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Io ho un vecchio conto in sospeso col paese raffigurato qui sopra, nel senso che saranno quindici anni che ci penso e sospiro.

Fu il primo paese a cui pensai quando capii che il mio lavoro era esportabile, ed è che la scuola di là non può non colpire la fantasia di una prof, visto che è la più grande e la più significativa tra le scuole italiane all’estero.

Poi lo misi un po’ da parte, questo pensiero, mentre venivo folgorata dal mio mal d’Islam e dal bisogno di Medio Oriente che, a un certo punto, prese il sopravvento su qualsiasi altro mio desiderio, e poi tornò a fare capolino, invece, evocato dal mio collega d’Egitto una volta che tornavamo al Cairo in treno ed io sospiravo sulla cronica scarsità di stipendio che mi affliggeva e lui mi disse: “Ma scusa, perché non fai domanda di supplenza lì?” E io: “Ma per insegnare italiano nelle scuole non ho l’abilitazione, e lì c’è solo scuola, non c’è il lettorato.” E lui: “Ma guarda che si insegna anche la tua materia, in quella scuola lì.” Ed io rimasi a bocca spalancata, come un’imbecille. Una scuola italiana dove si studia pure spagnolo piazzata in mezzo all’Africa? Non ci potevo credere.

Feci domanda di supplenza, ovviamente. Era il 2005. Le domande di supplenza si fanno una volta ogni tre anni e nel 2005 toccava, giustappunto, cosa che mi parve una specie di segno del destino. Compilai ettari di carta prestampata, imparai a dire “raccomandata con ricevuta di ritorno” in arabo e spedii giù tutto quello che c’era da spedire pensando che probabilmente ero l’unica prof di spagnolo con tanti punti e tante abilitazioni intenzionata ad andare lì, proprio lì, e del resto cosa diamine ci dovrebbe andare a fare, dalle parti del Corno d’Africa, una prof di spagnolo? Questo, pensavo. Feci la raccomandata dall’ufficio postale di Zamalek, la baciai prima di consegnarla all’impiegato e custodii gelosamente le incomprensibili ricevute scritte in arabo con la penna rossa che mi vennero solennemente consegnate e su cui deposi tutte le mie speranze di guadagnarmi da mangiare negli anni successivi, visto che, in Egitto, più di due soldi in croce proprio non mi riusciva di guadagnare, ed ero ormai prossima alla bancarotta.

Tra me e quello stipendio si interpose un siciliano, invece. C’erano lui e un’altra collega che avevano più punti di me, ed io finii terza in graduatoria. Addio Africa, maledizione. Pensai che avevo un ottimo movente per un omicidio, certo, ma poi l’idea di andare in Sicilia a sopprimere il collega mi parve laboriosa e comunque non avevo i quattrini per tanto viaggio, quindi mi disposi a farmene una ragione.

E poi ricevetti la terrificante telefonata del provveditorato di Milano che mi comunicava che mi avevano passato di ruolo, invece, e tornai in Italia a prendere servizio salvandomi dalla bancarotta per un millimetro circa, pareva in quel momento o magari no e me la sarei cavata lo stesso, chi lo sa, ma ormai è inutile che ci pensi. Tornai in Italia, che il cielo mi strafulmini, e tant’è.

L’anno scorso – due anni dopo avere baciato quella vecchia domanda di supplenza un secondo prima di spedirla – mi chiamarono. Me ne stavo tranquilla a casa, qui a Genova, ed ecco che mi ritrovo nella Gmail una convocazione per cui io avrei anche potuto uccidere, se solo mi fosse arrivata al momento giusto. Non lo era più: una volta che passi di ruolo, non puoi accettare supplenze. Decadi dal ruolo, se lo fai. Vieni licenziata dallo Stato, praticamente.

Ci pensai, comunque, e mi informai, chiamai il ministero, parlai con l’Africa e con la collega che mi aveva preceduto e feci il diavolo a quattro. No, ma renditi conto: mi offrivano il triplo di quello che mi pagano qui, e per vivere in Africa. Per fare la cosa al mondo che desidero di più. Dimmi tu. Stavo per farci una malattia.

Venivo chiamata in base a una graduatoria che sarebbe scaduta l’anno dopo, però. Mi davano lavoro per un anno e basta. Se, con le graduatorie successive, mi fosse sbucato un altro collega con più punti, io mi sarei ritrovata disoccupata sia lì che in Italia. Non potevo farlo. Fosse stato il triennio intero, avrei potuto mettere da parte abbastanza soldi da correre il rischio. Con un anno solo, era una follia.

Oggi sono scaduti i termini per le graduatorie del prossimo triennio. La legge proibisce esplicitamente ai docenti di ruolo di fare domanda di supplenza, quindi io mi sono riguardata la scheda che annuncia quelle 14 ore di spagnolo all’africana che sogno da anni, ho sospirato e ho cercato di non pensarci. Solo che ci penso, invece. Non faccio altro.

Ho telefonato giù lunedì mattina: “C’è possibilità di lavorare in estate? Perché, sa, io verrei.” Vorrei partire quando chiude la scuola e andarci, finalmente, e togliermi ‘sta spina, almeno per un’estate. “Lavoro d’estate? Qui?? Neanche l’ombra…” “Oh, fantastico.

Qui siamo tipe testarde, però. Ed io ci vorrei proprio andare, lì. Proprio tanto.

Sto corteggiando le linee aeree yemenite, che paiono quelle con i prezzi migliori, e continuo a cercare il modo per trovarmi qualcosa da fare, una volta lì. Me lo devo finanziare, ‘sto viaggio, ché altrimenti è un salasso. E sto dando fondo a tutta la fantasia che ho, pur di trovare il modo.

Ci devo andare per forza. Almeno per un’estate, almeno per vedere com’è. Ci vado. A costo di nuotare.