“E Pablo…?”
“Pablo è morto, un incidente in moto. Credevo che lo sapessi.”
“Ed Emilia…?”
“Emilia l’ho vista bellissima, ultimamente! Sarà contenta di sapere che vieni.”
Che Emi sia bellissima, non mi stupisce.
A vent’anni, era da mozzare il fiato.
Le città di provincia come Santa Cruz mischiano le classi sociali, le diverse tribù, negli stessi locali, nelle stesse piazzette, sulle stesse spiagge.
E conosci tutti, e baci tutti e dici “Ciao!” a tutti, ma sono anche tremende, le cittadine di provincia e, se Emi non fosse stata bellissima, Juan non si sarebbe fidanzato con lei così seriamente.
Invece si fidanzarono e, visto che io ero l’unica ad avere una casa tutta mia, vennero a vivere da me.
Emi era una ragazza estremamente semplice, col DNA della contadinella canaria.
Cucinava benissimo, infatti: minestre di verdure, patate…cucinava splendidamente le cose che costano poco.
Aveva imparato da molto piccola: la mamma era fuggita via con un altro uomo e lei era rimasta, assieme al fratellino minore, in una specie di stamberga periferica assieme a un padre alcolizzato.
Brutta cosa, un padre alcolizzato e abbandonato con due figli: tornava a casa di notte, la svegliava urlando e poi, chissà perchè, si metteva ad usare il corridoio di casa a mo’ di water e poi la obbligava a pulire.
Le colpe delle madri ricadono sulle figlie.
Non era stata brillante a scuola ma, fin da piccolina, la sua maestra l’aveva buttata in piscina ed era diventata la campionessa junior di nuoto, lì alle Canarie.
Una stamberga, sì, ma piena di medaglie, la sua casa…
Quando la conobbi io, Emi era una che, nella vita, aveva fatto tutto bene: aveva tenuto in vita il padre, si era presa cura del fratello, sapeva fare tutto come una donna di casa vera, era campionessa di nuoto, ballava da Dio, era sempre allegra, ti faceva ridere, era positiva, solare, sportiva e capiva un sacco di cose, tranne sua madre: “No, non l’ho mai più vista….sai, io capisco che si sia innamorata…..quello che non capisco, è perchè non ci abbia portati con sé, me e mio fratello”.
Essere bella le piaceva molto, lo coltivava.
Le scollature, le scarpe d’oro col tacco, i fermagli con i fiori, gli orecchini da zingara. Una mora di fuoco tra rossetti e gonnelline, e giocare a truccarsi con lei era da set cinematografico per una come me. Io italiana, quindi per forza più sobria e, comunque, con la mia vena natural/freakkettona. Mi pareva una giovane Sofia Loren in salsa tropicale, la Emi.
Una volta l’ho raccontato: era quella che aveva attraversato tutto il parco sculettando perchè sentiva fischiare e, poi, aveva scoperto che il fischiatore era un pappagallo selvatico. :)
Emi coi tacchi d’oro che, in un attimo, passa dallo sculettare vanitoso all’esplosione di risate, piegata in due a ridere di se stessa, da sola nel parco.
Era una bambina, dietro all’esplosione di sesso che evocava, e si innamorò di quel pirlone di mio cognato Juan, fratello maggiore di Torero, laureando in medicina.
Lui era uno di quelli che sono attratti dal vasto mondo selvaggio ma, non avendo il coraggio di andarselo a cercare sul serio, si attaccano come parassiti a coloro che lo incarnano.
C’è gente che, invece di andare al cinema, si innamora.
Si innamorò dei guai di Emi, della sua selvaticità, di tutta l’allegria che lui non aveva e delle gambe lunghe della nuotatrice.
Lei si innamorò del futuro medico dall’accento di Madrid, del bravo ragazzo più grande e protettivo, di qualcosa di borghese che le placasse le ferite e la avvolgesse. Si innamorò della gentilezza di lui.
Lui non aveva soldi.
Quando parlo di innamorarsi della borghesia, parlo di gentilezza, non di soldi.
Si innamorò perchè voleva essere protetta ed aveva un bisogno terribile di essere trattata bene.
Lei non calcolò che, quando si innamorano dei tuoi guai, l’unico modo per continuare ad essere amata è continuare ad avere guai.
Lui si sopravvalutò: non basta innamorarsi di chi è vitale, per entrare nella vita.
Così, mano nella mano ma senza capirsi, vennero a vivere a casa mia.
Ed io entrai in un mondo di minestre di verdura plurivitaminiche (ero pure incinta, andava benissimo…) e di trucchi, belletti, mascara e matite e un sacco di risate e piscina per il mio pancione che cominciava allora e le sue gambe lunghe.
E qui comincia il secondo capitolo: continuo sotto.
Sto per dire una cattiveria: a mia suocera era appena sfuggito dalle mani Torero, il figlio piccolo.
A 18 anni, era praticamente fuggito di casa assieme ad una squinternatissima italiana, aspettava un bambino e viveva nel peccato.
Sì, mia suocera consumava il rosario e si era chiusa nel suo castiglianissimo silenzio ma, in fondo, non pareva tanto scontenta: la squinternata italiana aveva pur sempre una casa e un misterioso padre italiano che sembrava pensare a tutto.
Il gioco delle parti filava liscio: lei consumava il rosario, il figlio si era iscritto all’università.
Ma Juan: questa follia di Juan non era sopportabile.
Juan era il figlio prediletto.
E poi, señor, era a un passo dalla laurea.
E chi cavolo era, questa Emi, da che famiglia veniva….?
Oh, santa madre virgen.
