Tra le varie cose curiose che mi sono successe negli ultimi mesi, ho anche scoperto di avere una malattia genetica rarissima, incurabile e potenzialmente mortale.
Nel senso: può essere mortale se vai dal medico.
Se non ci vai non c’è problema, invece.

Tipo: lei ci è andata, dal medico, e infatti è morta.
Perché, sostanzialmente, la cosa consiste nel non potere prendere alcune medicine.
Due o trecento, per l’esattezza.
Rischi l’effetto-Paula, altrimenti.

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Ora, la cosa è in questi termini: da una parte c’è che gli sfaccendatissimi astri che governano il mio fato hanno – evidentemente – deciso che quest’anno avrebbero saggiato la mia capacità di reagire con spirito alle notizie bizzarre.
E non me ne hanno fatte mancare. Diciamocelo.

Dall’altra c’è che è una vita, che sono consapevole di avere a che fare con astri dotati di un senso dello spirito a dir poco perverso, e mi sono prudentemente munita di angeli custodi avvezzi ad adottare le contromisure del caso.

Io, quindi, sono riuscita a sentirmi dire ADESSO – a 45 anni suonati e passati per la maggior parte su una spiaggia – che sarei… no, non ce la faccio a dirlo… dunque… aspetta che cerco di rimanere seria… no, ti giuro, me l’hanno detto davvero…
Dunque.
Io sarei FOTOSENSIBILE.
No, giuro.
Dimmi tu.

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Ché tu pensa se me lo avessero detto a 20 anni, porca miseria.
Magari ci credevo pure.
Rischiavo di fare una vita da imbecille assoluta, altro che spiaggia e deserti.
Epperforza: una è fotosensibile, no?
Ma pensa te.

Insomma, praticamente succede questo: l’età più a rischio per la cosa che ho io è tra i 20 e i 40.
Ed io, saggiamente, l’ho scoperto a 45.
Posso abbondantemente permettermi di battermene u belìn.
Non solo: visto che questa è l’estate dei gialli di Haramlik, io ho finalmente scoperto cosa fossero i mal di pancia che mi affliggevano da un quarto di secolo, santo cielo.
Me ne ero lagnata pure sul blog, per dire.
Ignara.
Lamentandomi del fatto che nessun medico me li avesse mai presi sul serio.
E per fortuna, gessù.
Pensa se si mettevano a cercare di curarmeli e cannavano la medicina.
Io invece, rassegnata a sciropparmeli in silenzio e solitudine, me li sono fatti nei posti più assurdi, i miei attacchi di porfiria acuta: nel deserto, in Cisgiordania, in Spagna, su un autobus e Dio-sa-dove.
Ovunque, tranne che nell’unico posto veramente pericoloso per chi ha una porfiria non diagnosticata: in ospedale.
E Allah è grande, ecco.

Ho le mie analisi davanti a me, e dicono che “dall’analisi molecolare del gene PPOX risulta l’identificazione in eterozigosi della mutazione 1353 T>G nell’esone 13“.
Trattasi di Porfiria Variegata, quindi, che è infinitamente più simpatica della Porfiria eritropoietica congenita che è quella dei vampiri, invece, e della Porfiria Cutanea Tarda che, siccome fa spuntare i peli, sarebbe la malattia dei lupi mannari.

Io non ho peli, giuro.
Quei pochi che la Natura mi ha dato, me li tolgo scrupolosamente e con regolarità.
E, a differenza dei vampiri normali, mi spengo se sto all’ombra.
I morsichini sul collo, invece, uno se li può pure aspettare, non dico di no. Ed ho un paio di ex mariti che adesso possono finalmente spiegarseli, i segni lasciati dai miei canini sui loro conti bancari.
A parte questi dettagli, comunque, non mi pare di presentare altre controindicazioni.
Mettete giù quei paletti di frassino, per piacere.

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La dottoressa che me l’ha diagnosticata, un paio di mesi fa, mi ha guardato assorta.
“Ma lei è sempre stata di questo colore?”, mi fa, scatenando l’ilarità del mio primo ex marito che mi accompagnava per l’occasione.
E poi mi ha detto di fare l’unica cosa che c’è da fare in questi casi: prevenzione.
E questa prevenzione si articola su due punti, sostanzialmente:

1. Occhio ai farmaci e, soprattutto, niente pillola anticoncettiva. E su questo abbiamo già dato, ché mica è un caso se la Pupi l’ho fatta a 20 anni. Sapevo, io, che la pillola non andava presa.

2. Mangiare tanta pasta. Tanta. La migliore prevenzione è il carboidrato.
E pure su questo, è una vita che ci impegnamo.

C’era mica bisogno che me lo dicesse lei.
Una lo sa istintivamente, cosa le fa bene.

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