delle volte senza averlo letto. E’ l’autoarringa con cui lui, ben prima della Rivoluzione, spiegò ai giudici che lo avrebbero condannato il perché dell’assalto alla caserma Moncada, fatto da lui, il fratello piccolo Raul e un manipolo di studenti, studentesse, ragazzi vari, e finito malissimo. E’ la fotografia della Cuba sotto Batista e gli USA. E’ una dichiarazione di intenti – o, all’epoca, di sogni – ed è, soprattutto, l’autoritratto di un gigante. E’ molto difficile leggerlo, sapere che quell’uomo stava entrando in carcere e non sentire un rispetto immenso. Poi vennero l’uscita dal carcere, l’esilio in Messico, l’acquisto di una barchetta (il Granma) con cui partire, stipandola all’inverosimile, all’assalto di Cuba, lo sbarco (su cui il Che disse: “Fu più che altro un naufragio”), la polizia di Batista che stermina i naufraghi, Fidel che alla fine si ritrova con – boh, vado a memoria – meno di venti superstiti e dice: “Ce l’abbiamo fatta, vinciamo sicuro.” E vince. Sul serio. E, per la prima volta nella sua storia, Cuba diventa uno Stato sovrano. Questo, è stato il punto.
E poi vince ancora, e ancora, e ancora. Contro gli USA. Prendendoli sempre, incessantemente, per il culo. Gli USA proiettano propaganda anticastrista sul loro palazzone all’Avana? Castro fa circondare il palazzone da bandiere più alte, una per ogni stato che all’ONU si è dichiarato contrario all’embargo, e così lo impacchetta rendendolo praticamente invisibile. Gli USA mandano navi al largo di Mariel per prendere dissidenti in fuga e mostrarli al mondo? Fidel fa svuotare tutte le carceri e i manicomi di Cuba e ne spedisce gli ospiti tutti da loro, riempiendo gli USA di matti e delinquenti comuni cubani. La lista è infinita, la vicenda umana di Fidel anche. Il rapporto tra USA e Cuba, alla fine, è strano. Ma strano forte.
Gli USA e Cuba si amano e si odiano, sembrano parenti in lite. I primi hanno sempre voluto mettere le mani sui secondi, prima cercando di comprare Cuba alla Spagna, poi prendendosela con le cattive. I secondi hanno sempre sofferto l’ingombrante ombra e le mire squalesche dei vicini, e hanno fatto tutto quello che un popolo può umanamente fare per farsi trattare alla pari. Cuba non ha voluta fare la fine di Puerto Rico, tutto qui. Non ha voluto essere una colonia. Ma, alla fine, la sua storia recente è stata comunque pesantemente condizionata dagli USA. Avrebbero chiesto aiuto all’URSS, virando fortemente sulle posizioni sovietiche, se non avessero dovuto difendersi dagli USA? Avrebbero avuto bisogno di un partito unico per 50 anni se non avessero avuto bisogno di essere tanto compatti dinanzi a un nemico tanto potente? E come sarebbe, oggi, Cuba, se non uscisse da 60 anni di embargo? Se è riuscita a dare cibo, salute e istruzione a tutti i suoi cittadini NONOSTANTE l’embargo, cosa avrebbe fatto senza il limite, l’impoverimento a cui è stata condannata? Voi lo sapete? Io no, francamente. Quello che so, è che l’embargo li ha compattati ancora di più. E, conoscendoli, non era difficile da capire.
Però ho visto un sacco di cittadini USA, a Cuba, e ben prima che Obama aprisse il paese. Col cappello in mano e colmi di ammirazione, li ho visti. Che arrivano per dei corsi di studio all’università, o da soli, passando per il Messico per non farsi scoprire dalle proprie autorità. Perché gli statunitensi non potevano andare a Cuba per ordine degli USA stessi, ma lo Stato cubano li ha sempre fatti entrare, facendo col visto lo stesso giochino che Israele fa con chi non vuole il timbro d’entrata sul passaporto: te lo dà su un pezzo di carta. E ho visto un sacco di cubani che desideravano andarci, negli USA, e fare soldi, vedere l’abbondanza, visitare i parenti. Sono talmente vicini, in linea d’aria, che sembra incredibile.
