Alle sei del mattino entri stravolta in un bar e, rispolverando i brandelli di arabo che ricordi, chiedi: “Qui è proibito fumare?”
E il cameriere: “Sì”.
E tu: “Ma io posso fumare?”
E il cameriere, sorridendo: “Sì”.
Bentornata al Cairo, signora, e la tranquillità che ti cala addosso è quella di una che non se ne è mai andata.
Guidata da un istinto a cui urgeva passarmi la fattura di qualche migliaio di peccati da scontare, ho trovato il modo di arrivare da Milano al Cairo mettendoci 24 ore esatte.
Piccola fiammiferaia a Cadorna, carica di borse e immortalata in una dickensiana istantanea che finirà in un album non tuo, e la regali volentieri.
Bucarest.
Amman.
Cominci a trovare pace sorvolando le luci di Beirut, poi quelle di Damasco, e la stanchezza ti comincia a portare via dal grumo fangoso che è la tua identità da mesi e ti si liberano i pensieri uno ad uno, mentre sonnecchi con la fronte appoggiata al finestrino dell’aereo, e infine Amman-Cairo e ricordi, finalmente.
L’islam, per esempio.
Ricordi di avere capito, in qualche momento di tanti anni fa, che era una forza e una risorsa liberatoria, l’islam.
La strada verso un’armonia intelligente con il creato e con se stesse.
Non “la cosa che fa impazzire la gente” a cui pensavi ultimamente domandandoti quanto fossi impazzita tu.
Te lo ricordi, cos’era.
Non ti sbagliavi, non hai frainteso, ti sei solo un po’ persa di vista. Sorvoli tutte quelle luci chiedendoti quando le bombarderanno eppure ti senti in un mondo normale, per la prima volta da mesi.
Oppure sei tu, quella che comincia ad essere normale.
Al Cairo dall’alba di ieri, faccio l’ex naufraga avvolta da una coperta.
La coperta della città, della sua alba, tra tè caldo e sigarette di puro sollievo e libertà, e le persone che abbracci e guardi come se le avessi lasciate ieri, la cena al CRI, la Sakara al Marriot e ti riempi gli occhi di cose belle, e più ne vedi e più ricominci a ragionare.
La condivisione delle inquietudini con chi ti somiglia, e trovare qualcuno che mi somigliasse era impossibile, fino al giorno prima.
E, soprattutto, la coperta del collega che ha letto e compreso il mio grido di aiuto di un post di qualche tempo fa, e “Salviamole la vita!”, deve essersi detto, e ha messo le birre in frigo per la naufraga.
Sarò parca nell’esprimere la mia gratitudine al collega, ché qui siamo tutti un po’ gatti, ma ce l’ho stampata nel cuore e lì rimane, a buon rendere.
Grazie, tu: non capita tutti i giorni, che ti salvino la vita, ed io sono una tipa fortunata. Grazie per ‘sta coperta: tu non sai che freddo faceva, lì in alto mare.
Dal naufragio a casa, direttamente, senza nemmeno passare per uno scoglio o una spiaggia. Birra fredda in frigo e le stesse inquietudini sul tavolo, le stesse domande.
Una non è un grumo informe: ha solo un’identità che condividono in pochi. Grazie per l’ossigeno, grazie per l’aria.
Ed eccomi qua, mentre il collega vola verso l’Europa.
In una casa bellissima, grande quanto venti case mie di Milano, un terrazzo con le bouganville tenerelle a cui dare da bere con tutto l’amore che potrò, l’odore dolce e fumoso del Cairo che entra dalla finestra, un materasso egiziano altissimo da principessa sul pisello (ma “con le molle tedesche”, naturalmente) in cui dormo senza incubi, finalmente, e il succo di mango e le vitamine che mi mancavano, il suo Illy e il mio Kimbo, e il mio quartiere, ché casa mia è a pochi passi da qui e conosco le strade, i negozi, la rete di sopravvivenza e mi muovo come se non me ne fossi mai andata, sono qua.
Sono tornata.
Andarmene da questa città sarà un massacro, e non ci voglio pensare.
Sono qua, donna fortunata.
Dieci mesi esatti, da quando me ne sono andata.
