
Qua si fa un po’ di formazione, tanto per non perdere l’abitudine, e sono reduce da un modulo sugli adolescenti immigrati che, pur senza rivelarmi novità rivoluzionarie, mi è stato utile per mettere un po’ di ordine in alcuni concetti che, periodicamente, vanno risistemati come si fa con i cassetti, uguale.
L’identità, per esempio.
Fare una lista delle diverse soluzioni esistenti sulla questione-identità è utile per chi affianca i ragazzi che sono alle prese con il problema, ovviamente, ma, anche, serve a chiarirsi le idee dal punto di vista politico, perché no, e a dirci qual è lo straniero, l’arabo, il musulmano (ma non solo) che popola il nostro immaginario, e qual è la soluzione per cui abbiamo voglia di spenderci quando parliamo di immigrazione.
E perché.
1) Soluzione “Assimilazione“: modello “Magdi Allam” per intenderci. Concetto chiave: “Straniero io? Io sono più italiano di te, altro che straniero, e sta’ attento a quei brutti arabi, ché li conosco bene e non c’è da fidarsi.” Soluzione di chi si vergogna delle proprie origini, molto gratificante anche per l’italiano medio che scopre, grazie ad essa, di essere un punto di arrivo identitario e, in quanto tale, portatore di ogni perfezione, purché sia sempre e stolidamente se stesso.
2) Soluzione “Alternanza“: modello “Sono come tu mi vuoi” a 360 gradi. A casa in un modo, fuori in un altro, si è accettati da tutti ma non si capisce bene cosa si è. Come alcuni bimbi figli di separati, che tirano fuori caratteristiche diverse a secondo del genitore con cui stanno, in modo da da compiacere sia la mamma che il papà. Pare sia il modello più comune tra i ragazzi, e non solo. Politicamente, credo siano i celebri musulmani moderati che, nel chiuso di casa loro, finisce che fanno infibulare la figlia per sfogarsi.
3) Soluzione “Marginalità“: modello “Essendo io un ribelle, obbedisco“. Gli è stato detto che c’è lo scontro di civiltà o, comunque, che lui è nel gruppo dei Cattivi. Lui, docile, è andato a prendere posizione nella squadra in cui lo hanno iscritto. Di identità personale, non ne possiede: in compenso, è perfettamente inserito nell’identità di gruppo che altri gli hanno proiettato addosso. Politicamente, trattasi di manovalanza altamente strumentalizzabile, pronta a mangiare in mano a chiunque la lusinghi con termini come “combattente” etc. Sono quelli che si mettono nei guai.
4) Soluzione “Separazione“: modello “Bolla musulmana con microclima islamico“. Intendono l’identità – sia la propria che quella degli altri – come un immutabile cristallo o, meglio, un fossile. Il terrore verso le contaminazioni è quello proprio di ogni organismo immunodepresso e l’habitat che ne consegue è del tipo “istituzione totale”, a mo’ di ospedale per immunodepressi, appunto, o più banalmente di setta. L’identità che si riproduce all’interno della bolla è talmente poco spontanea da non rispecchiare nessuno dei paesi di provenienza a cui dovrebbe fare riferimento e che, generalmente, sono paesi normalissimi dove costoro passerebbero per eccentrici o per cafonazzi di periferia. Politicamente, sono le organizzazioni islamiche dove tutti, specialmente i convertiti italiani, parlano in ital-arabo e dicono”yalla!” invece di “andiamo!”. E’ un po’ come essere pesci esotici in un acquario, con il resto dell’Italia che ti guarda da dietro il vetro. La paura degli educatori è che i ragazzi, così cresciuti, soffochino come pesci fuor d’acqua non appena la vita li tirerà fuori da lì. E la vita, si sa, adora fare questi scherzi alla gente.