Io, alla fine – e concludo questa lunga riflessione che oggi mi era proprio necessaria – di Cuba ho capito questo: che la devi rispettare, sennò prendi calci in culo. Tiri fuori il peggio dai cubani, se li prendi contropelo. E che questo orgoglio infinito, cocciuto, cazzuto, fa parte del sentire dell’isola ma Fidel lo ha saputo compattare, dargli sfogo e direzione. Lui ha preso un popolo costretto a passare da una bandiera all’altra e ne ha fatto una cosa diversa: il popolo che ha vinto, quello che si è guadagnato l’indipendenza e l’ha difesa, quello che ha ottenuto le uniche, grandi conquiste sociali dell’America Latina, quello che più si è schierato contro il razzismo, quello che ha fatto sognare mezzo pianeta, quello che non si capisce come abbia fatto ma, in qualche modo, ce l’ha fatta. Ha preso una colonia e ne ha fatto uno Stato. Molto, molto orgoglioso di sé. Ha commesso errori? Certo. Avrebbe potuto fare di meglio? Sì. I cubani hanno sofferto? Sì, ma l’alternativa era essere Puerto Rico o peggio. E avevano combattuto troppo, e troppo a lungo, per potere accettare di essere Puerto Rico. So’ gente orgogliosa, che gli vuoi dire.
Per quanto possa sembrare paradossale, io non pensavo che Fidel potesse morire. Pensavo che avrebbe seppellito pure me. Mi fa proprio uno strano effetto, questa morte, ed essendo io una donna del Novecento penso che, stavolta, di giganti non ne rimane proprio nessuno. Ora: i cubani di oggi, i giovani cubani di oggi, saranno all’altezza della storia incredibile che gli lascia Fidel? Io credo che lui abbia cercato anche, riuscendoci spesso, di tirare fuori il meglio dal proprio popolo. Di dargli disciplina, serietà, educazione, cultura. Di fare di un popolo caraibico il popolo serio per eccellenza di tutta l’area. Operazione non facilissima, va detto.
Lascia un popolo povero ma viziato, nonostante la cura da cavallo degli anni Novanta. Che non paga bollette, che ha la sopravvivenza assicurata, che si crede ‘sto cazzo. E che è umanamente e culturalmente in declino da un po’. Dove le differenze razziali, dagli anni novanta in poi, si sono accentuate. Da quando le rimesse dall’estero sono diventate vitali, e si dà il caso che il grosso dei cubani emigrati fosse bianco e abbia, quindi, mandato denaro alle famiglie bianche, mettendo loro e solo loro in condizione di partire con la piccola impresa. Un popolo che ha più aspettative che voglia di lavorare, e a cui il turismo – soprattutto quello italiano, e va detto a nostro disonore – ha fatto un gran male.
Non so cosa ne sarà di Cuba, se i suoi “difetti” la aiuteranno anche stavolta o se, senza il carisma del suo Padre della Patria, diventerà il paesello qualsiasi che tanti sperano che diventi. Temo la generazione cresciuta negli anni Novanta. Se Cuba va al macero, sarà per loro. Ma se questo dovesse accadere, sarebbe una gran perdita per il mondo intero. Sono degli stronzi, pensano solo agli affari loro, ti venderebbero al macello se solo potessero – e lo fanno appena possono – e tuttavia, pur di essere fighi, hanno dato tanto. Per un’italiana che non li regge ci sono cento cittadini del Terzo Mondo che devono loro qualcosa. Da sessanta anni, rendono il pianeta più vario e più vero.
Io credo che si sentano abbastanza male, oggi, i cubani. E che ne abbiano tutti i motivi.
Tocca invece invidiare un po’ il Padreterno, se c’è, ché finalmente se lo vede là, ‘sto famoso Fidel, e finalmente può farci due chiacchiere. Non ha aspettato poco, decisamente. E mi piace immaginare che, tra i due, il più curioso sia il Padreterno.
Bellissimo testo tutto da leggere. Grazie!
Ancora di più amo Fidel perché gli autori di questi testi gli avrebbe dato solo quello che meritano GALERA A VITA!!!!
Bellissimo testo, grazie!
Benchè lo stile espositivo non mi piaccia moltissimo, l’articolo rivela una testa pensante dietro che – sola – vale dieci Soloni del giornalismo mainstream ( altrimenti detto, corrotto) italiano. Onestà intellettuale, concetti intelligenti e fuori dagli schemi, comprensione profonda del Paese. Bravissima.
