I vecchietti di Genova si caratterizzano per il cattivo umore.
Se, per dire, sei in autobus e ti viene in mente di sederti in uno dei posti riservati agli invalidi, il vecchietto si avvicina con la faccia cattiva e ringhia.
Non girano attorno ai concetti, no.
Alla velocità del lampo, ti alzi.
Io credo che il cattivo umore sia dovuto al fatto che qui è pieno di salite.
Un vecchietto, un mondo fatto tutto di salite deve percepirlo come ostile, per forza.
D’altra parte, le stesse salite devono essere le artefici di tanta energia e spirito combattivo.
Il vecchietto genovese va dritto per la sua strada cercando di risparmiare il fiato e di non farsi ostacolare, ed è ben allenato.
Ce ne era uno seduto in piazza l’altro giorno, qui in centro storico.
Dico “piazza” perché faccio progressi nel mio processo di integrazione, ovviamente. I primi tempi dicevo “piazzetta” e tutti mi correggevano: “Guarda che è una piazza.” Osservavo i due metri per tre e mormoravo: “Piazza..?”
Sì, piazza. Qualcosa da dire?
No, figurati. Piazza, ok.
Era seduto ai tavolini del bar in piazza, dicevo, e non l’ho notato per il cipiglio, ché quello è scontato, né per il modo un po’ rigido di stare seduto.
L’ho notato perché aveva davanti un piattone di prosciutto e mozzarella e un bicchierone di vino bianco, e a me i tipi gaudenti piacciono. “Asciutto e gaudente”, ho registrato in un angolino della mia mente apprezzando l’insieme, e poi mi sono distratta parlando con qualcuno.
Poi c’è stato un botto e il vecchietto era a gambe all’aria, caduto all’indietro con tutta la sedia.
La gente accorre, lui non si muove.
Rimane a terra un bel po’ e la scena, nell’insieme, non fa una grinza: la partecipazione della piazza è totale ma discreta, con il giusto numero di persone a soccorrerlo senza che ci sia ressa né confusione. Gli altri, me compresa, osservano preoccupati. Quando lo rimettono sulla sedia facciamo tutti l’aria disinvolta per non imbarazzarlo, ed è che lui pare scocciato sul serio. Il cipiglio è inenarrabile, a quel punto.
Sta seduto, si dà un tono ma è scosso.
Si pensa di lasciarlo in pace, lì per lì, ma un tizio va dal padrone del bar e gli fa: “No, senti, chiama un’ambulanza. E’ pallidissimo, io dico che sta male.”
E’ un tossico, quello che vede il pallore del vecchietto e reclama l’ambulanza.
Vedi, come funziona l’empatia.
Chi sta bene fa presto a darlo per guarito. Lo si vorrebbe lasciare in forma davanti alla sua cena: è bello pensare che sia tutto a posto, una volta ripreso posto sulla sua sedia.
Il tossico, no. Lui capisce.
E chiamano l’ambulanza, quindi. Il vecchietto ringhia e poi si rassegna.
E due tizi che erano seduti lì vicino a prendere l’aperitivo si alzano, con l’aria più normale del mondo e con gli aperitivi in mano, e vanno a sedersi al suo tavolo.
Fanno conversazione, gli tengono compagnia.
Così, chiacchierando del più e del meno.
Per non lasciarlo solo.
Sorridenti.
Poi arriva l’ambulanza e se lo portano via, traballante. Sorreggendolo. Faceva finta di stare bene ma non si tiene sulle gambe, porca miseria.
E i due riprendono gli aperitivi e tornano al loro tavolo, continuano la loro serata.
Guardo la faccia preoccupata della cameriera che si porta via il prosciutto, la mozzarella e il bicchiere di vino bianco.
Sono dispiaciuta.
Tradito dalla salute a un passo da una bella cena, il vecchietto.
Ti si stringe il cuore, per forza.
Il vecchietto, non l’ho più visto.
Questo modo che hanno a Genova di essere civili, con una discrezione che non è indifferenza, mi è invece capitato di vederlo altre volte.
Questi austeri gaudenti che ho per concittadini ci sanno stare, al mondo.
Lo penso spesso.
Ma che bello saperti a Genova cara Lia.
Avrai mica trovato il posto che fa per te? In fondo l’importante è rimanere nomadi nell’anima.
Un bacio
Cara Lia, tu dovresti scrivere dei racconti e pubblicarli. Questo, è ironico e drammatico al tempo stesso, un racconto che sembra leggero ma non lo è… spero che il vecchietto stia bene… inshallah!
Ayah
E’ tutta un’altra cosa rispetto a Milano, eh? :-)
Sembri proprio ambientata Lia. Sono molto contenta.
Un bacio.