Ho cercato di capire cosa fosse cambiato, in questi dieci mesi che mi sembrano un sogno in cui ho desiderato di morire per la maggior parte del tempo: sono invecchiata. E’ cambiato solo questo.
Mi vedo, che cammino per strada con meno mondo e meno vita davanti. Infinitamente più stanca e più spenta.
Più spaventata. Spaventata dall’idea di tornare e di tornare a tradirmi, tradirmi senza fine.
E capace di essere felice, però: questa felicità che ti ruggisce dentro, quando sei dove vuoi essere.
Una leonessa, ti salta addosso e ti mangia.
Mi lascio mangiare. Mi lascio mangiare intera, non metto da parte neanche un pezzo. Non mi serve.
E il resto, boh.
“Lascia che tutto decanti, lascialo decantare.”
Oh, sì.
Trattiamoci un po’ bene, dai.
Bentornata, principessa, il Cairo era più triste senza di te, e il tuo sollievo si sente anche da qui.
Ben arrivata a casa, Lia, con sincerità e simpatia…
assurdo..quant’è assurdo sentir parlare te dell’egitto così,del cairo così…sentire qualcuno che prova certe emozioni che io non riesco a descrivere ai miei amici italiani…starai tanto laggiù? io scendo ad alessandria ad agosto,ma poi speravo di passare per la grande città..e se sei là mi farebbe davvero piacere conoscerti…m’immagino, in un tavolino di un “ahwa” qualsiasi, due italiane (io un poco meno) davanti a “etnen shai bel ne3na3”..:)… sarebbe un incontro altrettanto assurdo…:)
ciao ciao
rasha
sì, lascialo decantare, Lia, come il vino, come il buon bicchiere di vino che devi bere alla tua salute, la sera, su quello splendido terrazzo..
Alla tua, benarrivata..
e qualcosa di simile per me ogni volta che torno nella “mia” citta’, laggiu’, da quelle parti. la ho lasciata da dodici mesi io. ed ero sul punto di tornare. ma poi si e’ allonatanata di nuovo. mi si e’ spezzato il cuore. piu’ vecchia. si, e’ cosi’ che anche io mi sento. e infinitamente triste. Laura
Lia, sono così contenta per te – ma anche perché la felicità ti fa scrivere stupendamente e ne godiamo tutti. Laura, spero che ance tu potrai presto tornare nel tuo vero luogo. Claude
Sono commossa. Sul serio.
E sono felice che tu sia tornata lì dove sei davvero Tu.
Lo sono sì per te, ma indirettamente anche per me, e per tutti noi che ti seguiamo sempre con tanto affetto.
Solo dal Cairo ci puoi scrivere così.
Alla fine l’ho capito. :_-)
Gòditela. Il Cairo. La Vita.
Un meritato abbraccio di cuore,
Pina
felicissima di sentirti così :))))
Ciao Lia,
fa piacere sentirti risollevata!
—
Giovanni
Ben tornata Lia!!!Come ti capisco…il Cairo è unica al mondo!La nostalgia che provo ogni volta che vedo una foto o leggo cose come quelle che scrivi tu, che richiamano alla vita quotidiana cairota, così semplice e così bella nella sua semplicità…mi chiedo cosa sto facendo qui e cosa aspetto a tornare nella mia patria adottiva. Il Cairo e le passeggiate serali in una città che non dorme mai, il fresco e la pace all’interno delle mille moschee, l’appello alla preghiera che colpisce l’animo e ti fa sentire la perenne presenza di Allah. La gentilezza del negoziante vicino casa, che magari ti frega qualche lira, ma lo fa con quel sorriso disarmante e perchè in fondo c’ha 8 figli e dovrà pure arrangiarsi no? Il calore umano, il profondo senso dell’amicizia, la curiosità per gli altri esseri umani, che se ti siedi in una caffetteria da solo, dopo dieci secondi già puoi parlare con qualcuno veramente interessato a sapere chi sei, che prova subito a farti sentire a tuo agio e se scorge un tuo amore per il suo paese lo vedi che è felice che anche in occidente ci sia chi l’apprezza questa cultura e vi si rapporta con rispetto, curiosità e voglia d’imparare, senza sentirsi il primo della classe solo perchè viene dal cosiddetto primo mondo. Ya Masr, umm ed-dunya!