Forse uno dei furti più grossi che ci ha fatto (come umanità) il turbocapitalismo è l’uso della complessità. O bianco o nero, e possibilmente così netto da essere già ripulito di quel “fastidioso” potere di generare empatia. “Se l’è cercata/ cazzi tuoi/ sono tutti uguali/ hai una visione da sognatore/ bisogna pagare l’affitto poi/ ecc.”.
L’empatia è un fenomeno umano e la complessità è indissolubile dall’umano. Per questo adoro questo scritto e per questo che sono stanco di “dissidenti-dittatore-brutto-cacca”.
Grazie!
Esattamente come dici, grazie
Che dire? Emozionante e struggente.
A Cuba sono stato in viaggio di nozze e un mio conoscente, apprendendolo, commentò: in viaggio di nozze? è come andare al ristorante e posrtarsi la bistecca. Ecco , questo è il sentire di alcuni italiani, l’idea dell’isola, un supermercato di belle donne, in questo caso.
Il tuo timore, cosa ne sarà dell’isola adesso, penso sia il pensiero di molti che sono andati li per vedere e conoscere una realtà diversa e non solo per “sollazzarsi”
Sono stato molte volte a Cuba, per lavoro e per piacere. Mi ritrovo in tutto ciò che hai raccontato. Un mio caro amico cubano mi diceva sempre: “Sai, quando ti viene da criticare, ricordati che qui non abbiamo chiuso mai né una scuola né un ospedale. Voi italiani potete dire altrettanto”. E non era uno che ci andava tenero con il regime.
Bello. Grazie
bella sviolinata. non c’è che dire. hai toccato molti tasti senza veramente esprimere un giudizio significativo o partigiano. apprezzo il modo. ne so poco di Cuba per poter dire qualcosa di sensato. idee collettive di quel che è stato. il gigante sfidato dal nanetto armato di fionda e pietre e cultura …. ,a quanto pare, che vince, forse, irritandolo molto … ma che vince. il mito della sanità dispensata che pare sia efficace e funzioni bene. il prezzo dei farmaci onesto. il senso quasi fastidioso e poco umano del carattere degli isolani che hai dipinto che è tipico proprio come dici di chi è isolano. forse è generato dall’isolamento e da una mancanza di contatto che si trasforma in mancanza di apertura verso gli altri ed il nuovo in genere. l’ho visto questo in molte isole nella mia Sicilia e nella stessa mia Sicilia in quei paesi che tendono al chiuso ed a culture locali simili. questo non mi è mai piaciuto perché l’ho inteso nocivo alla specie umana. margini culturali intesi come sacri e di fatto piccoli e poveri. non molto distante dal germe mafioso.
mi è piaciuto il tuo articolo.
occorre ricordarsi che Cuba non solo è un’isola, ma un’isola sotto embargo, è questo che l’ha resa ancora più isolata e penalizzata, tanto, secondo me, da giustificare scelte che agli occhi di chi non si rende conto di che cosa possa significare un imbargo infinito, possono sembrare scellerate
occorre ricordarsi che Cuba non solo è un’isola, ma un’isola sotto embargo, è questo che l’ha resa ancora più isolata e penalizzata, tanto, secondo me, da giustificare scelte che agli occhi di chi non si rende conto di che cosa possa significare un embargo infinito, possono sembrare scellerate. Quello che non riesco ancora a capire è perché, una volta finito il periodo di protezione anche economica da parte dell’URSS e le monocolture di canna da zucchero richieste, perché dicevo, non si è avviata un’agricoltura di sussistenza, che desse a tutto il popolo la possibilità di mangiare anche coltivando piccoli appezzamenti.
La cosa più bella che ho letto su Cuba e Fidel finora. Grazie.
Non sono italiana, scrivo dall’Argentina. Ho una sola domanda: perché sei andata a studiare a Cuba -e ci sei pure rimasta- se era così grotesca e difficile da sopportare?
Bellissima analisi, assolutamente da leggere fino in fondo!!!
Bellissima analisi, assolutamente da leggere fino in fondo
Credo fermamente che per il contenuto di altissimo valore socio-storico che per la profonda conoscenza di Cuba e del suo Popolo questo articolo dovrebbe trovare da oggi in poi spazio sui libri di storia, per onorare quella Storia contemporanea che si dovrebbe insegnare nelle scuole superiori e che troppo spesso non si insegna.
Grazie per quello che hai scitto.
Lungo, ma valeva la pena di leggerlo fino alla fine. Ho imparato qualcosa e la prospettiva è cambiata. Grazie!
