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Altro che velo in testa e femminili manfrine arabe.
Eccola qui, la donna ultimo modello: quella che sa comandare, che non si tira indietro di fronte all’esercizio del potere, che fa tutto quello che fa un maschio e di più.
“Io voglio essere così, da grande”.
Chissà quante giovani arabe lo staranno pensando. Milioni, scommetto.

Non stiamo esportando solo morte e distruzione.
Stiamo esportando la nostra società malata, la nostra follia, la nostra ignoranza.
Esportiamo l’uomo e la donna qualunque in forma di soldato, ed eccoli qua.
Il sogno della moderna femminetta ignorante, “fargliela vedere a un maschio arabo”.
Chissà cos’è un maschio arabo, nella mente di queste: il capro espiatorio delle loro frustrazioni, immagino.

Che ci è successo, mi chiedo.
A noi, alle donne.
Non eravamo così, non è possibile.

Quelle come Oriana Fallaci, chessò, e Ida Magli e Condoleeze Rice, e le loro figlie stupratrici di prigionieri di guerra.
Non è da ieri che le donne occidentali sono “libere”, ma fino a ieri non erano così piene di odio. Mi pare.
Dice: “Be’, sono come gli uomini!” No, non è vero.
Perchè, di fatto, le donne non sono come gli uomini: era uno dei postulati del femminismo, se non ricordo male. Una donna che è come un uomo è una donna che non sta bene, sostanzialmente.
Che si pone di fronte al mondo strappando dalla propria identità tutto l’istinto del dare, del conservare, dell’accogliere: tutto quello che ha permesso alla specie umana di arrivare fino ad oggi, altro che le scienze e il progresso.
E’ una donna con la psiche amputata, non può stare bene. Non ci crederò mai, che una così stia bene.

L’amputazione è venuta male, per giunta: perchè se, chessò, Vittorio Feltri sembra un cinico e un furbo, Oriana e Ida si direbbero due isteriche.
Del resto è la chiave del loro successo: parlano con la pancia e comunicano con le pance altrui.
Il procedimento è estremamente femminile, solo che lo scenario è capovolto: pance che partoriscono odio e guerra dalle prime pagine dei giornali, guarda che novità.
Poi dice che sono quelli di Al Qaeda, che “preferiscono la morte”. E noi, ragazze?
Che succede tra le sorelle occidentali e i loro modelli, quelle che “ce l’hanno fatta”?
Che figlie stanno tirando su, queste madri simboliche?
Che avremmo pure delle responsabilità, noi, visto che siamo convinte di essere modelli da esportare.

In Egitto si celebra una strana Festa della Mamma, che è festa nazionale.
I ristoranti preparano menù speciali e/o offrono il pasto gratis alle mammà, i negozi di regali traboccano di gente, i fioristi fanno l’incasso dell’anno, gli egiziani festeggiano.
“Diciamo grazie”, ti spiegano.
Già: nelle società conservatrici, le donne tengono insieme i fili del tessuto sociale. Le enormi famiglie egiziane girano attorno a loro, e questa è una società basata sul senso della comunità, più che sull’individuo. La famiglia è importante.
“La scuola è maestra di vita”, cercavo di spiegare ai miei studenti tempo fa. “Ma no! La madre è maestra di vita!” mi spiegarono in coro. Ed è che hanno un proverbio che lo dice e loro, per associazione, me lo tirarono fuori: “Tutto quello che un uomo sa, lo impara da sua madre!”. “Ma va’?? Dite così, voi??”
E loro convinti, tutti ad annuire.

Noi siamo individualiste, invece.
Guarda me: con la famiglia sparsa in un altro continente, eccomi in Egitto a “realizzarmi”, come si diceva un tempo.
Poi però mi chiedo se siamo davvero capaci, di essere individualiste e di pagarne il prezzo: lo spazio tolto all’amore, banalmente.
Quante ce la fanno, a tenere insieme tutti i fili o a vivere serenamente senza e quante, invece, si perdono per strada?
(Una guarda le donne della generazione prima, per sbirciare nel proprio futuro: la generazione prima della mia ha fatto il ’68. Come state, sessantottine?)

La rabbia della Fallaci e della Magli mi fa paura.
Quando ero ragazzina erano due modelli: la Magli la citai nella tesi di laurea, pensa te.
Sembra di vedere le proprie madri travolte dall’odio, irriconoscibili.
Ma queste ragazzotte che, con addosso un’uniforme, si mettono a torturare e ad abusare sessualmente dei loro prigionieri mi fanno solo supporre che non ce ne saranno molte altre, di generazioni, dopo la nostra.
Ci proponiamo come modello e, mi viene da pensare oggi, non ci accorgiamo che siamo morte.

E’ una brutta giornata per le donne occidentali, questa.
La più brutta che si potesse immaginare.
E, da queste parti, mi sa che come “modelli” per le sorelle arabe abbiamo chiuso.

(Ma ti ricordi, solo nel ’91, quando gli iracheni fecero prigioniera la soldatessa USA e lei, una volta libera, raccontò che erano stati tutti gentili, i suoi carcerieri, “quasi galanti”, e l’unica cosa che le era mancato era lo zucchero nel caffè? Chissà quanti se lo ricordano, ed era solo il ’91.)