I 99 Posse in concerto, dopodomani, a Ramallah.

Sotto le finestre di Arafat.

Non so, mi fa piacere ma è pure una cosa assai strana.

Loro non mi sono simpatici (v. questione basca) e la loro musica, invece, sì; ma non è questo il punto.
Credo che vada lì pure il famoso Casarini di cui parlate sempre, a proposito.
Insomma, è una spedizione in cui l’Italia è rappresentata dai Centri Sociali.
Meglio che niente.

Sto cercando di immaginare il tatuato Zulù che canta a Ramallah, dove io ricordo nenie arabe, donne con gli occhi neri-neri, molto attivismo politico, stradine polverosissime, vecchi dappertutto e bambini violentissimi ovunque e, soprattutto, la bambina di cui ho scritto mille volte, in braccio alla mamma, con tutta la faccia sfigurata e senza un’orecchio, causa la simpatica abitudine dei coloni (si vedono, le loro ville, dalle baracchette di Ramallah…) di bruciare le case palestinesi, con la gente dentro, per prendersi la terra.

Cerco di immaginare Zulù che canta, e non c’entra una mazza.

Me lo vedo meglio a Tel Aviv, Zulù, tra le israeliane col piercing o gli israeliani che vanno in discoteca con la divisa tutta aperta sul petto e ballano col mitra poggiato sulla pista.
A Ramallah proprio non ce lo vedo.

Me lo vedo persino a Gerusalemme, magari all’Underground che, quando finisce lo Shabbat, diventa la meta di una scia di birre, freakkettoni di tutto il mondo, faccine multirazziali (lo Yemen lo riconosci dai capelli delle ragazze, che capelli, mamma santissima), tatuaggi e cosce all’aria che sciamano fin lì.
Sì, multirazziali.
Ma i ragazzi palestinesi no, non ci vanno: ci sono i buttafuori, non li fanno entrare.

O, persino, me lo vedo nei locali della Città Vecchia dove invece li vedi, i palestinesi….nel baretto-rock del Tabasco, a un metro dalla Via Dolorosa, sempre con gli onnipresenti freakkettoni da tutto il mondo, inglesi, neozelandesi, tedeschi, che in quella città piccola piccola fanno la spola tra Israele e la Palestina spostandosi da una strada all’altra e andando d’accordo con tutti.
Palestinesi che ballano e cuccano, palestinesi con la birra o l’aranciata, palestinesi con la canna, palestinesi, qualche volta, con la croce al collo.
Palestinesi, quasi sempre, molto giovani.
Un popolo di ragazzetti, i palestinesi, e ce lo scordiamo sempre.

Ci saranno quei Peppi lì, suppongo, a sentire i 99 Posse a Ramallah.
E poi, per impegno politico, per farsi sentire e vedere dal mondo, ci saranno quelli più grandi, e magari pure le donne con gli occhi neri-nerissimi e i vecchietti che a me piacciono un sacco, che sono rocce di tranquillità, quelli, e i bambini di 3 o 4 anni, che così avranno altra adrenalina per riempirsi di botte a vicenda, dalle bombe alle chitarre, dai, e i riccioluti tizi di Hamas dell’ostello dove scoprii i rapporti degli psicologi di Amnesty su quei bambini lì, e magari pure la bimba che ora sarà quasi una signorinetta, quella sfigurata dal fuoco, e, insomma, Ramallah che non ascolta le Posse, ascolta Abed Katten, potendo scegliere…

Guarderanno Zulù pensando: “Ma tu guarda cosa ci tocca fare, per avere il nostro stracazzo di Stato… ma tu pensa come si è conciato, quello, che è pieno di tatuaggi….eh??? Ma è comunista….????…vabbe’, sono occidentali… guarda come balla Mohammed….be’, sì, un certo ritmo ce l’hanno, in effetti….ma cosa ci tocca fare, Gessù… speriamo che non bombardino proprio adesso, cribbio…”

Be’: in realtà, oggi mi sento sinceramente grata verso quei pirloni dei 99.
Dicono un mare di stronzate, è vero, ma la buona volontà non gli manca di certo.