L’islam è abbandono fiducioso in Allah, il Dio, senza abbandonare il mondo, e qui è la radice della sua forza e del suo equilibrio e la sua possibilità di non mitizzare, nè squalificare le realtà dell’uomo e del mondo. E il sentiero non è tutto da inventare, è da vivere personalmente, ma alcune parole ci sono state date.Dio ti guidi Lia, buone vacanze
Sì, Patrizia, ma una è anche un po’ stufa dell’ossessione per la retorica, delle mille formule ripetute come un mantra e sostanzialmente usate per coprire contraddizioni e incoerenze come è difficile vederne altrove. Dell’abisso tra il dichiarato e l’agito. Dell’occhiuto controllo del comportamento altrui, del misurare il prossimo in base a parametri formali ed esteriori. Del non sapere guardare con sincerità dentro se stessi che è tipico di tanti di questi alfieri della fede.
E potrei andare avanti per un mese.
Capita con tutte le religioni, lo so. Però i musulmani, forse proprio per la costante presenza di una disciplina, nella loro pratica religiosa, tendono più di altri al rischio di precipitare in un formalismo vagamente (e a volte più che vagamente) schizofrenico. E a volte persino un po’ perverso.
Personalmente, non sopporto più nemmeno un milligrammo di retorica: così come non mi piacciono le roselline e i merletti tipici di una certa estetica araba, detesto le parole vuote usate a mo’ di orpelli e basta. A me piacciono le cose vere, guarda un po’ che pretesa.
Saranno dieci anni che giro attorno all’islam. Ho capito che la scelta dei musulmani con cui dialogare deve essere mostruosamente oculata, ché altrimenti rischi di rimbalzare dall’altra parte del globo e non tornare mai più.
C’è un problema, Patrizia. Non con l’islam, ma con molti, moltissimi musulmani, e in Europa lo senti infinitamente più che qua dove, grazie al cielo, la gente ci è nata ed è in grado di viverlo (spesso, non sempre) con una normalità maggiore.
Poi possiamo anche fare finta di non vederlo, certo.
Col fiato sul collo che ci si ritrova addosso, fare muro e non interrogarsi è comprensibile e magari anche saggio.
Però il problema c’è.
Io lo vedo.
Tu, non so.
Lia ben tornata a casa!
Quanto ti fermerai? Dopo i disastri di Gaza francamente ho sperato che tu non ci andassi più da quelle parti.
Ti si vuole tutta intera noi!
Un bacio grande :-)
L’Islam è meravigliosamente semplice e legato alla natura dell’uomo. per questo si dice “ritornare” all’islam e non “convertirsi”, proprio perchè l’essere umano ritorna alla sua vera natura. Il grande pensatore pakistano el Mawdudi riesce a descrivere molto bene questo concetto. Il rapporto tra uomo e Dio nell’Islam è diretto, senza intermediari, il Sacro Corano, la vita ed i detti del Profeta (sas), l’ijma (il consenso della comunità), il qiyas (analogia) e l’ijtihad (lo sforzo interpretativo) sono gli elementi che compongono la cosiddetta “shari’a”, la legge dell’Islam, la via da seguire. Ma sottolineo l’importanza dell’ijtihad, che ci permette di risolvere questioni che un tempo non si presentavano, ma che oggi caratterizzano la nostra vita. L’Islam deve riaprire le porte dell’ijtihad, è fondamentale. E quindi basta con le interpretazioni letteraliste. Inoltre ognuno dovrebbe sforzarsi di ampliare al massimo le proprie conoscenze, in modo da non doversi trovare in condizioni di sudditanza psicologica nei confronti dei molti mentecatti che pretendono di giudicare gli altri e di conferire attestati di religiosità. Aggiungo che molte volte troviamo il concetto, sia nel Corano, che nella sunna del Profeta (sas) che l’Islam è una religione ed un metodo che deve semplificare la vita e non per complicarla, il fanatismo non è cosa dell’Islam, religione della “via media”.
Purtroppo uno dei danni provovcati dal clima di islamofobia che ci circonda è anche quello di soffocare il dibattito interno alla comunità islamica. Quando si è costantemente sotto attacco bisogna stringersi ed a pagare è la comunità stessa, che trova difficoltà a ragionare, mettersi in discussione, svolgere quel lavoro di critica e autocritica così necessario per potersi evolvere e poter crescere.
