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Gli faccio, credo sabato: “Uh! Ma guarda stasera che bella luna!”
E lui, un po’ stranito: “E’ che c’è l’eclissi…”
Qualche notizia fondamentale te la perdi, in effetti, a non avere la TV.

Io non ho la tv perché non la so guardare, non per motivi ideologici.
In Egitto mi ero risolta a mettere la parabolica, visto che l’arredamento della casetta includeva un enorme catafalco detto televisione che in qualche modo funzionava. Ci avrò guardato tre telegiornali spagnoli in tutto e un po’ di Al Jazeera.
Non ci riesco, a starmene ferma lì davanti a guardare cose.
Alla fine, la usavo come radio. Su stazioni italiane abbastanza turpi, a dire il vero: qui, un debole per le canzonette non lo abbiamo mai nascosto.

Non sono portata per le immagini. Ho un tipo di sensibilità proiettata sulle parole.
Ci abbiamo l’intelligenza verbale, ci abbiamo. In quella visiva, mi sa che prenderei voti scarsissimi. Meno uno, suppongo.
Pensavo, quindi, che guardare la televisione è tutto sommato un’abilità.
Diffusa quanto vuoi, certo, ma pur sempre un’abilità.
E pensavo che non è vero, che chi non guarda la tv è uno snob o chissà cosa, accusa dalla quale ci si ritrova puntualmente a doversi difendere.
Perché io ci ho provato.
Ma seriamente, ci ho provato.
Pure nel monolocale microscopico che avevo a Milano, c’era una tv, e occupava un quarto del ripiano della cucina, lei sola. E il webmaster mi fa: “Ridagliela al padrone di casa, ché ti mangia un mucchio di spazio ed è inutile”.
E io: “Ma no, magari la guardo. Metti che succeda qualcosa, chessò, una catastrofe internazionale. Può servire.”
E lui: “Non la guarderai mai. Sprechi spazio per niente.”
Saggio webmaster.

Io credo di essere cresciuta con questa menomazione televisiva perché, da bambina, non ce l’avevo. La guardavo giusto quando stavo dai nonni, e poco: a letto dopo Carosello, rare eccezioni per Canzonissima. Lo Zecchino d’Oro. Il telegiornale. Basta.
E, nonni a parte, non ci siamo più incrociate fino all’avvento del marito, il quale ne era un patito furibondo. Ne ricordo il rumore, in quegli anni lì. Perché la verità è che fa rumore, la tv. Crea un rumore di fondo insopportabile. E’ come vivere in un bar, dal punto di vista acustico. Un chiacchiericcio perenne.
La sera imperava, il chiacchiericcio, e io mi rifugiavo a leggere in cucina. Chiudevo anche la porta, o la lasciavo socchiusa. Non era asocialità. Era che proprio non la sopportavo, non riuscivo a leggere seduta lì davanti.
Fui lieta di spegnerla, quando mi separai.
Un sollievo.

Questa mia incapacità, per altri versi, mi ha permesso di godermi con fervore forse degno di miglior causa alcuni momenti di volontaria condivisione di momenti televisivi specifici.
Ho un vivo ricordo di una trasmissione di Arbore seguita a letto col mio primo amore, da micro-ragazzina, condividendo un piatto di banane affettate e cosparse di Nesquik.
Ne ho un altro, di qualche decennio dopo, in cui è il primo giorno dell’anno e, sempre dal letto, ci guardiamo un film di Totò, io e il webmaster, condividendo pandoro con la nutella.
Mi accorgo che esiste un certo parallelismo, tra i miei due momenti di entusiasmo televisivo.
Si vede che devo avere un setting preciso, per apprezzarla.

Ah, e alcune partite di calcio.
I mondiali di Spagna, fondamentalmente.
Insomma: forse ci stanno in un post, le cose che ho visto per televisione.

Quello che gli altri scambiano per snobismo, secondo me, è un fenomeno parecchio semplice nonché inevitabile: l’indignato e insormontabile fastidio che proviamo, noi antitelevisivi, quando capitiamo davanti a un programma, un telegiornale o – massimo del trauma – una pubblicità.
E che è dovuto, molto semplicemente, al fatto che non siamo abituati.
Ci manca l’assuefazione. Che dico, la pura e semplice dimestichezza.
Come quando fai bere un bicchiere di vino a un astemio e quello ti crolla sul tavolo.
E’ la stessa, identica cosa: mi fai vedere una pubblicità scema e io ci rimango male.
Sono capace di riflettere sulla fine del mondo prossima ventura per il resto della serata, tra me e me. Non rimango indifferente.
Poi, magari, non faccio una piega davanti a cose che, per altri, sarebbero motivo di destabilizzanti moti interiori: certe bestialità degli alunni, disorganizzazioni o dissesti urbani vari di egiziana risonanza o, chessò, uno scarafaggio in casa.
Ché qui non ho scarafaggi e formiche, grazie al cielo, anche se la tendenza a non lasciare cibo in giro per non attirare bestie non mi abbandonerà mai più, credo.
Però, ecco: comunque sia, l’apparizione di uno scarafaggio sconvolgerebbe i miei criteri di normalità molto, ma molto meno dell’apparizione di una pubblicità di un tonno in scatola.
A quest’ultima, non sono preparata.

Invidio il piacere con cui l’amica mi dice che va a vedersi quella cosa misteriosa che si chiama Lost.
Rifletto sulla tolleranza che deve sviluppare chi è abituato a sentire parlare in tv certi orripilanti personaggi di cui io non potrei ascoltare due parole di fila.

Mi domando, anche, se la propensione a leggere blog che non ci piacciono sia figlia di questo training da telespettatori: io non li leggo, i blog che dicono cose che mi infastiscono, e mi stupisce da morire che ci sia gente che mi legge – alcuni da anni, giuro – detestando ciò che scrivo.
Credo derivi dall’abitudine alla tv, questo fenomeno.
Chi cresce sostituendo – completamente, dico – la tv con la lettura non la sviluppa, la capacità di dedicare tempo a linguaggi in collisione con il proprio.
I libri, i giornaletti, si scelgono. Quelli che non ti piacciono, li scarti subito.
E’ con la tv, che rimani fermo a guardare comunque.
Evidentemente, ci si prende gusto. Credo.

Non riuscire a guardare la tv è, in conclusione, una caratteristica lievemente invalidante di alcuni esseri umani, tra cui mi includo.
Insormontabile come l’incapacità di capire la matematica, di imparare le lingue.
Problematica per i rapporti sociali, come una lieve balbuzie.
Indice di scarso sviluppo dell’intelligenza visiva, e del resto non sono nemmeno una grande appassionata di cinema e, comunque, mi piace quello parlato: il mio film ideale potrebbe essere tranquillamente l’immagine fissa di due che dialogano.
E’ una caratteristica a cui ci si affeziona, però, e che si finisce col rivendicare, a mo’ di Antitelevision Pride. Ne concludi che ne sei fiero, e tanto vale che sia così.
Non ci potresti fare nulla comunque.

Un tempo, chessò, si apprezzava un lieve strabismo nelle donne, e le signore che ce l’avevano ne andavano fiere.
E’ il lieve strabismo dell’epoca in cui mi tocca vivere, non guardare la tv.