
Io sono d’accordo. Del resto l’ho sempre detto e l’ho sempre scritto, che la libertà di espressione ha, nel nostro democratico mondo occidentale, un piccolo limite che si chiama Israele.
E’ un dato di fatto, credo. Una cosa che si sa.
Tu chiedi, chessò, notizie sulla libertà di stampa negli USA a un giornalista americano, e lui ti risponde candido: “Mah, sai: l’unico limite sono un po’ le critiche a Israele. Per il resto, possiamo scrivere quello che vogliamo.”
Ne sappiamo qualcosa pure su ‘sto blog, nel nostro piccolo.
Figurati adesso, col revival dei reati di opinione introdotto dal ddl di quel paladino del libero pensiero che è Mastella.
E tuttavia.
Tuttavia qui ci saremmo anche un po’ rotte le balle di dirci sempre le stesse cose e di starcene – o di tornarcene a comando – ordinatamente dalla nostra parte del coro.
Per carità: le polarizzazioni sono rilassanti, a modo loro, e fanno un gran bene all’ego, da qualsiasi sponda le contempli: il Male è là, il Bene è qua, io sono il Moro e tu il Cristiano o viceversa, la vita è un gran teatro dei Pupi e tu individuo, tu gruppo, tu organizzazione non hai altra responsabilità che portare avanti la parte che ti è stata assegnata nella rappresentazione.
Ci si compra – tutti, da ogni lato – delle identità complete a pochissimo prezzo.
Percepirsi costantemente in guerra, in stato di emergenza e sotto assedio è una funzionale distorsione della realtà che ti permette di rimandare a tempo indeterminato il momento della tua personale maturazione – di individuo, di gruppo, di organizzazione – perché, mentre zompetti da una situazione eroica all’altra, il momento di compiere quel faticosissimo esercizio che è la definizione di una propria identità che prescinda da un nemico non arriva mai.
E non è mica brutto, ne’.
Se hai un minimo di temperamento eroico, direi che è una pacchia.
Non esiste al mondo modo migliore, per potersi esprimere senza dovere mai compiere il passaggio dalla propaganda di un pensiero alla sua verifica nella realtà.
Qui lo abbiamo fatto per tanti anni e, certo, lo faremo ancora: potersela prendere con il proprio avversario politico sorvolando un attimo – perché non è il momento, perché ci sono altre priorità – sull’osservazione critica dei “propri” è semplice, ti vengono discorsi e post efficacissimi e credo faccia pure bene alla pelle, come tutto ciò che dà soddisfazione.
Si potesse essere abbastanza stupidi da starci per sempre, da un lato o dall’altro dello specchio, il mondo sarebbe un’infinita riserva di felicità.
Solo che la realtà è un’altra cosa, ed è pure testarda: incrina qualsiasi specchio, per liscio e levigato che sembri.
Non esiste posizione politica che non abbia un suo retrogusto marcio.
Pensavo alla televisione egiziana, così generosa nel trasmettere – ed è sacrosanto – quelle immagini dalla Palestina che noi manco ci sogniamo, nella nostra parte del mondo, e per forza che poi finisce con l’essere un po’ diversa, la percezione di Israele che si ha qui rispetto a quella che si ha là.
Ed hanno ragione loro: quelle cose vanno mostrate.
Porca miseria, se vanno mostrate.
Il retrogusto marcio sta nel fatto che quelle immagini servono – anche – a dirigere le passioni politiche della gente verso un nemico esterno. Sui fatti interni, la tv egiziana è infinitamente meno esplicita.
Ma poi, sai, il fatto è che in Medio Oriente la guerra c’è davvero.
In una situazione come quella, hai poco da fare il purista.
Ti adegui, e ne hai ben donde.
Il progressivo rimbecillimento generale, l’addio al senso critico, l’impoverimento spirituale che va di pari passo con un senso della religione che si fa sempre più meccanico, esibito e stordente, è fisiologico. In quella situazione, in quelle circostanze.
Alla base di tutti i mali interni dei paesi del Medio Oriente c’è, mi pare, il fatto di non potersi mai, mai costruire una propria storia. Di agire sempre di riflesso sulla storia che viene loro imposta.
Il risultato è un’incancrenita incompletezza, un ‘domani’ che non arriva mai.
Qui, però, potremmo fare di meglio.
Qui, nonostante tutto – e il ‘nonostante’ lo vedo, non è che non lo veda – dirsi e sentirsi in guerra rimane un leziosismo.
A volte ottuso, a volte astuto.
Un leziosismo, comunque.
Io non so quanto tempo possa durare una fase storica che sostituisce il cliché alla realtà.
Cercare di non farsi affossare il senso critico dalle vagonate di virtualità pura che infestano ogni discorso possibile, mi pare però un dovere.
Qui siamo ‘bastanza d’accordo con Angelo a cui, della denuncia per “incitamento all’odio razziale” rivolta ai vertici Ucoii, salta agli occhi fondamentalmente la scemità.
Laggiù, nel mondo reale, quelle due cosine chiamate Stato, Costituzione etc. esistono ancora. Nel mondo degli adulti, le parole continuano ad essere dotate di senso e le leggi pure.
Dubito fortemente che questo ennesimo fiume di chiacchiere arrivi ad avere una qualsivoglia ripercussione concreta nella vita vera di chicchessia.
Qui esprimiamo un sollievo e una preoccupazione, più che altro.
