Siccome Paperino mi fa un baffo, a me, io ieri sono arrivata sulla spiaggia di Pieve Ligure giusto in tempo per vedere i vigili intenti ad affiggere i cartelli di “Divieto di balneazione”.
Si era rotto un tubo delle fognature o qualcosa di simile.
Però vabbe’: mi sono data al bagnetto di sole sugli scogli e sono stata molto consolata dal proprietario del baretto della spiaggia che era proprio mortificato, nell’apprendere che era la prima volta che andavo lì e guarda cosa mi capitava, e mi ha spiegato che c’era tutto lo stato maggiore di Pieve Ligure a riparare il guasto, dal sindaco ai sommozzatori, e che in pochi giorni sarebbe stato tutto a posto e allora sì che avrei visto che il mare è uguale a quello della Sardegna, tra uno scoglio di Pieve e l’altro.
E poi, siccome a me succedono cose strane, tornando a casa ho incontrato il vicino di pianerottolo davanti all’ascensore, e mi ha baciato.
Nel senso che abbiamo chiacchierato una decina di minuti e poi lui mi ha baciato, sì.
E ci ha una trentina di anni, ci ha.
Ma pensa te.
Incommensurabilmente divertita dalla cosa sono subito corsa a raccontarlo a tutti, ovviamente, sempre più convinta del mio assioma: “I genovesi sono socievolissimi! Ma ti assicuro! Una esce dall’ascensore e la baciano, giuro!”
Poi però Marzia mi ha spiegato che non è proprio frequente e che, ad ogni modo, non può essere considerata una tipica usanza locale: la gente, normalmente, attraversa il pianerottolo e raggiunge casa senza essere baciata da nessuno, mi assicurava.
E quindi ci siamo chieste come mai, invece, a me succedono ‘ste cose, e io ho avanzato l’ipotesi che il mio buon umore di ieri debordasse, in qualche modo, fino al contagio degli incolpevoli condomini.
Quando una è allegra, si sa, pure il mondo attorno a lei collabora.
E, comunque, questo dimostra che in fondo ad ogni genovese si cela un baciatore da pianerottolo che aspetta solo l’occasione di emergere.
Che dire.
Tutta salute, dai.
Oggi pensavo di obbedire alla Spostata e di andare a Celle Ligure, invece.
Sto misurando il mio livello di pigrizia, ché in alternativa potrei fare dieci passi e andare a schiacciare un pisolo nella piscina sotto casa mia, a Porto Antico.
Non so se l’ho già detto, ecco, ma a me piace assai abitare a Genova, con ‘sti dubbi esistenziali che la cosa comporta.
Sì.
Ovunque io vada, tuttavia, oggi mi sono ripromessa di decidermi finalmente a sganciare la ricetta del Mafé a Marzia, che me l’ha chiesta circa sei mesi fa ed io sono un bradipo rimbambito, è noto, ma prima o poi ci arrivo pure io, a fare le cose.
Piano piano, ma ci arrivo.
Parliamo di Mafé, dunque, e parliamone via blog, ché il Mafé è una cosa bella e buona e, come tale, va condivisa.
Noi genovesi amiamo praticarla, la condivisione.
Oltre ad essere socievolissimi.
Il Mafé, dunque.
Dove e quando ho imparato a farlo, l’ho raccontato qui: nei remoti anni del primo Zimba a Milano, e del destabilizzante sbarco del Senegal tra una popolazione femminile di Milano che aveva probabilmente bisogno di qualcosa che ne spiazzasse le troppe certezze, e la trovò.
Devo dirlo: con tutti i loro innumerevoli difetti, gli uomini sono il sale della terra. Tutte ci annoieremmo mostruosamente, se non ci fossero loro, ed alcune di noi hanno persino difficoltà a cambiare una lampadina, in loro mancanza, ma è perché una scusa per volerli ci vuole, diciamocelo, specie quando la consapevolezza degli innumerevoli difetti dilaga al punto da renderti più lucida – troppo più lucida – di quando vorresti e di quanto sia saggio esserlo.
E’ allora che Madre Natura ti manda un fulmine sull’impianto elettrico di casa, o qualcosa di pesantissimo da sollevare, e tu torni a ricordarti che sono il sale della terra, loro.
Be’: quelli che sanno cucinare, lo sono di più.
Non si resiste a un uomo che sa cucinare.
Non si deve.
E il Mafé, dunque, si fa così:
Prendi delle cosce di pollo disossate e della carne di manzo, intanto: taglia tutto a cubi e cubetti, tipo spezzatino, e mettilo in una zuppiera cosparso di aceto e pepe nero. Parecchio pepe nero.
E lascialo lì a macerare per un po’.
Poi fai il solito riso bianco, quello che copri di acqua fredda e che fai andare fino a quando è cotto e asciutto, perfetto. Riso tondeggiante, ti serve. Non le cose sottili tipo indiano. Oppure un onesto Uncle Bean’s, che va benissimo. Deve reggere la cottura e avere consistenza, insomma.
E poi, senti qua.
Prendi un pentolone, ma grosso e alto. Perché deve contenere un sacco di verdura, tanta, e poi la verdura si cuoce, è noto, e rimpicciolisce. Ma da cruda le serve spazio, quindi prendi una pentola adatta. Non c’è niente di più malinconico di un Mafé con poca verdura. Tantissima, ce ne deve essere.
