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Ho cominciato a intuirlo a Natale, che avevo un problema.
Quando, causa famiglia riunita sotto il mio neo-tetto, ho inaugurato la cucina, messo a cuocere il ragù e mi sono accinta a metterci dentro il basilico.

Lo spezzo, sento un odore strano, lo annuso, mi dico: “Ma questo non è basilico!” e chiamo mio fratello, allarmata: “Senti, scendi dal fruttivendolo e fatti dare del basilico, ché devono essersi sbagliati: a te questo pare basilico?”
Lo osserviamo con attenzione: le foglie sono più piccole del normale, ci pare, e anche più tonde. Ma è l’odore, soprattutto, a spiazzarci: è fumoso. Non saprei in che altro modo definirlo. Fumoso, sì. Non quello che ci aspetteremmo, comunque.
“No, secondo me non è basilico”, sentenzia mio fratello, e corre dal fruttivendolo preoccupato per il ragù.
Torna dopo un po’, con una pianta ignota e uguale a quella che io ho già buttato nella spazzatura. Stesso odore. “Io gli ho chiesto del basilico e mi hanno ridato questo!”, si giustifica mio fratello. E a quel punto comincia a venirmi il dubbio: vuoi vedere che si vantano tanto del loro basilico, i genovesi, proprio perché è un basilico strano e diverso da quello che dico io?
L’ho aggiunto al ragù con molta cautela, quella volta.
Poi non ho più avuto occasione di comprarne.

Perché il dosaggio del basilico pare pensato per le famiglie numerose, in questa città. Insistono per vendertene cinque mazzi. Sei. Almeno tre. O uno enorme. E carissimo, comunque. E sempre con quelle fogliette piccole, sempre fumoso.
Ho finito col rimuoverlo, ecco.
Mi è sembrato un tema difficile da affrontare e già avevo i miei problemi.
Il mistero del basilico, non potevo reggerlo.

Ora che sono figlia-munita, nel senso che ho la soave bambina a casa, e che mi hanno anche riparato il frigorifero per la seconda volta in un mese, ho affontato la questione.
Di prenderlo al supermercato, neanche a parlarne: te ne vendono un minimo di quattro mazzi tutti attaccati, e a me ne servono quattro foglie.
Me lo ha dato il fruttivendolo, a peso d’oro, e ho colto l’occasione per chiarirmi i dubbi.
“Ma perché queste dosi enormi? E perché è diverso da quello normale?”
E lui: “Ma lei cosa intende, per basilico normale?”
Prudente, reprimo l’istinto di dirgli: “Quello dell’Esselunga di Milano”, ché so per certo che verrei colpita con una roncola, e proclamo, patriottica: “Quello di Napoli…”
E lui ride: “Ah, ma quello mica è basilico! Lo chiamate basilico, ma il vero basilico è questo!”
Ribatto, un po’ offesa: “Ma per il sugo che devo fare io ci vuole l’altro. Voi non lo avete mai?”
E lui, snob: “Bah, l’ho avuto un paio di volte ma era tutto sabbia, e poi con quelle fogliacce striminzite… provi questo, mi stia a sentire! Viene un pesto cremoso che vedrà!”
“Ma io non devo fare il pesto…”, gemo.
Ecco perché te ne danno dosi industriali o niente.
Perché ci fanno il pesto.
Ovvio.

Ce l’ho davanti e continuo ad annusarlo.
Mi pare un pochino meno fumoso che a Natale.
Sono perplessa. Forse anche agitata.
Non so se mi abituerò.
A me pare una pianta strana, ecco.
E non è che sia una maniaca purista, santo cielo: in Egitto lo prendevo direttamente dalle aiuole, il basilico, e poi ci condivo gli spaghetti. Quello, per quanto sottile e maltrattato dal sole, era basilico, non avevo dubbi. Ne sentivo l’odore a tre metri, passando davanti ai giardinetti.

La soluzione del caso, comunque, l’ho trovata su internet ed è la seguente:

Esistono circa 40 tipi di basilico. Quelli comunemente usati sono due: il “basilico genovese”, dal profumo acuto e quello “napoletano” a foglia di lattuga, più delicato e con un lieve sentore di menta.

Io sto pensando che quasi quasi me lo pianto da sola, il mio lattugone mentolato.
A me piace quell’odore là.
Il pesto, me lo compro al Dì per Dì.

(E adesso capisco anche perché mi veniva così acido, il pesto, quando lo facevo al Cairo con le foglie prese dalle aiuole.)