5) Soluzione “Integrazione“: modello “Cittadino del mondo e somma delle proprie esperienze“. Non un’identità monolitica ma tante parti che ti hanno formato, integrate tra di loro. O anche: “Noi non siamo uno solo”, per dirla con Musatti. Ho detto “integrate tra di loro”, non spezzettate qua e là in un’angoscia di contraddizioni. E’ l’identità vista come un divenire, non come un sasso da appendersi al collo. Comporta curiosità, voglia di conoscere e di conoscersi, capacità di vedersi in prospettiva assieme agli altri (a tutti gli altri) senza per questo perdere le proprie specificità. Sarebbe la salute psichica, per dirla in soldoni. Politicamente, non assicura rendite a nessuno e quindi non conviene a nessuno.
Solo che, porca miseria, l’identità – quella vera, non quella degli slogan – sarebbe questo, mica altro.
E – particolare non da poco – volendo frequentare gente in grado di arricchirci, ognuno di noi se li sceglierebbe in questo gruppo qua, gli amici. Anche perché sono gli unici a metterti in discussione in modo utile, i tipi così. Figurati un paese intero, se deve scegliere.
Superfluo dire quale modello consideri migliore, io: faccio la prof, come è noto, e non c’è altro da aggiungere. Lo dissi appena sbarcata in Italia, che se avessi visto qualcuno giocare all’Islam da baraccone con le mie alunne (i matrimoni-baby, ‘ste cazzate qua) avrei chiamato gli assistenti sociali. Lo ribadisco serena.
Quanto alla politica: dirsi e dire chiaramente a quale situazione tendiamo, sembra banale ma non lo è affatto. Nemmeno un po’.
Direi che è la dichiarazione previa, e che richiede consapevolezza.
Il resto viene dopo.

guarda, non si può pensare che uno arrivi da un altro mondo e tic toc tac si integri. Io ci ho messo una ventina d’anni per integrarmi a bologna e venivo dalla sardegna e l’italiano lo conoscevo ed avevo frequentato le scuole del regno. e non ci avevo neppure la differenza di religione. e dopo tutto questo mi rode maledettamente essermi integrata, chè io ero sarda e vorrei esserlo ancora. figurati te questi altri. baci
Lo dici a una che fa l’expat da quando aveva 14 anni, Caps. :)
Nemmeno io sono mai diventata inglese, svizzera, maltese, canaria, catalana, milanese, egiziana o genovese. Però tutti questi diversi momenti della mia formazione sono integrati dentro di me, spero, e mi producono come risultato.
L’integrazione mi pare prima di tutto interna: armoniosa accettazione delle parti che ci compongono e curiosità verso il mondo e verso ciò che possiamo ancora diventare.
Tornando al pratico: non pensavo minimamente al pretendere, ma all’obiettivo che deve avere in mente chi, con gli immigrati, ci lavora.
Non è la stessa cosa lavorare avendo in mente l’integrazione, piuttosto che la separazione o l’assimilazione.
Sono bussole diverse.
E poi comincia ad essere il momento di concentrarsi sulla cosiddetta “generazione uno e mezzo”: non gli immigrati arrivati già adulti, ma quelli venuti al seguito, adolescenti o bambini, che stanno facendo da ponte tra la prima e la seconda generazione.
(Ah: la prossima volta che nasco voglio essere una mamma napoletana DOC, con 6 figli e una mano santa per il babà.)
ehhhh a me quando chiedono:” di dove sei?” Faccio veramente un pò fatica a rapportarmi, causa lavoro padre troppi traslochi, troppe facce che entrano ed escono tutt’ora dalla mia vita, e da tutto il mio vissuto ho assimilato qualcosa, fra le altre la cosa che m’imbarazza di più è quella di avere una SIMPATIA linguistica per cui dopo 5 minuti che parlo con qualcuno sembra che gli faccio “il verso”, in realtà dialetti e cadenze non mi fanno paura, così pure come le lingue straniere…potresi scrivere pagine sull’integrazione IN ITALIA FRA ITALIANI NON SEMPRE CON TERMINI EDIFICANTI…
Scrivi più spesso sul tema. Ti prego.