Il sollievo – vivissimo – della chiacchiera-scaccia-chiacchiera.
Il tritacarne mediatico ha il difetto di essere violentissimo e il pregio di essere veloce: che le polemiche attorno all’Ucoii si siano trasferite su uno scenario più consueto ed esteticamente sostenibile di quelle di qualche settimana fa, è – oggettivamente – un’ottima notizia.
Non solo per me, credo.
La preoccupazione riguarda l’effetto-trincea, ovviamente.
Perché, con buona pace degli eroi di guerra – da Magdi Allam a qualche ‘compagno’ che, dell’islam, non ama che la componente antisistema – qui continuiamo ad essere certe della necessità di un po’ di massiccia autoanalisi e di maggiori dosi di dibattito interno, nell’islam patrio. Una trincea la puoi arredare e rendere abitabile quanto ti pare, ma non è un luogo adatto allo sviluppo di alcunché.
E qui – dove tra fatiche, contraddizioni, giochi di equilibrio, errori, pazzi, squali, miserie e nobiltà, strenue barricate, veleni e via dicendo – qualche energia ce l’abbiamo pure investita – e continuiamo festose e testarde, al momento in altra sede – ci dispiacerebbe tornare a contemplare solo e soltanto il sempiterno, immutabile, perpetuo, cristallizzato e ineluttabile Teatro dei Pupi.

Condivido.
La metafora del teatro dei Pupi, poi, è talmente azzeccata…
“Percepirsi costantemente in guerra, in stato di emergenza e sotto assedio è una funzionale distorsione della realtà che ti permette di rimandare a tempo indeterminato il momento della tua personale maturazione – di individuo, di gruppo, di organizzazione – perché, mentre zompetti da una situazione eroica all’altra, il momento di compiere quel faticosissimo esercizio che è la definizione di una propria identità che prescinda da un nemico non arriva mai.”
touché
A proposito di “quel faticosissimo esercizio che è la definizione di una propria identità che prescinda da un nemico non arriva mai”, Costantinos Kavafis concorda.
Aspettando i barbari
Che cosa aspettiamo così riuniti sulla piazza?
Stanno per arrivare i Barbari oggi.
Perché un tale marasma al Senato?
Perché i Senatori restano senza legiferare?
E’che i barbari arrivano oggi.
Che leggi voterebbero i Senatori?
Quando verranno, i Barbari faranno la legge.
Perché il nostro Imperatore,
levatosi sin dall’aurora, siede su un baldacchino
alle porte della città,
solenne e con la corona in testa?
E’ che i Barbari arrivano oggi.
L’Imperatore si appresta a ricevere il loro capo.
Egli ha perfino fatto preparare una pergamena
che gli concede appellazioni onorifiche e titoli.
Perché i nostri due consoli e i nostri
pretori sfoggiano la loro rossa toga ricamata?
Perché si adornano di braccialetti d’ametista
e di anelli scintillanti di brillan ti?
Perché portano i loro bastoni preziosi
e finemente cesellati?
E’ che i Barbari arrivano oggi e questi oggetti
costosi abbagliano i Barbari.
Perché i nostri abili retori non perorano
con la loro consueta eloquenza?
E’ che i Barbari arrivano oggi.
Loro non apprezzano le belle frasi
né i lunghi discorsi.
E perché, all’improvviso,
questa inquietudine e questo sconvolgimento?
Come sono divenuti gravi i volti!
Perché le strade e le piazze si svuotano
così in fretta e perché rientrano tutti a casa
con un’aria così triste?
E’ che è scesa la notte e i Barbari non arrivano.
E della gente è venuta dalle frontiere dicendo
che non ci sono affatto Barbari…
E ora, che sarà di noi senza Barbari?
Loro erano comunque una soluzione
Ciao.
Hai visto che sei citata anche su Linus di questo mese?
“Magdi, l’omino sbianco” di Pippo Russo pagina 14. Due piacevoli paginette..;))!!
Mi distraggo un attimo (in tribunale, chiedo venia)e mi ritrovo tre post uno più bello dell’altro. non basterebbe un foglio di protocollo fitto fitto per commentarli.
ti sento in forma e ne sono felice. ciao
Per fare autoanalisi bisogna avere il coraggio di mettere in discussione i confini del proprio io, della propria identità. Bisogna avere la maturità emotiva per farlo; è un processo potenzialmente molto destabilizzante.
Tu puoi farlo, perchè l’islam per te non è nè una corazza che ti isola e protegge dal mondo nè un’appartenenza su cui costruire carriere; tu l’islam lo rispetti e magari ti attrae, ma non è la tua ossessione. ma gli altri?
Mi sembra che molti di quelli che decidono di fare dell’islam la propria identità univoca (sia convertiti che islamisti) siano invece in cerca di certezze assolute, verità granitiche, un’ “identità completa a pochissimo prezzo”, come la chiami tu. Per molta gente l’islamismo (e il cristianesimo anti-islam), non è una religione, ma un’ideologia di appartenenza, in cui più ti uniformi allo standard e più sarai accettato. O con noi o contro di noi. Bianco o nero; le sfumature non sono previste. L’individuo è svuotato della sua personalità e diventa parte dell’ingranaggio.
Consiglio la lettura del libro “l’infelicità araba” di Samir Kassir, un breve saggio che tratta proprio questi temi scomodi; tanto scomodi che l’autore è stato ammazzato poco dopo averlo scritto, e questa volta non sono stati gli israeliani.