Volevo avvisare che tra la chiusura e la riapertura del blog sono scomparsi un sacco di commenti. Me ne scuso con gli autori, mi dispiace molto. il provider non è si è comportato granché bene.
E ringrazio tutti, ovviamente, per le cose che mi hanno scritto. Molto.
perché non era più in linea il tuo blog .. ? sono curioso di conoscerne la ragione.
bello. complimenti
lungo? sì, ma leggendo speravo durasse di più.
sono stato a Cuba una volta: ho avuto idee vaghe a cui tu hai dato forma e confermato.
Brava!
Non so chi tu sia ma sei meglio dei nostri giornalai in tutti i sensi; con il tuo scritto hai fotografato neorealisticamente uno Stato di cui non si definivano i contorni, almeno per me, e con poche pennellate di scrittura hai fatto un quadro di Cuba che dovrebbe essere portato ad esempio dalle scuole di giornalismo nostrano.
Bellissimo pezzo. Di gran lunga la cosa migliore che abbia letto in questi giorni. Mi ha commosso.
… bello e interessante. Sulle nuove generazioni non siamo messi molto meglio neanche in Italia. Anche a me piacerebbe sapere perchè sei andata a studiare a Cuba. Luciana
Grazie mille di questa lunga, sincera e profonda riflessione. Mi sono permesso di rilanciarlo dal mio blog.
Sono stato in giro in auto per tutta Cuba 2 mesi dando passaggi a tutto spiano ad ignoti cubani che erano liberi di dire quello che volevano senza paura. Quello che ho riscontrato nel 99% dei casi è consistito in: a) massima conoscenza della propria storia e dei numerosi eroi che hanno combattuto per l’indipendenza; b) profondo orgoglio e massima consapevolezza di essere l’unico Paese al mondo capace di avere combattuto contro i più potenti eserciti dittatoriali ed imperialisti ed esserne uscito vincente con le sole proprie forze; onesta consapevolezza di essere poveri … ma non miseri! c) sicurezza che nessun bambino handicappato sarà abbandonato a se stesso, anzi! Ho visto alcuni degli ex hotel lussuosi dell’era Batista utilizzati come ospedali per bambini con handicap; d) ho visto tutte le religioni (cattolica parzialmente esclusa), dalle cristiane evangeliche alle animiste ed alle orientali aiutate dallo Stato; e) ho ascoltato bambini di 12 anni cantarmi l’inno nazionale cubano con la mano sul cuore, scrivermi i suoi versi e recitarmi la famosa poesia ” si desecha en menudos pedazos, llegarà mi bandera algun dia …ecc.” con le lacrime agli occhi per l’orgoglio e la commozione (lui), con tristezza ed invidia (io) pensando alla nostra gioventù priva di ideali e riferimenti storici!
Che dire hai detto tutto tu con questo articolo. Penso che ogni uomo va alla ricerca di migliorare la propria condizione sociale. Cuba, con i fratelli Fidel e Raul e con l’apporto del Che volevano questo. L’embargo però, l’arma del paese definito il più democratico del pianeta, ha fatto vivere per anni di stenti e sacrifici un grande popolo. W cuba
Non sono mai stato a Cuba, pur desiderandolo molto, e mi sono commosso a leggere questo bellissimo articolo.
Complimenti.
Grazie per questo articolo. Cerco di capire, sto leggendo da parecchi mesi a quesa parte un po’ per volta “La Storia Mi Assolverà” Ho Voglia di chiarezza perchè l’istinto ed il cuore mi portano ad amare un paese di cui so relativamente poco, e tutta la cultura dominante invece tenta di convincermi che è un paese dittatoriale da disapprovare. Il tuo scritto mi pare porti con onestà molta chiarezza ed aggiunge all’ amore e al disprezzo quella che è la risposta che mi pare più matura: il rispetto.
Ho condiviso sulle mie pagine il tuo articolo, continuerò a seguire ciò che scrivi.
