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Sono arrivata a Dahab la mattina di, boh, forse l’altro ieri, e non avevo dormito tutta la notte perche’ avevo da ristabilire l’ordine pubblico nel pullman.

Nel senso che eravamo tutti li’ pisolanti, nel suddetto pullman, quando all’improvviso si e’ sentito il rumore di uno schiaffo, poi un altro, poi una giapponesina che strillava come un’aquila, poi del trambusto, passeggeri che accorrevano, un ragazzotto parecchio confuso che si massaggiava la mascella e cercava di battere in ritirata, poi la giapponesina che lo afferrava dalla maglietta, poi i passeggeri perplessi e impacciati mentre il ragazzotto confuso gridava in arabo con l’espressione innocente e, insomma, la situazione era abbastanza chiara.
Il giovanotto, vicino di posto della giapponesina, le aveva messo una mano addosso mentre lei dormiva.
Ahime’.

Di conseguenza, e in qualita’ di unica altra donna presente nel pullman, sono intervenuta e ho chiesto alla giapponesina se voleva che mi sedessi vicino a lei.
“Yes, please!”, ha esclamato lei, e quindi il giovanotto si e’ andato a sedere al mio posto e intanto il pullman intero, molto soddisfatto per il buon esito della vicenda e lanciandomi un gran numero di “Ah, aiwa!” di approvazione, si faceva carico di spostare la mia roba mentre io mi facevo carico di tutelare la virtu’ della combattiva fanciulla fino a destinazione.
Quel che si dice ristabilire l’ordine sociale.

Poi ho cercato di difendere il buon nome dell’Egitto agli occhi dell’incazzatissima giapponesina che, in realta’, era coreana.
“Ma guarda che e’ molto insolito, normalmente queste cose non succedono, te lo giuro!”
Non l’ho convinta: “Io ho tratti asiatici e vengo rispettata meno delle europee”, era la sua teoria.
Mah.

E poi il resto della notte se ne e’ andato nella lettura di Palazzo Yacoubian, iniziato prima di Suez e non piu’ mollato fino all’ultima pagina, quando era ormai mattina piena e stavamo entrando a Dahab.
Intanto la coreanina continuava a ronfare felice, con ancora nelle orecchie la cuffietta del mio lettore mp3, condiviso con lei perche’ altrimenti avrebbe parlato tutta la notte del suo tragico evento e non mi avrebbe lasciato leggere.
“Ascolta un po’ di musica italiana, che’ sicuro che ti tranquillizza”, le ho detto all’uscita del Canale di Suez.
Alla terza canzone di De Andre’, era andata, con la testa che mi ciondolava sulla spalla.

A Dahab non c’e’ quasi nessuno.
Un po’ per questo, un po’ perche’, appunto, non dormivo da 24 ore, un po’ perche’ il mare stanca e un po’ perche’ questo e’, da undici anni, il luogo della mia pace, e’ successo che mi sono sdraiata sui cuscinoni del Funny Mummy, nel pomeriggio.
“Uh, ma come sono comodi!”, ho pensato.
E c’era una musichina bassa, il mare a un metro, la solita Arabia Saudita di fronte, l’aria in cui tutti dicono che deve esserci il bromuro, senno’ non si capisce l’effetto ipnotico che ha sulla gente, e, insomma, manco il tempo di mangiare mezza cosa e gia’ mi ero addormentata.
Come un sasso.
Li’, scalza, sui cuscinoni poggiati sui tappeti del ristorante Funny Mummy.

Quando mi sono svegliata era ormai buio ed erano passate quattro ore.
Mi avevano pure messo la mia brava candelina accesa sul tavolino.

Ho raccolto le forze necessarie ad alzare un braccio per chiedere un caffe’ e il ragazzone del locale me l’ha portato con un grande sorriso divertitissimo: “Thanks God! You’re alive!”.
“Eh, piu’ o meno”, ho detto io.
E lui: “Alhamdulillah!”
E io: “Alhamdulillah davvero, ho dormito una meraviglia!”

Sono i miei posti ideali, quelli dove ti puoi addormentare scalza al ristorante e svegliarti quattro ore dopo.
Una non chiede poi molto, per essere felice.

Di bombe parliamo un altro giorno, dai.