Io credo da tempo che la caratteristica fondamentale dell’Italia sia quella di essere un immenso palcoscenico su cui vanno in onda delle rappresentazioni della realtà che si basano su un tacito patto di volontaria credulità tra gli attori, e tra questi e gli spettatori.
Qualcosa del tipo: “Tutti sappiamo che è per finta ma tutti facciamo come se fosse vero.”
Il vero sovversivo, in Italia, è colui che dice: “Ma no, scusa: io ci credo sul serio, che la tal cosa debba essere vera!” e magari si comporta di conseguenza.
Pericolosissimo, da ‘ste parti.
Io ho la sfiga di essere particolarmente in contatto con questa caratteristica nazionale: sia la mia vita professionale che i miei interessi extraprofessionali sono fatti sostanzialmente di parole. Tutto il mondo che mi circonda si basa su di esse. E il problema è che io ci credo davvero, che alle parole debba corrispondere una sostanza. Sono certa che siano un veicolo di significati, le parole. Non un fine in sé, non un punto di arrivo oltre cui non c’è nulla.
Questo, ovviamente, complica moltissimo la mia esistenza da queste parti. Di conseguenza, mi è necessario elaborare strategie di sopravvivenza che mi preservino dall’esaurimento nervoso e dalla cirrosi epatica.
Mi sono convinta che l’unica strategia possibile sia quella che passa per il senso dello spirito.
Quando le cose non sono serie, bisogna ridere.
E’ logico.
Illogico è incazzarsi, farsi il sangue amaro, incaponirsi nel volere fare ammettere agli attori la propria recita, quando la loro missione è, appunto, spacciarla per realtà.
Non ha senso.
L’unica cosa dotata di senso è prendere le cose per quello che sono, appunto: vedere la realtà. Vedere, quindi, che stai vedendo uno spettacolo.
E applaudire, invece di incazzarsi. E ridere.
Solo le cose serie meritano reazioni serie.
E quindi: sì, va bene, a me è stato insegnato che i percorsi pluridisciplinari, a scuola, si programmano. E poi si esplicitano. E magari si valutano pure.
Così, mi avevano detto.
E, nella mia mente, il mondo è un posto dove questo succede davvero.
Dove, se tu dici che hai fatto un percorso pluridisciplinare, hai fatto proprio così.
Io sono convinta di questo, e sbaglio.
Un percorso pluridisciplinare, in realtà, è quella cosa per cui a febbraio hai scambiato due parole davanti ai bagni con un collega a proposito dei vostri rispettivi programmi (e magari un terzo collega si è fermato un attimo ed ha annuito) e, a maggio, incornici quelle due parole in una definizione accattivante (chessò: “L’influenza della psicoanalisi nella letteratura europea del XX secolo”) e la scrivi da qualche parte.
Capire questo è fondamentale, al fine di evitare il più madornale degli errori: quello di dire: “Ma non è vero!”
Perché, poi, è automatico: scateni delle aggressività paurose, quando dici: “Ma non è vero!”
Ti fai dei nemici accanitissimi.
Scateni tendenze psicotiche nella gente più insospettabile.
Non è proprio il caso.
La capacità di prendere il nulla e trasformarlo in parole, intese come prodotto finale pronto per la vendita al pubblico, è un’abilità come un’altra e va applaudita, piuttosto.
E lo spettacolo va preso con humour.
Ridere, bisogna.
E l’italianità, in essenza, è questo.
Sai, Lia? Ne ho piene le tasche dell’italianità… al lavoro come nella vita in genere… ed ho la forza solo di dire questo, tanto non ne posso più! Il fatto è che… manco la … che so io… inglesità, francesità…. spagnolità?…. non mi fido più di nessuna forma mentis al mondo! Ma forse oggi mi ha preso brutto perchè piove, e quando piove a Roma… nel traffico abbiamo esemplari a iosa di genuina italianità!
Ciao, Liù…. ciao tutti/e
Sai: una contempla lo spettacolo del mondo che ha davanti, e ovunque ti tocca contemplare cose bizzarre. Ci sono posti dove si fanno corsi intensivi di brutalità, o di fideismo, o di aridità.