Nella pentola, ci scaldi parecchio olio di arachidi, più di quanto ti verrebbe naturale mettercene. Fa’ finta di essere un uomo – un uomo senegalese, per giunta – e dacci dentro con l’olio.
Senza timidezze.
Ti metti a dieta domani, oggi lascia perdere.
Scaldi quest’olio e poi ci butti dentro la carne col suo pepe ma senza l’aceto, e due dadi sbriciolati.
Quando la carne è cotta, ci aggiungi due cucchiai di concentrato di pomodoro e, quando è sciolto, 2 tazze di acqua, uno o 2 spicchi d’aglio, un 3 peperoncini rossi e dell’altro pepe nero.
Sì, è un piatto piccante, ma fidati.
E poi ci metti le verdure che avrai previamente tagliato a pezzi. Non a pezzetti. A pezzi, grossi. Si deve vedere, la verdura. Devi distinguerla, quando la mangi. Non deve venirti un pappone confuso. Pezzi grossi, quindi.
Melanzane, cavolofiore, carote, crauti (a tocchi, ci stanno benissimo), peperoni rossi, CIPOLLA (non te la scordare, e a pezzi pure lei) e, insomma, quello che vuoi tu.
Tutto nel pentolone, copri e fai andare.
Poi sarà tutto cotto, a un certo punto.
Ecco: a quel punto, ci metti dentro due o tre cucchiai di burro di arachidi* e lo fai andare per altri venti minuti.
Quando il burro di arachidi si trasforma in un olio che viene su, è cotto.
Lo servi versandolo copiosamente sul piatto in cui avrai già messo il riso bianco.
E’ buonissimo.
Ed è la classica cosa che si prepara anche in anticipo, comodissima se hai gente a cena.
* Sappi che, se non hai il burro di arachidi, puoi mettere le arachidi vere (sbucciate!) nel tritatutto e farle andare a tutta velocità, eventualmente con un goccino d’acqua.
E ti viene il burro d’arachidi, appunto.
Mi sa che vado in piscina, a ‘sto punto.
A Celle ci vado domani, magari.
Sono veramente senza parole…sei veramente troppo troppo simaptica…
bello trovare un uomo che ti bacia appena vieni fuori dall’ascensore..
avercelo…(sia il vicino di casa che l’ascensore)e poi considerando la svizzera dove per ora vivo…e il suo grigiore..
è già troppo se incontri un ultra novantenne
che ti saluta…figuriamoci baciarmi…
(non credo sortirebbe lo stesso effetto del trentenne!!!)
Ciaoooo :)
Fa parte anche questo dei risvegli gaudenti?
http://www.festivalpoesia.org/
Ci sei? Ce lo racconti?
Confermo la teoria di Marzia: nè a Genova nè altrove l’estroversione tra vicini di casa arriva al bacio come forma di saluto. Fossi in te farei qualche considerazione in più. ;-)
E brava la mia Lia che spezza cuori ad ogni latitudine!
E la dieta se vuoi falla quest’estate, approfittando del caldo che porta a mangiare meno. E falla per il solo gusto di volerti bene.
Evviva i rotolini di ciccia al sole! :-)
Dire a questa svizzera qui sopra che tu frequenti la Svizzera spessissimo :-)))
A parte il Mafè che è da provare SUBITO,a me la storia del vicino mi fa proprio sciogliere…ah,potere del buonumore contagioso!Forza Lia,contagia contagia…
Grazie Lia,
la ricetta è uno spasso, mi pare di vederti mentre lo prepari ;)
Ricambio con la ricetta della Vichyssoise dell’altra sera.
Per 4 persone (o due affamate) servono 4 bei porri, due patate, uno scalogno, 1/2 litro di brodo vegetale (anche di dado), un cartoccio di panna, olio, sale, pepe e erba cipollina o cerfoglio per guarnire.
Per iniziare trita lo scalogno e fallo imbiondire in una tegame con olio d’oliva e, se non hai problemi di coscienza, una bella noce di burro, aggiungi poi i porri privati della parte verde e tagliati a rondelle. Incoperchia e lascia a fiamma bassa per qualche minuto. Intanto sbuccia le patate e tagliale a fettine. Uniscile ai porri e lascia insaporire senza coperchio, poi aggiungi il brodo, incoperchia e lascia cuocere per 20/25 minuti e comunque fino a che le verdure non cominceranno a sfaldarsi. Se serve aggiungi ancora brodo o anche acqua: dovrà risultare una vellutata corposa ma non spessa. A cottura ultimata, spegni e lascia intiepidire qualche minuto prima di frullare tutto fino a ottenere un composto liscio e molto fine. A questo punto aggiungi la panna, regola di sale e pepe e mescola bene. Lascia raffreddare che la vichyssoise si mangia fredda, anche di frigo. Ricorda di servire guarnendo con erba cipollina o cerfoglio (meglio la prima) e una macinatina di pepe. Ah, sempre per i problemi di coscienza di prima, se vuoi puoi sostituire la panna con della ricotta. Personalmente preferisco la panna … ;)
baci