E a breve ci sarò pure io, silenziosa e impercettibile.
Applauso ad Abu Yassin, intelligente ed efficace.
Pedro: me ne sto qua un mese e rotti.
A Gaza, come mi disse il tale, forse avrebbero più bisogno di combattenti che di prof, al momento.
Sì, lo vedo e lo vedo da vicino il formalismo è il pericolo maggiore per una religione come l’islam in cui la Tradizione ha tale importanza. Però vedo anche l’altro versante,e cioè il pericolo di crearsi un islam immaginario, imbastito su misura, sul proprio sentire, prescindendo dai testi normativi. E qui in Occidente tendiamo, come cultura verso il secondo, qui sembra che basti sentire una cosa, sinceramente, perché essa sia, ipsofacto, vera. I musulmani occidentali sono a volte un po’ goffi, divisi tra le proprie radici soggettivistiche e l’anelito ad una tradizione immutabile che li preservi da ogni incertezza.E’ che il modo di essere musulmani occidentali è tutto da costruire e non si può costruire che nel confronto tra la cultura occidentale e la Tradizione islamica,non si possono accostare semplicemente le due realtà, né eliminarne una. Ma il cuore dell’islam è il Corano e l’esempio del Profeta, non si può prescindere dal conoscerli e da lasciarsi guidare dalle loro parole. Certo, con intelligenza e sincerità.
…Cara Lia, non ho ancora finito di leggere che ho già gli occhi umidi e il nodo in gola!! Bentornata e tanti duà!
Khadi
Certo, con intelligenza e sincerità.
Come affermi anche tu.
Io credo che l’obiettivo che una dovrebbe prefiggersi (parlo di donne perché mi viene più facile e perché trovo che siano un bel problema, nell’islam italiano) sia quello di uno sviluppo armonioso di se stesse, della propria presenza nella società e, perché no, del proprio ruolo di ponte tra chi è occidentale senza essere musulmano e chi è musulmano ma vive in Occidente da immigrato.
Armonioso, ho detto: smettere di andare in spiaggia a 40 anni perché di colpo hai problemi col costume da bagno (o rischiare l’annegamento perché fai il bagno col cappotto) non è armonioso e comunque non mi pare la cosa più importante da precipitarsi a fare, specie se poi rimani la stessa personcina problematica che eri quando ti mettevi il costume.
E se le musulmane italiane si fanno vedere solo per questo, perché fanno il bagno col cappotto, diciamo che non offrono una testimonianza invogliante della ricchezza di questo genere di percorso.
Trovo che le donne abbiano una particolare responsabilità nel farsi sentire, nel conquistarsi ascolto e rispetto e, anche, nell’aiutare gli uomini musulmani ad essere migliori di quello che tendono ad essere quando confondono la religiosità con il potere.
Sarò sfortunata io ma, tutto questo, in Italia non l’ho visto.
Ho visto molto diffuso il vezzo di rimanere minorenni a vita.
Ho visto un’imbarazzante ossessione per i veli o le mancanze di velo altrui, i costumi da bagno altrui e roba del genere, usati come cartina di tornasole di chissà quale moralità o spessore etico, in genere del tutto assente nelle (per carità: velatissime!) tizie che passano il tempo a sentirsi pie e a descrivere come empio il prossimo.
Ho visto una grande debolezza e una desolante mancanza di sincerità di fondo. A volte inconsapevole, persino.
Un’ambiguità che rimane attaccata addosso con la colla delle formule consolatorie, ripetute senza pensare e/o per non dire cose più vere, più aderenti alla realtà del momento.
Ho visto donne poco felici, in genere.
Non so: non ho voglia di fare esempi e non è il caso, ovviamente, ma quello che ho visto non mi è piaciuto.
In Egitto trovi l’inetta e la bigotta, ma trovi anche la donna pensante, la donna in gamba, quella che sa lavorare e sa farsi rispettare, quella che non ha bisogno né voglia di vivere in un pollaio di femmine, magari competitive sul nulla.