Io mi sento come una che sta facendo un corso intensivo di cialtronaggine. E sto cercando di trovarne i lati interessanti. Con qualche sforzo, sì.
E lo so che hai ragione, Lia! e se fossi capace di mettere in pratica il tuo saggio insegnamento mi sarei risparmiato, per esempio, la monumentale incazzatura contro l’Osservatore che da del terrorista a Rivera. Ma il fatto e’ che nemmeno io ci riesco – ad abituarmi al fatto che quando si usano certe parole non si fa sul serio…
Siamo costitutivamente inadatti all’Italia?
Svizzerità? ;) scherzo, nemmeno il tempo di leggere il post, ma torno qui prestissimo. Un abbraccio Lia!
ciao lia…sono finita sul tuo blog per puro caso, cercavo qualcosa sull’ironia per un testo dell’univesità e sono rimasta affascinata dalla tua scirttura. sarà che anche io ho questa mania per il non stare mai ferma, per il mondo arabo e per la spagna (dove di fatto adesso vivo…e se possodirti la mia se vuoi andare in spagna vai in anadalusia, il giusto mix tra oriente e occidente, e architetture encantadoras!).
mi farebbe piacere sapere che tipo di lavoro è riuscito a portarti in egitto…la mia è pura invidia ovviamente, e tentativo di imparare dalle esperienze degli altri.
vabbè come dicono gil spagnoli: si pasas por aqui ya sabes que tienes casa! un beso
paola
dunque, dell’apparenza ne abbiamo già parlato in passato. Ieri ho letto le prime 4 pagine della stampa e in pratica trattano degli inciuci tra alte sfere politiche e banche, i manager in Italia non esistono, a parte Marchionne e Rossi. Son tutti faccendieri che grazia a tale connivenza politica van dalle banche, prendono i soldi dei piccoli investitori e diventano padroni di questo o quello (vedi Tronchetti Provera). Cmq, oltre a questo si parlava delle piramide feudataria che dicende dai nostri rappresentanti e come disse ieri il presidente dell’arcigay, oramai esiste una coscienza collettiva di queste cose. Il fatto è che si preferisce manifestare perché il genoa è andato in serie c piuttosto che per il sottosottopoletariato che questa classe politica e dirigente sta creando, per non parlare dello sfascio e dell’arretratezza in cui è caduta l’Italia, sesta potenza industriale solo 20 anni fa e oggi fanalino di coda in un’Europa dei 12. Di fatto han creato immobilismo e le uniche cose che han saputo fare è gestire i propri affari, da una parte, e lucrare sulla perdita di potere economico, e quindi effettivo, dei lavoratori.
Però, passando dal macro al micro, osservo che in molti tendono a curare solo i propri piccoli interessi, ad esempio nella legittimazione dei propri superiori (che oggi se uno è capo o responsabile non lo è certo per merito, tutti figli della politica, e il grosso problema è che veramente poco sfugge al “pubblico”, escludendo solo le piccole imprese, e a volte, nella libera concorrenza tra loro, nuovamente non si tratta di liber concorrenza) non capendo che concessione dopo concessione, genuflessione dopo genuflessione, questo servilismo li ha impoveriti negli ultimi 20 anni
buon week-end
secondo me la maggior parte dei “politici” neppure sa dove sta. si limita a dire “obbedisco” e a parlare per slogan. il guaio è che – come venie eletta – la maggior parte si fa prendere dall’ingranaggio e si gode il suo “potere” nell’aspetto della deferenza dei più. ma chi comanda davvero – anche ai politici – è quell’economia globale e in mano a pochi che sta mercificando anche noi. e il suo obiettivo è renderci tutti consumatori inconsapevoli per consumarci meglio.
Anonimo
segnalo
nel blog di Lia, Haramlik questo post molto preciso e molto bello (anche se come la pensa Lia in genere mi fa incazzare) lo trovate al 3 Maggio, 2007 Facciamo finta che