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Di domenica è parecchio vuoto, il centro storico, e la stradina in cui abito io lo è ancora di più. Avere un tizio alle costole, quindi, innervosisce. Ed io mi sono innervosita quasi subito, appena mi ha detto: “Senti, scusa, posso chiederti una cosa?” e poi mi si è avvicinato con l’aria di uno che si avvicina a una coscia di pollo, mentre io lo guardavo perplessa, e la domanda non me la faceva.
Gli ho girato le spalle e ho cominciato a camminare. E lui dietro: “Senti. Solo una domanda, senti!” e io pensando: “Cribbio, che palle!” e lui ancora dietro a chiamarmi e nessuno in giro, e lui praticamente alle costole: “Aspetta, ma fermati, senti!”
Ed era proprio brutto, ma tanto.
E poi con una roba nera che gli sporgeva dalla tasca, una specie di borsello grande, inadatto a stare nella tasca di un pantalone. Chissà cos’era.

E quindi, avendolo praticamente addosso, ho alzato i tacchi e mi sono messa a correre, e sono arrivata in San Bernardo di corsa. E non c’era nessuno manco in San Bernardo, ed è che la domenica è un deserto, ‘sto centro storico.
Lui ancora dietro, un po’ più distante: “Senti, ma perché scappi? Voglio solo dirti una cosa, senti!” Mi raggiunge all’angolo verso Pollaioli e lì c’è qualche passante, finalmente, quindi mi fermo imbufalita e gli abbaio: “Mollami immediatamente. Sparisci ora, subito, adesso e fila.”
E lui: “Ma perché? Perché scappi? Io sono un bravo ragazzo. Ti voglio solo dire una cosa, aspetta, senti!”
Non me lo schiodo.
Entro dal giornalaio, determinata a farmi difendere dal vecchietto e da un cliente che è lì.
Non sembrano entusiasti, i due. Giustamente.
Perché il mio inseguitore decide di protestare per la mia riottosità a starlo a sentire chiamando tutta Salita Pollaioli a testimone dell’ingiustizia che gli infliggo: “Ma perché non mi volete bene? Perché non mi vuoi bene? Io sono un bravo ragazzo, io lavoro, lavoro tutti i giorni e lei è scappata! Signore, me lo spieghi lei! Perché, perché non mi volete bene?? Perché lei scappa?”
Quest’ultimo appello lo rivolge al vecchietto giornalaio che lo guarda pacifico e poi – con un bell’accento napoletano antico, pastoso, assolutamente imprevisto – gli fa: “Sì, va ‘bbene, ma mo’ abbiamo da fare.”
Lo liquida così.

E lui si piazza davanti all’entrata e lo chiede a tutti i passanti, perché non gli si vuole bene.
E’ affranto, vuole saperlo subito, da chiunque.
Io perdo un po’ di tempo a guardare i giornali, aspetto il momento propizio per uscire e poi, vedendo passare un gruppone di turisti francesi, mi ci infilo dentro e fuggo, mentre lui è girato perché lo sta chiedendo tra i tavolini del bar lì accanto, come mai non riesce a farsi volere bene.

Glielo sento gridare ancora una volta mentre giro l’angolo per raggiungere il supermercato. Col suo accento straniero, con la P trasformata in B e la E troppo chiusa, e chissà cosa aveva in quel suo strano borsello nero infilato nella tasca: “Birché, ma birché non mi volete bene?? Io lavoro!”