Esiste una tradizione di femminismo in chiave islamica, in Egitto e non solo, di cui l’Italia è priva di traccia. Mi pare.
Non so: non sto scrivendo un post ragionato, sto solo buttando lì delle considerazioni che ho elaborato solo in parte.
Però mi pare che ci siano dei problemi, nell’essere donne musulmane in Italia, e che spenderci qualche riflessione sarebbe una buona idea.
Mi offro volontaria per maltrattarvi, se può esservi utile. :)
Insomma Lia, ‘sti mullah predicano e commentano bene ma razzolano male, eh?
Povere musulmane italiane! Fortuna che possono farsi “maltrattare” da te, magari non diventeranno “pensanti” come quelle egiziane, ma forse, almeno, più “ragionevoli”, no?
Toh, un blog rifiorito… :-D
Magari mi sono persa un paio di puntate ma mi è rimasta la curiosità di sapere che fine hanno fatto i tuoi gechi, quelli che avevi in bagno…
Un bacio
Cara Lia, contentissima e grata del tuo aiuto. Certo l’essere donna musulmana in Italia, e negli altri paesi occidentali, richiede un maggiore sforzo che quello di essere uomini, perché il ruolo della donna culturalmente è mutato più di quello dell’uomo nell’ultimo secolo, e quindi diventa indispensabile distinguere ciò che appartiene originariamente al cuore dell’islam e ciò che invece è espressione delle culture in cui esso si è sviluppato. Questo è il lavoro che fa il femminismo islamico, su vari versanti, si muove cioè all’interno della religione stessa, per porre dei distinguo tra culturale e religioso. Molte delle cose che lamenti sono vere:spesso il foulard e il coprirsi tende a prendere un posto e un valore esagerato, come tu sai io sono una di quelle che lo porta, senza però credere che esso riassuma la virtù, è un gesto fra altri e neppure il più importante. Se lo porto è perchè ho capito che il tenere legato il corpo e lo spirito, come si fa nella cultura islamica serve: il comportamento deve essere dettato da una scelta spirituale, ma poi c’è un movimento di ritorno. Quello che mangio, come mi vesto condiziona a sua volta il mio pensiero, lo rafforza o lo indebolisce. Noi occidentali ci pensiamo spesso come un cervello su due gambe, o comunque pensiamo di avere una distanza dal corpo molto ampia, nella tradizione islamica, tutto è collegato, per cui trovi norme spirituali e norme di abbigliamento e di alimentazione, ed esse, pur non negando una scala di valori, si trovano comunque insieme per un giusto essere musulmani. Certo, bisogna che l’abbigliamento non diventi l’emblema centrale dell’essere donne musulmane. Se uno guarda alla successione delle sure nel corano, nelle più antiche si parla di fede, della necessità di essere giusti e misericordiosi con chi ha bisogno e del Giudizio Finale. Il discorso sul vestire, le norme alimentati ecc. vengono molto più tardi. Questo dovrebbe essere il cammino e non viceversa.Quanto ad una certa immaturità a vita questa è dovuta ad un’educazione iperprotettiva verso le donne, però mi sembra, che noi italiane, avendo radici diverse non ne soffriamo.La felicità? Ecco vorrei dire una cosa su questo. Non è che l’avere fede sia una garanzia sulla felicità, su una pace senza dubbi e lotte, non è che la fede renda le persone meno complicate: una è quella che è, e se il suo fondo è problematico tale rimane, e con quello cercherà Dio. Avere fede è di più, è coscienza dell’esistere di Dio e del Suo irradiarsi nella vita, del nostro andare verso di Lui, è fede in una terra al di là della morte, dove c’è giustizia, perché ognuno sarà veramente come ha scelto di essere, come si è costruito con le proprie azioni.Certo che uno si deve sforzare di essere sincero e giusto, ma il centro è un altro, i credenti sanno che l’uomo è fragile e contano su Dio, sulla Sua misericordia, non su se stessi. E’ un decentrarsi, scoprire che al di là del proprio ombelico, bello o brutto che sia, c’è dell’Altro e verso questo camminare, meglio che si può. E nello stabilire questo meglio che posso, guardo dentro me stessa e guardo a ciò che è stato rivelato, e cerco di avvicinarmici, nella misura in cui riesco. Uhm… la fede meglio chiederla a Dio e guadarci tra noi come compagni e compagne sulla stessa barca, chi meglio e chi peggio.Per quanto riguarda la sincerità, io la amo come te, e penso di esserlo sincera, se vuoi vedere di più di me te lo mostrerò… Nella cultura araba, io ho notato che ci sono forme di riguardo e di pudore che noi non usiamo: difficilmente si spiattella ad una persona ciò che si pensa, ma spesso ciò non è dovuto a falsità, ma ad un modo di rapportarsi agli altri, che tende a salvaguardare i rapporti familiari e di amicizia, anche sacrificando ciò che sale dal cuore. Scusami Lia se sono stata troppo lunga, buona strada.
