Al di là del referendum catalano, c’è da dire che le inesattezze, quando non le bufale, che ho sentito circolare sulla Spagna in questi giorni gridano vendetta. Tanto più che si tratta di un paese vicino e letteralmente preso d’assalto dagli italiani a ogni festa comandata. Non credevo, onestamente, che lo si capisse così poco.

Gennaro Carotenuto fa chiarezza sul mito della “Catalogna di sinistra” in questo post.
Ma ce ne sono altri, tipo quello della “Costituzione postfranchista”.

In realtà la Costituzione spagnola (che si ispirò largamente alla Costituzione italiana, pensa un po’) passò in parlamento con i voti compatti della sinistra e del centro ma con Alianza Popular (destra postfranchista, che poi sarebbe diventata l’attuale Partido Popular) spaccata, con alcuni voti contrari e quelli a favore dettati unicamente dal timore di una radicalizzazione a destra che avrebbe potuto scappargli di mano. La stessa Alianza Popular, poi, fece campagna per l’astensione al referendum. Una campagna di astensione che, unita al No duro e puro dell’estrema destra (lo ricordo benissimo, ero piccola ma quegli anni mi hanno marcato) portò i nostalgici del franchismo a disertare le urne.
Il mio ex suocero se ne faceva un vanto, di non avere votato una Costituzione da “rojos”.
Ha un Preambolo, la Costituzione, il cui padre fu Enrique Tierno Galván, immensa figura del socialismo storico spagnolo e, in seguito, rivoluzionario sindaco di una Madrid che, negli anni ’80, attraversò il suo rinascimento artistico e culturale assieme a lui. Poi lo metto nei commenti, ché vale la pena leggerlo.

La Costituzione spagnola fu mostruosamente generosa nel configurare il Paese come Estado de las Autonomías. Troppo, secondo il mio parere di allora e di oggi. Bilinguismo assoluto in mezza Spagna (che nel caso catalano è diventato monolinguismo espellendo il castigliano, come era prevedibile già allora), tv e mezzi di comunicazione nelle lingue locali, SCUOLE con lingua e programmi decisi dalle regioni autonome e un lungo eccetera di diritti dati e diritti negoziabili, che lasciano fuori solo tre cose: la Difesa, la moneta e le rappresentanze consolari. Basta. Tutto il resto si può fare e/o negoziare. Ebbe però l’ardire, questa costituzione “postfranchista”, di considerare indivisibile lo Stato. Come ovunque, eh. E anche (prepotenza intollerabile) di sottolineare la solidarietà tra le Comunità Autonome, che significa che quelle più ricche dovrebbero contribuire allo sviluppo di quelle più povere. E’ un sopruso, me ne rendo conto.

Perché fecero una Costituzione tanto generosa con i localismi, al punto da permettere al braccio politico di ETA di sedere in Parlamento, in nome della libertà di espressione, mentre in Italia a fare apologia delle BR andavi in galera? Troverete spiegazioni ricche e complesse, in giro, e certamente accurate. Ma quello che ricordo io, e che metterei francamente al primo posto tra i motivi, fu che se la facevano sotto per la paura che un attentato dell’ETA, allora assai ringalluzzita dalle nuove libertà democratiche, scatenasse i militari che fremevano, letteralmente, per uscire dalle caserme e riprendere il controllo. Volevano tenere buoni i baschi, in primo luogo, e i catalani in subordine, per tenere buoni innanzitutto i militari. Perché la Spagna era su un filo, in quel momento, e un disordine qualunque avrebbe fatto saltare tutto per aria.

La Costituzione fu votata in modo plebiscitario dalla Spagna progressista. E in Catalogna ebbe il 90% di sì.
E ora mi tocca leggere in giro che sarebbe postfranchista, nientemeno. Io non lo so cosa si è bevuto certe gente, davvero. Siamo pieni di “compagni” che l’anno scorso si sono precipitati alle urne a difendere la Costituzione italiana, che proclama la nostra repubblica “una e indivisibile”, e però si scandalizza se lo fa la Costituzione spagnola. Roba da pazzi, davvero.

Oggi la Costituzione spagnola mostra limiti? Io non lo so, e sospetto che i “compagni” nostrani lo sappiano ancora meno. Ma, se così fosse, la questione va affrontata dalla Spagna tutta. Compresi i catalani, certo. Ma altrettanto certamente non solo da loro.

E quindi piano con le parole, “compagni” catalanisti. Ché postfranchista sarà la madre que os parió, non certo la Costituzione spagnola.