QUANTO SEI BRAVA! E che bell’articolo! Giusto, profondo. Ti scrive uno che per lavoro va a Cuba da dieci anni tre settimane l’anno. Con un visto speciale rilasciato dal Partito. Che con la macchina in affitto (cinese, con targa, prima rossa, ora che inizia con la T) gira per tutta l’isola – ma proprio tutta – raccogliendo Cubani in autostop, mangiando con Cubani, dormendo in casa di Cubani. Talvolta in case dove non c’è l’acqua corrente, lavandosi col secchio, e in campagna, dove il cesso (comune) sta in mezzo al campo. E dopo essersi guadagnato la loro amicizia e stima, ascoltando i Cubani. E’ impossibile non amare i Cubani e il loro stupendo Pese. Malgrado tutto quello che hai scritto, perfettamente vero. Bellissimo anche il commento di Abramo Spinella. ¡Un fuerte y agradecido abrazo!
Grazie.
Che posso dire hai esposto in questa sintesi la Storia e e il carattere di Cuba. Tu lo sai meglio di me che le cose cambieranno. In peggio.
nací en venezuela y conozco el sol del caribe, sé que sus rayos pegan duro y encandilan los ojos, y hay que buscar la sombra bajo los árboles, para observar mejor y ver bien todo el paisaje. y usted supo hacerlo. gracias señora lia, de corazón. complimenti per il suo articolo, sincero e onesto.
Grandissimo articolo! Nella mia seppur minore esperienza cubana (3 mesi di permanenza divisi in due viaggi) confermo ogni tua descrizione, in particolare sui cubani e la loro “simpatia” :-)
Ora vivo da 7 anni in Colombia, e prima ho girato quasi tutti i paesi latino-americani, e confermo che in nessun posto mi son sentito, come anche tu scrivevi, “un portafoglio con le gambe” come quando ero a Cuba.
Grande popolo, ma le amicizie “vere” lì sono difficilissime per uno straniero.
Grazie dell’ottimo articolo, buona vita! :)
Se un giorno avessi il tempo di rispondere a questo messaggio (uno dei migliaia che starai ricevendo dopo questo bellissimo articolo), vorrei chiedere il tuo parere su uno dei più grandi dubbi che, dopo aver letto tantissimo su Cuba, ed avermi anche “sorbito” in quell’isola chilometri di discorsi e propaganda, ancor oggi mi rimane. E cioè:
La disastrosa situazione dell’economia cubana, alla fine, è veramente solo colpa dell’embargo?
Più di una volta ho avuto il dubbio che l’embargo venga utilizzato dal governo cubano come una scusa per gustificare i propri insuccessi in campo economico.
Fino ad oggi non ho mai letto nulla di sufficientemente documentato su questo argomento.
Comunque grazie di nuovo per lo stupendo articolo :-)
Grazie, davvero.
Al di là di ogni stereotipo, al di là di ogni sorta di romanticismo, oltre qualsiasi tifoseria! Grazie Lia De Feo.
Bellissimo, profondo, onesto, corretto. Grazie
Mi scusi, ammetto l’ignoranza, ma fa più volte riferimento a Porto Rico, come se fosse un postaccio. Mi risultava che il Porto Rico fosse invece uno degli stati più evoluti economicamente evoluti dei caraibi.
Come mai questa sua presa di posizione?
Non è un postaccio: è una colonia. http://www.hispantv.com/noticias/puerto-rico/268252/corte-supremo-eeuu-soberania-juridica-puerto-rico
Ti ringrazio per la lucidità con cui hai messo a fuoco concetti intorno ai quali ho girato per anni (poco compresa sia qui che là…)In particolare ho apprezzato il passaggio in cui descrivi bene la sensazione che si prova dopo essere stati a Cuba e poi fuori ed il desiderio di ritrovare bambine e bambini… con le scarpe, rispettati, lavati (ma se non c’è sapone – era il periodo ‘especial’ – come cazzo fanno ad essere puliti e con i vestiti in ordine, i capelli sempre ben raccolti in trecce e treccine) magistrali i passaggi in cui descrivi la stronzaggine degli habaneros qnd capiscono che nn otterranno niente da te (o qnd devono mettere in chiaro che tu non otterrai niente da loro: “A mì no me sirve casarte” mi disse 1 del “campamiento internacional” – figurat’ a me! Cos’ e pazz’….). Grazie. Davvero. Complimenti per il sorriso finale, è così, “El” è – era – un essere fuori dell’orinario. Mi rimarrebbe 1 ultima curiosità: cosa studiavi? Medicina, ho pensato. Pediatria, forse?
sono appena stato a Cuba e mi ritrovo decisamente in quello che hai scritto! Soprattutto avendo visitato anche per lavoro Colombia e Chiapas è impossibile non riflettere su quanto ci sia di realmente rivoluzionario a Cuba.
