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Mi scrive un’amica dal Congo (sì, una ha amiche in Congo…) per invitarmi ad andarla a trovare (“Mi dicono che itinerari via Casablanca oppure Addis Abeba sono abbastanza economici“, spiega) e per chiedermi come sto, visto che, dal Congo, Haramlik non si vede.
E’ un sito bloccato, giuro, “in quanto rientra nella categoria “Political Organizations“.
Testuale.

Ora: questo blog se ne è sentite dire parecchie, negli anni, ma “Political Organization” mi mancava.
Mi chiedo quali criteri adottino, per comporre le liste dei siti censurati, e mi chiedo pure come ho fatto a incapparci. E se è possibile aggirare l’embargo, chiaro: una si dispiace, se la sua amica in Congo non le legge la ricetta della torta di mele sovversiva e così via.
Se qualche lettore di passaggio ha una vaga idea di come funzionino ‘ste cose, mi istruisca.
Qui le stranezze non ci bastano mai, siamo pozzi senza fondo.

Se poi mi volesse anche dire come funzionano le stats di Feedburner, il lettore di passaggio in questione, io in cambio gli mando la ricetta del sugo di polipo.
Perché, come dicevo, ho il raptus tecnologico e mi sono finalmente accorta – dopo un anno che lo usavo – che non avevo attivato praticamente niente, in Feedburner, e men che meno le statistiche. Mi sono quindi messa forsennatamente ad attivare cose, seguendo un criterio che si potrebbe definire come “chissà cos’è, boh, io schiaccio”, e da allora i miei feed sono esteticamente migliorati, a quanto vedo sul mio lettore, ma in compenso ho nuovi motivi per sentirmi smarrita e perplessa.
Voglio dire: come diamine faccio ad aver 589 subscribers e 0 visitors??
Cosa fanno, ‘sti 589 stravaganti coi miei feed? Ci giocano a bocce?
Sono le cose di internet che mi riportano al senso di impotenza che provavo da piccola, a scuola, nell’ora di matematica.
Una sente come dell’ostilità verso il mondo, in quei momenti là, ché non c’è nulla come non capire le cose, per sentirsi profondamente incompresi.
Anzi, diciamo la verità: se qualcuno me lo volesse direttamente aggiustare, il benedetto Feedburner, io il sugo di polipo glielo manderei a casa.
Altro che scambiarsi le conoscenze: scambiamoci le competenze, che mi pare più pratico.

Ché io, poi, un webmaster ce lo avrei pure, ma al momento ha deciso che lui mi rifà il blog e che le cose di feed non gli piacciono.
Il blog lo coinvolge in prima persona, invece: ora che ne ho reso pubblico nome e cognome, ha deciso che si rifiuta di essere associato alla schifezza inguardabile e mal funzionante nota come “Haramlik”, ché uno ci fa pure brutta figura, e quindi è giunta l’ora di passare, tosto, a WordPress.
Io spero che non succedano troppi sfaceli, senti.
No, dai.
Poi, detto tra noi, a me la testata del mio blog piaceva.
“Come lo vuoi il blog nuovo?”
“Dunque, fondo bianco con caratteri blu come adesso, la testata uguale, la colonna a destra…”
“Ma così è come è adesso!!”
“Uh… eh.”
No, ma le pagine interne fanno davvero troppo ribrezzo.
Cambiamo, cambiamo.
Io ormai mi vergogno pure a dare i link, per quelle pagine lì.

Io, poi, avrei cominciato la scuola.
Solo che – come i più attenti avranno notato – questo blog non è più anonimo e lo sarà sempre meno, man mano che va avanti il restyling.
Questo vuol dire che io, d’ora in poi, potrò continuare a teorizzarci, sulle cose di scuola, ma raccontare non si può più.
Non quando finisce con l’essere riconoscibile, la scuola di cui parli.
Che è un peccato, francamente, ma un peccato doveroso e, arrivati a un certo punto, il minore dei mali.

Scrivo in rete da una decina di anni e, in questo tempo, la mia identità l’ho abbastanza difesa, ché mi sembrava professionalmente sensato mantenere i miei ambiti extrascolastici separati dal mio mestiere.
Alla lunga, però, è diventata una specie di fattore di “ricattabilità”, la questione del mio nome e cognome.
Una cosa tipo: “Vediamo, come posso farti dispetto? Ma sicuro, dicendo al mondo come ti chiami!”
Be’: una si rompe pure le balle.
In dieci anni di rete, poi, a dire il vero io di pazze autentiche ne ho incontrate solo tre: mi dicono che è una media tutto sommato bassa e che mi è andata anche bene, se ci penso.
Visto che tutte e tre, però, hanno manifestato a distanza di anni lo stesso sintomo, ovvero l’incaponimento maniacale sui miei dati e sulla mia biografia, direi che è il caso di dare per concluso ‘sto gioco, ché ci siamo scocciati.
La quarta pazza, quando ci sarà – perché ci sarà, lo dice la statistica – dovrà inventarsi un sistema nuovo per rompermi le balle. Ché non è possibile che facciano tutte la stessa cosa, dico io.

Il mio nome e cognome li trovate sulla colonna di destra, quindi, e all’interno del mio Tumblr.
Pensavo di mettere in linea anche il curriculum, perché no, e potrebbe venirmi un raptus inarrestabile di espressione di me capace di tradursi nella pubblicazione dell’indirizzo, del telefono e della radiografia dell’arcata dentaria.
Per quanto riguarda l’indirizzo, qui siamo donne pratiche e, ai fiori o agli esplosivi, preferiamo i pasticcini.
Meglio specificarlo.

Bon, non mi pare di avere altre novità.
Però non scordatevi della cosa della censura in Congo, ché io veramente sono curiosa e vorrei avere lumi.

(Mi viene voglia di concludere ‘sto post tipo lettera, con un “tanti baci”. Non so perché. Vabbe’, perché reprimersi? Tanti baci, boh.)