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Qualcuno ricorderà che, quest’inverno, l’Haramlik si è ritrovato coinvolto in uno sgradevole bailamme mediatico causato dal fatto che un’email personale della sottoscritta era illecitamente approdata nelle mani di Magdi Allam che aveva pensato bene, dopo averla ritagliata qua e là, di pubblicarla sul Corsera facendone strumento – con mio attonito raccapriccio – di una sua personale crociata contro persone che gli sono antipatiche e persino – chissà perché – contro certe complicazioni sentimentali da lui severamente definite “poligamia”.

Si scatenò un notevole putiferio al quale scelsi di non partecipare: mi limitai ad esprimere tutta la mia gratitudine a quella grossa fetta di rete che cercò di chiedere conto a Magdi Allam del suo operato e mi astenni dallo sprofondare in qualche raccapricciante can-can che considerai strumentale ed utile solo a sviare l’attenzione dall’operato in questione.
Ubi maior minor cessat, come si suol dire: sporsi querela contro Allam e il Corriere e mi astenni dal contribuire a pubblici spettacoli che – non ci vuole una lince a capirlo – avrebbero avvantaggiato solo loro.

La mia querela – per diffamazione e violenza privata – va avanti, con i suoi modi e tempi che, al momento opportuno, andranno ad arricchire la categoria di questo blog dedicata alla vicenda.
Intanto è arrivata la sentenza del ricorso al Garante della Privacy presentato dall’altra persona coinvolta, assieme alla sottoscritta, nella disdicevole vicenda.
Il ricorso (di cui mi è stata a suo tempo inviata copia) poggia – ovviamente – sul fatto che la pubblicazione sul Corriere della Sera di stralci di detta email riservata è avvenuta senza il consenso, oltre che del suo destinatario, della sottoscritta che ne è l’autrice.
Ed è stato accolto dal Garante con la seguente motivazione:

[…] tenendo conto del complessivo quadro normativo posto a tutela della libertà e della segretezza della corrispondenza e di “ogni altra forma di comunicazione” (art. 15 Cost.). Il riconoscimento e la garanzia costituzionale operano a prescindere del mezzo di corrispondenza scelto, tenuto anche conto che “la stretta attinenza della libertà e della segretezza della comunicazione al nucleo essenziale dei valori della personalità (..) comporta un particolare vincolo interpretativo, diretto a conferire a quella libertà, per quanto possibile un significato espansivo (Corte Cost.)

(…) nel caso di specie interi stralci (di una corrispondenza privata) risultano essere stati pubblicati in assenza di un consenso dei diretti interessati.

Al Corriere della Sera è stato ingiunto di cancellare detto articolo dal proprio sito entro il prossimo 5 giugno.
Loro, portandosi avanti, lo hanno cancellato martedì scorso.

Sono in attesa di ricevere dall’Autorità Garante la mia copia della sentenza: ci vorrà almeno un’altra decina di giorni, a quanto mi hanno spiegato al telefono.
Quando la avrò vedrò se è il caso di pubblicarne qualche altro stralcio significativo.

Direi che questo risultato è un primo passo verso un ritorno alla sensatezza e alla decenza dell’operato di certa nostra stampa anche se, per quanto mi riguarda, ciò che più di tutto mi preme è che sia riconosciuta la diffamante violenza che mi ha colpito nel momento in cui ho visto approdare su un quotidiano nazionale un mio scritto che non doveva essere là.
Va sperimentata, una simile sensazione, affinché sia comprensibile appieno.

Nel suo comunicato, riferendosi a Magdi Allam, la persona che ha presentato il ricorso a proposito della vicenda che ci coinvolge entrambi scrive:

[…] s’imbatte in una vicenda personale dell’arcinemico.

Ci salta sopra a piedi pari, di concerto con qualche squallido personaggio del sottobosco islamico italiano.