Emi venne convocata in gran segreto dalla Señora e, come una cretina, andò all’appuntamento da sola, come da richiesta.
Non disse niente nemmeno a me. Poi mi confessò che aveva pensato che la suocera la volesse conoscere perchè iniziava ad accettarla. Pensa che scema.
Si videro in un caffè e mia suocera la prese per mano e le fece ‘prendere coscienza di sé’.
“Tu, adesso, sei giovane e bella. Ma non hai studiato, non hai avuto l’educazione adatta, non hai una famiglia presentabile. Juan è un medico. Ti rendi conto di cosa gli stai facendo? Pensa a come sarebbe tra qualche anno…tra gli amici di Juan, tu cosa potresti dire? Di cosa potresti parlare, che figura gli faresti fare? Sarebbe umiliante anche per te…lui sarebbe costretto a vergognarsi di te, lo capisci? O a rimanere per sempre al margine della sua professione, a causa tua. Il tuo non è amore, è egoismo.”
Se ci penso adesso, mi pare irreale. Mi pareva irreale anche allora, questa Spagna in bianco e nero, anni ’50, con tutti i personaggi nel loro ruolo…
Compresa la giovane Sofia Loren tropicale, ferita a morte e senza la forza di dare un paio di schiaffi alla Señora.
Beccata nelle insicurezze più profonde: la bambina abbandonata col papà alcolizzato.
Svanite le medaglie, svanite le scarpe d’oro, svanite le minestre fantastiche, i complimenti degli uomini, i fischi dei pappagalli selvatici…
Rimaneva Emi con lo straccio in mano che pulisce il corridio, sotto lo sguardo freddo di mia suocera.
Emi, lasciando Juan, ne lasciò la famiglia.
Pensò di salvarsi la vita, a fuggire da quella gente.
Juan non mosse un dito. Non aveva energie, Juan.
Tornò semplicemente a casa.
Ed Emi si mise con uno che, invece, di energie ne aveva da vendere.
“Uno de los gemelos”, l’ho sempre chiamato così: macho di periferia, tutto sesso pure lui, infilato in faccende di droga e col coltello in tasca.
Poi fu tutto molto veloce.
La mia vita andò che nacque Pupina e, sei mesi dopo, io chiusi casa e me ne andai a Barcellona.
Emi aveva scollature sempre più profonde, occhiaie, occhi rossi e, infine, le pupille strette da uso di eroina.
Solita trafila.
Nessuno la vedeva quasi più, ci raccontavano che il suo uomo la menava pure.
Come il padre.
In quei mesi, mi pareva che l’intera isola stesse affondando.
Cambiavano i giri, cambiava l’atmosfera, l’Europa era arrivata pure a Tenerife e in un’isola non hai scampo, le isole sono piccole.
Fui felice di andarmene.
Un po’ me l’hanno raccontata, la vita di Emi, un po’ la posso immaginare.
Toccò il fondo, ma non l’ammazzi facilmente, una così.
Si fece distruggere dal quel suo nuovo macho-papà, ma era una lavoratrice ed una contadinella solida, ed aveva il fisico della sportiva, era forte.
Ha avuto un figlio e se l’è cresciuto.
E adesso, mi ha detto Lourdes, vive con il figlio e con il padre. Ancora.
Quello vero, non il delinquente macho.
E’ stata molto male, la davano per distrutta.
Adesso è di nuovo bella, mi ha detto Lourdes.
Solo che è sieropositiva.
Perchè ci mancava solo questo, il virus di merda, come se il resto non fosse già bastato, come se tutto non fosse stato già abbastanza difficile.
Doveva sbarcare pure l’AIDS, assieme al resto.
A volte, la vita prende una direzione anzichè un’altra in questione di un attimo.
C’era quel filmetto, ‘Sliding doors’….per Emi, è stata davvero questione di un attimo.
Di gioventù, certo.
Della rabbia di un momento, lei che aveva fatto tutto così bene; di qualcosa che ti si rompe dentro e butti tutte le carte in aria, le carte di una vita.
E poi di sfiga.
Perchè ci vuole pure sfiga, o fortuna.
Sarebbe tutto a posto, andrebbe tutto bene, se non fosse per il virus di merda.
E mi sento male, a pensare a quanto avrà sofferto, alla paura che avrà avuto.
Ho voglia di vederla.
Ho anche paura di soffrire, ma poi me la faccio passare.
E’ la vita, e chi sono io per soffrire per lei?
Chi mi credo di essere?
Posso andare sotto una macchina domani, può succedere di tutto, sempre. Chi l’ha detto che lei sia più nei guai di altri?
Non è mica come ti dicono in TV, la vita, non è mica detto che abbia una forma sola.
Juan, poi, si è sposato.
Con un mostro.
Con una basca dura, volgare, aggressiva, ignorante e pure brutta da fare spavento.
Altro che “Che figura farebbe, il medico…?”
Avrebbe fatto una figura splendida, con l’Emi che ricordo io….avrebbe steso tutti, gliel’avrebbero invidiata tutti.
Mi sono sempre chiesta se si fosse sposato con il mostro per punirsi.
Avrei voluto chiederglielo, se queste cose si potessero chiedere.
Vorrei chiederglielo, ancora, in questo momento.
E invece è tardi per tutti.
Io mi sono già separata, lui si sta separando adesso, pare.
Queste domande che rimangono nell’aria: “Perchè non ci ha portato con sé, mia madre, quando è scappata?”.
E’ sempre tardi, cazzo.
Benvenuti a Tenerife.
E dài, Lia, fallo un libro!
fzzzzzzz