vin_chaud_aux_epices

Io, per anni, ho pensato che la Francia non fosse altro che il pezzo di strada che unisce l’Italia alla Spagna e viceversa. Non mi ha mai ispirato la minima curiosità, proprio. Pensavo vagamente che fosse un posto freddo dove tutto chiude presto la sera e si cucinano cose cremose.

In realtà c’ero anche stata, e non pochissimo: un’intera estate a Nizza quando avevo una quindicina di anni, con annesso corso di francese e relativo soggiorno presso famiglia locale. Lui era un cuoco che allungava le mani, la moglie una brava donna simpatica con cui non accennai mai a questa particolarità del marito. Avevano una bella casa e condivano, appunto, l’insalata con la crema.

La cosa che più mi colpì di Nizza fu, tutto sommato, la bellezza delle prostitute che stazionavano in non so quale elegante strada pedonale del centro: venivo da un anno trascorso nella scialba Inghilterra del sud e quelle spettacolari stangone elegantissime mi sembravano tutte dive del cinema, non mi spiegavo come potessero essere semplici prostitute. Chissà allora come erano le attrici vere, pensavo. Una rimane intimidita, a 15 anni.

C’è stato un periodo in cui ho parlato un francese abbastanza decente, tirato su tra quell’estate e un successivo anno scolastico trascorso in un collegio di Losanna e terminato in anticipo causa mio innamoramento per Marco e annessa fuga a Napoli, via dal collegio, dalle sue regole terrificanti e dalla signorina che ci controllava e che si chiamava Beretta, come le pistole. Poi l’ho dimenticato imparando lo spagnolo, il francese: le lingue affini fanno sempre a cazzotti, rinchiuse nello stesso cervello, e io non avevo studiato abbastanza grammatica per farle convivere. Del mio periodo francofono ricordo solo i complimenti ricevuti da un’elegante madre di famiglia parigina, una sera, in quel della Gomera: “Ma come parli bene francese!“, mi disse. E io, candida: “Oh, è che ho avuto molti fidanzati francesi“. Lei trattenne una risata e io capii di avere detto qualcosa che mia nonna non avrebbe approvato. Nei trent’anni successivi, comunque, l’ho dimenticato del tutto, come dicevo, e oggi faccio fatica pure a ordinare una ratatuille al ristorante. Sono formata per pronunciare roba molto più decisa.

La Francia non ha mai colpito la mia immaginazione, comunque, e i fidanzati francesi nemmeno: li ricordo maschilisti, quelli che mi sono capitati, e del resto ero piccola e bastava contraddirmi per farmi gridare al maschilismo. Ci fu un Didier che cercò di prendermi a schiaffi, una notte, in un albergo di Juan Les Pins. Mi rifugiai dietro il portiere dell’albergo e strillai molto, quindi fuggii e non ci rivedemmo più. Maschilista lui o, forse, insopportabile io. Chi può dirlo, dopo tanto tempo.

Tutto questo per dire che la sto scoprendo praticamente da zero, la Francia, ultimamente, e mi ritrovo a visitare luoghi che per me erano semplici cartelli autostradali, fino a ieri. Arles, per dire. Arles è un cartello sulla strada per la Spagna, pensavo. E invece no: esiste, ed è pure bella. Tu pensa che scoperte, si fanno.

E quindi – tanto per arrivare al dunque – ho scoperto anche il Vin Chaud, che è il motivo per cui sto scrivendo ‘sto post. Lo avevo assaggiato l’anno scorso ad Avignone, in una serata trascorsa assieme a SSG davanti al caminetto di un ristorante, e questa volta l’ho studiato con più attenzione per capire cosa ha di buono, visto che l’italico vin brulè mi ha sempre fatto orrore e il vin chaud lo berrei pure per colazione, invece.

Ci ha che non ci mettono il chiodo di garofano, ci ha. E’ questo che me lo rende buono. Ho deciso che il chiodo di garofano lo rovina, il vino speziato.

E quindi volevo dire che nel vin chaud che piace a me bisogna mettere cannella, anice stellato, arancia e zenzero. E basta. Dovevo scriverlo, prima di scordarmene.

La ricetta più simile a ciò che mi piace deve essere questa, a occhio e croce:  http://scally.typepad.com/cest_moi_qui_lai_fait/2004/12/vin_chaud_aux_p.html

E ora posso tornare a dormire, che sono le cinque del mattino e avrei pure scuola, domani.