Grazie per la bellissima analisi che condivido appieno. Io sono stata a Cuba con una delegazione del circolo “Italia-Cuba” della mia città . Come aiuto alla popolazione avevamo portato due valigie di medicinali e due di abbigliamento vario. Ma qual’è stata la sorpresa quando, appena arrivati, sento una telefonata in cui si invitavano alcune personalità politiche a passare da noi per “servirsi” di ciò che avevamo portato? Istantaneamente l’idea che mi ero fatta della politica cubana è naufragata nel mar dei sargassi. Insomma la cupidigia nei politici e non è sempre una leva propulsoria, cambia solo l’oggetto dei desiderata. Finita la predazione, decisi di non uscire con i miei compagni ma di elaborare un piano per far avere a chi di dovere il resto. Così, di notte, mi presentai al medico di base del quartiere per consegnarli i medicinali restanti e poi, per la strada regalai ai passanti i capi di abbigliamento.
Non scriverò la reazione dei compagni quando se ne accorsero. Ecco, sotto certi aspetti non c’è nessuna differenza tra la cupidigia a livello politico tra Cuba e la maggior parte delle nazioni. Con questo non voglio negare tutto il bene che ha fatto Castro con la sua politica, un puro senza dubbio,ma sono tante anche le cose nefaste che si vedevano a Cuba (vecchi e bambini). Grazie ancora per le belle pagine che hai scritto. E’ stato un piacere leggerle.
Cristina Faccanoni
grazie! se lo merita Fidel questo tuo scritto
se lo merita il Che e tutti i cubani che hanno combattuto e combattono contro l’ipocrisia e la sopraffazione, contro l’ignoranza e l’avidità
grazie!
Grazie, bellissimo articolo, fa capire tante cose.
Cara Lia,
ho letto quanto hai scritto grazie ad una cara amica che me lo segnalato. Ti ringrazio moltissimo!
Barbara
Ho chiacchierato con un ragazzetto cubano questa estate ad una conferenza, un fisico di 24 anni che faceva il dottorato su Hawc in Messico. Sì orgoglioso dei medici cubani, per Cuba, per il suo futuro nessun interesse. Lui sognava di andare negli Stati Uniti o restare in Messico, . Beh giustamente per un laureato in fisica che vuole lavorare in grandi e costosi esperimenti scientifici, a Cuba non ci sarà nulla di certo, al massimo disprezzo per la sua miseria, e chissà quanti soldi li sembravano quelli della sua borsa di studio in Messico, e dei suoi colleghi negli Stati Uniti. Per lui Cuba, un posto miserevole privo di interesse. Ed il suo commento sulla figlia di Raul, che io avevo visto a Bari mentre presentava un suo documentario sui trans (davvero bello) fu:”ah, era Mariela Castro, beh quella è lesbica.”, detto con dispezzo. Certo una persona è solo una goccia nel mare, e di certo chi va via, già di per se è un campione a parte. Però ecco per perdere tutto, l’orgoglio e la conoscenza può bastare mezza generazione…
Lia volevo farti i complimenti e inviarti i miei auguri ma l’indirizzo mail del sito non è scritto giusto… mi dai un indirizzo valido?
Bellissima. Una storia, un resoconto avvincente, ti fa venire voglia di viaggiare a Cuba.
Bellissimo articolo. Belle e grandi verità, storiche. Io sono stata a Cuba solo una volta, da turista per giunta (ho letto e studiato e amato la sua Storia), ma molte delle tue considerazioni sono le mie, sull’orgoglio, la tenacia e la creatività di quel popolo, la loro capacità e le loro infinite abilità messe in essere per sopravvivere alle condizioni economiche conseguenti all’embargo. La grandezza di Fidel e la sua influenza sulla Storia del popolo cubano è immane. Grazie per la tua testimonianza, sono contenta di averla letta.
Sulla morte di Fidel Castro
[…] mi si scioglie il cuore, ma in effetti simpatia ne provo. Così alla fine ho trovato e linkato un articolo di Lia De Feo, che mi è parso molto genuino, critico, comprensivo, elogiativo, parziale, ma […]
Bello e interessante.
Grazie Lia.
Grazie Lia, bellissimo articolo, intenso e appassionato. Speriamo per Cuba.
Commosso, ringrazio.
Mai letto nulla di piu’ lucido e commuovente all’unisono, una vera rarità.
Ancora grazie
Zac