E’ convinto il nostro, pardon il loro, che i musulmani non abbiano diritti, che gli si può fare qualsiasi cosa: bombardarli quotidianamente in tre o quattro paesi, rapirli a Milano, torturarli a Guantanamo, intercettarli dappertutto e persino impadronirsi della loro corrispondenza per innalzare un’infame gogna mediatica e additarli al generale ludibrio. […]

Io, più pacatamente, mi domando a cosa sia servito compiere una scorrettezza del genere.

Perché, dal punto di vista informativo, è stata data una notizia falsa e fuorviante, facendomi passare per una tizia che battagliava contro una presunta poligamia – che ancora mi chiedo cosa voglia dire – quando si sapeva benissimo che stavo sollevando una questione squisitamente interna alla comunità islamica, relativa alla coerenza tra teoria e prassi e al riconoscimento effettivo e compiutamente introiettato – non solo propagandistico, quindi – degli aspetti della religione islamica che riguardano il rispetto e la tutela delle donne.
Direi che c’è una bella differenza, tra il criticare una religione per ciò che essa considera lecito e, al contrario, insistere affinché ciò che è considerato lecito sia rispettato nelle sue regole.
Mi rendo conto che sia una differenza poco glamour per la stampa, tuttavia, e difficilmente afferrabile da coloro che, dell’islam, checché ne dicano se ne strafregano.
Del resto, sopravvalutare l’intelligenza del mondo è la più classica delle ingenuità.

Dal punto di vista politico, poi – e ammesso che una roba simile possa considerarsi “politica” – non capisco chi diamine ne abbia tratto vantaggio.
Non il dibattito sulla questione femminile nell’islam che, già difficoltoso di per sé, di tutto aveva bisogno tranne che di scandalismo in mala fede. (Eppure il problema esiste, e prima o poi andrà affrontato: se ne faccia una ragione, chi preferisce rimuoverlo.)
Non Magdi Allam e il Corsera, che ci hanno ricavato una figuraccia come poche volte gliene ho viste fare.
Non l’islam di questo paese, a cui sarebbe bastato davvero poco per evitarsi un imbarazzo inutile.
Non chi puntava a farsi una carriera personale a spese del suddetto islam, e che non mi pare che di carriera ne stia facendo un granché.

E’ stata una cosa semplicemente distruttiva, e inutile come tutte le cose distruttive.
Qualcuno ha sfogato dell’odio, qualcuno si è tolto sassolini personali dalle scarpe, qualcuno ha goduto dei propri sentimenti più bassi.
E poi?
Poi basta.
E’ successo solo questo.
Niente altro.

Personalmente, mi sono stancata molto e in cambio di molto poco.
E’ difficile da spiegare, quanto sia stato estenuante tutto ciò e il senso di inutilità cosmica che fa da bilancio a tanta fatica.

C’è di buono che possiedo una nuova storia da raccontare – per una dal mio temperamento non è poco – e prima o poi, quando ne avrò voglia e sarò certa di non compromettere cose più importanti, la racconterò.
E c’è di buono, soprattutto, che ho imparato delle cose sul mondo che, altrimenti, manco in mille vite avrei sospettato.

Il mio blog è la storia di anni e anni dei miei pensieri e delle mie emozioni, delle mie scelte e della mia vita.
Sono cose che è umano cercare di collocare, credendo o sperando che appartengano a un contesto.
Questa storia mi ha mostrato la differenza tra contesto immaginato e contesto reale. Operazione dolorosa, come tutte le operazioni di crescita.
O di invecchiamento, forse. Perché credo che invecchiare consista soprattutto in questo: nel prendere atto del fatto che il mondo è, ahimè, molto più piccolo – molto più sciocco – di quanto avevamo sognato.

Mio padre, che è un uomo che ha vissuto molto e che la conosce fino a dentro i pori, l’esistenza, mi ha un po’ sgridato facendomi notare che ci avevo messo secoli a vedere cose che sia lui che mia figlia avevano visto benissimo, e dal primo istante.
E poi ha concluso il suo breve discorso con la seguente frase: “Guarda. La verità è che, comunque, io ho da rimproverarti una sola cosa, ed è questa: ma tu, che gente frequenti?”

“Hai ragione”, ho dovuto rispondere.