Io sono ormai STREMATA e non so neppure se ci arriverò integra alla mia partenza.
Ho trascorso tutto l’inverno nell’incertezza totale di poter tornare lì, dove tu sei adesso.
Ho i biglietti da un paio di mesi, e in questo periodo mi sono più volte abbandonata al pensiero dell’arrivo in aereo, quando sono ancora su, in alto, e in quei pochi minuti, là sotto le nuvole, la mia mente è un brulichio di immagini e di percezioni, in cui il presente si confonde con le mie fantasie su tutto ciò che di lì a poco vivrò.
Orami ho stressato, cognato, cognate e nipoti tutti, perchè si inventino qualcosa, ricorrano a qualche espediente fosse pure magia sortilegio macumba, pur di fermare il tempo lì.
Ti sembra di notare qualcosa?
Non sò quale sarà il risultato, anche perchè io mi impegno, provo, a scrivere a mio cognato in “arabo” e lui, con mia, almeno iniziale, sorpresa, risponde in ITALIANO.
Pare, così ha detto, che ricorra all’uomo del gas.
Ora, siccome ad ogni mio messaggio, risponde praticamente nel giro di pochi minuti, mi chiedo che rapporto ci sia tra lui e l’uomo del gas. Io non l’ho mai visto, l’anno scorso, andarsene in giro con appresso un ” uomo del gas”.
Comincio ad immaginaro non terreno questo “uomo del gas”.
Allora penso all’estate scorsa quando in pieno centro, avendo sbagliato una strada e non volendo fare il giro del Cairo, chiede ad un poliziotto se può, se pur per un tratto non lungo, imboccare una via CONTROMANO, viene autorizzato e anche scortato per il tratto che deve percorrere.
Quindi imbocca la via e, fingendo di essere nel corretto senso di marcia, abbassa il finestrino e inizia ad apostrofare gli altri automobilisti che marciavano, naturalmente e correttamente, in senso contrario al suo.
Ed è tutta un euforia generale, neppure una piccola incazzatura.
E penso anche ad altri episodi della sua vita(lui non è un più un ragazzo) che mi fanno riflettere sul fatto che deve avere avuto accanto a lui sicuramente un “uomo del gas”.
E penso a quanto gli voglio bene, a quanto ho voglia di rivederlo.
E siccome mi ha detto che ha messo a punto la macchina per farmela guidare al Cairo, io voglio tanto bene anche al suo “uomo del gas”
Mi hai preso il cuore e ti ho sfornato un commento stralungo, che è più un post che un commento e poichè non mi pare molto corretto invaderti tutto lo spazio, ti lascio qua le prime righe e posto tutto sul mio blog! A presto ;-)
Sì, Lia: essere una donna musulmana in Italia è una catastrofe, davvero! Dal punto di vista interiore è una cosa meravigliosa, ma nessuno se ne accorge, vedendoti da fuori e questo crea infiniti problemi pratici, nella vita quotidiana di ognuna di noi.
Improvvisamente – s’impazzisce e – pfufh – ecco che sei musulmana e vuoi comportarti come tale (o come credi di doverti necessariamente comportare). Pronunci la shahada mentre qualcuno ti presta un velo in moschea e porti ancora i jeans aderenti e la canotta e il giorno dopo inizi a leggere gli hadith e, di colpo, vuoi fare tutto, preciso e perfetto come sta scritto sul “Giardino dei devoti” e su “La via del musulmano”, proprio uguale, che non ci deve mancare niente.
E quelli che ti stanno attorno si spaventano.
(continua…)