Quindi Genova ti sta lentamente convincendo a non ripartire per l’Egitto? :)
Dio mio, come ti invidio Lia cara!
Grazie per il racconto e spero che tu accetti anche una domanda di soccorso ad alta voce.
APPELLO
Ho sentito della proposta di far partecipare i talebani al tavolo della pace.
Condivido, nella speranza che esista qualcuno, riconosciuto, che li rappresenta, altrimenti potremmo fare un giochino con Tizio poco dopo smentito da Caio e da Sempronio, pure in disaccordo fra loro su qualche surrettizia opinione religiosa.
I talebani però non sono solo guerrieri o guerriglieri che dir si voglia, ma anche distruttori dei diritti umani non solo occasionali (come capita nei rapimenti).
I talebani sono soprattutto programmatori della negazione dei diritti nei confronti delle donne.
Io ricordo donne afgane in Italia che molti anni fa chiedevano di esserne liberate perché era loro negata non solo ogni visibilità fisica (attenzione il burqa non è il velo islamico!) ma soprattutto era negato lo studio, l’esercizio delle professioni, la cura della propria salute, la tutela della maternità …
Ora le donne sono le prime vittime – consapevoli – della “politica talebana”.
Perché non identificarne un gruppo, un’associazione o altro che abbia una qualche visibilità e rappresentatività e proporne una presenza alle trattative di pace, come detentrici di un diritto primario ad autorevolmente interloquire con i talebani?
Forse che l’Italia non è andata militarmente in Afghanistan per difendere i diritti umani (che non sono oggetto di beneficenza, militarizzata o no che sia)?
Il diritto di parola non può e non deve essere fondato solo sulla consuetudine all’uso delle armi, né la pace può essere umiliata a una non-guerra.
Augusta De Piero – Udine
Forse perché conosco i genovesi e anche perché non sono più tanto giovane nemmeno io, ma il tuo post mi ha quasi commosso.
Grazie, auguri al vecchietto e tanti ringraziamenti a quelli dell’aperitivo.
grazie. perché ogni tanto vengo qua e leggo su e giù. così, grazie. ciao
Si, è bello questo sguardo attento al dettaglio, al come le persone interagiscono discretamente, alla possibilità che si attenzione senza clamore :-)
Il confronto con Milano si sente ancora parecchio… io non vivo in centro ma ci ho lavorato per un po’ di anni in un ufficio di Via San Lorenzo, in uno dei palazzi con le volte a crociera nel vano scale e ora, leggendo i tuoi commenti sulle stesse viuzze che calpestavo io, mi domando se è proprio vero che questa città sia davvero così bella.
Sarà che io in questo “essere civili con discrezione” ci sono cresciuta e quindi ho la tendenza a vederne di piu’ gli aspetti negativi ma a volte le cose delle quali parlavi quando descrivevi gli abitanti della “vegia Milan”, un po’ li ritrovavo pure qui… quindi aspetto di rileggere i commmenti su Zena fra un annetto.
Sempre che tu ci sia ancora..
Qui a Zena intendo, nè :D
Bello quest’aspetto dei Genovesi.
Hanno dentro l’unanità della cittadina di provincia, pur essendo una grande città.
Qui a Roma avviene l’esatto contrario al centro o in altri luoghi della città; mentre in altri quartieri si può trovare la stessa umanità di Genova. Mi spiego meglio. Tempo fa è morto un passante a Piazza Venezia, alla fermata dei bus. Il poveretto si era sentito male, ed è morto lì dopo 2 ore d’agonia sull’asfalto, nessuno ha trovato il tempo di chiamare i soccorsi.
Nel mio quartiere, di sane tradizioni popolari, una cosa del genere sarebbe inconcepibile, grazie a Dio.
Per quanto riguarda i talebani, trattare una pace è un dovere, a meno che non si voglia la pace. Troppo importante il controllo economico del narcotraffico.
Una cosa non comprendo (e fosse solo questa): gli americani che si scadalizzano per lo scambio di 5 prigionieri per Mastrogiacomo. Lo hanno fatto per primi loro, l’anno scorso.
ho voglia di tornare a genova…
io ho un amore “sviscerato” per la liguria e per i liguri. in passato mi è capitato di starci per lunghi periodi ed è vero, i liguri sono così. ancora adesso, tutte le volte che ci vado, ci lascio sempre un pezzetto di cuore…
nei tuoi racconti fai sembrare genova così bella e mi fai venire una gran nostalgia di “casa”. Forse è vero che quando nasci e cresci in un posto hai una visione falsata della realtà sia nel bene che nel male e certi aspetti non riesci a coglierli.
Ogni tanto passo da queste parti e leggo qua e la. Bello e commovente il racconto. Brava!