Il ricordo di altri luoghi mi fa notare che non sono speziati, i Caraibi. Facciamo che sono fruttati e, ovviamente, molto alcolici.
L’assenza di spezie e incensi ti disarma davanti alle puzze di Centro Habana: odore di umidità, di cassonetti, di soffritto, di cose vecchie. Al Cairo questi odori si alternano con quello del tabacco delle shisha, del cumino onnipresente e di tutto ciò che di profumato un arabo può concepire. A Cuba, di buono, c’è l’odore delle guayabas sui banchetti della frutta e lo stufato della mia vicina. Niente contrasti olfattivi, è tutto molto più stabile che a Oriente.
Mettici anche che, così come nel caldo secco e sabbioso del Medio Oriente viene naturale coprirsi – io stessa non sapevo vivere senza i miei scialli multiuso addosso nonostante i 40 gradi – nell’afa umida dei Caraibi non si è mai abbastanza nudi, ché il tessuto si appiccica addosso e fai fatica tanto a infilarlo come a sfilarlo, e non parliamo di quando piove: è quando più ti spoglieresti, ché sotto la cerata fai la sauna.
Vai in giro senza scialletti e senza veli, quindi, e ti dispiace, ché l’utilità dello scialle contro le puzze è imbattibile e quando hai il naso tutto bello coperto, stile niqab, nulla ti può turbare. Come ogni araba ben sa.
Le cubane, in compenso, turbano il resto del mondo, ignude come le vedi, vive dimostrazioni dell’indissolubile legame tra clima e senso del pudore. Cosce, braccia, seni, schiene e sederi, l’apoteosi della carne al vento, e soda che ci lanceresti una pallina per vederla rimbalzare e fare boing, sulla chiappa e sulla tetta.
E il resto del mondo accusa il colpo, come tutti sappiamo, e contempli queste coppie con straniero e con cinquant’anni di differenza tra lui e lei e rimani pensierosa.
Io, figurati, sono favorevole a tutto ciò che dà gioia al mondo, e chi sono per volere che i vecchietti non abbiano amore, che le ragazzette non ricevano doni? Solo che, mamma mia, certi sono vecchissimi, proprio. Vetusti, e la ventenne che gli accarezza la spalla mentre si scofana un chilo di gelato crea un contrasto che ti fa strizzare gli occhi, per quanto è abbagliante.
Poi sono esili, queste ragazzette, ma le vedi mangiare come cammelli. Alle sei del pomeriggio, al vecchietto portano un rum e alla bimba un piatto di gamberi saltati col riso, e se li ingolla fino a pulire il piatto. Tutte eleganti, con la manicure perfetta, il trucco, la minigonna sbarluccicante, impeccabili accanto al nordamericano o all’europeo in trasandatissimi calzoncini corti e ciabatte, e sempre lì a masticare, si vede che il maschio con valuta forte stimola una fame da lupe.
Mi chiedo come valutare il fatto che queste scene siano impensabili, nel mondo arabo. Da un punto di vista politicamente corretto chi è messo meglio, nelle stesse condizioni di povertà? La donna che vive il corpo solo nel privato o quella che ne fa un uso pubblico fino all’imprenditorialità? E dal mio punto di vista, che politicamente corretto non è? Ho idea che queste ragazze facciano più fatica e paghino scotti più salati. Non c’è nulla a proteggerle, si devono proteggere da sole. Poi, certo, ci riescono benissimo. Spero.
La Cuba che vedo più spesso, comunque, non è jinetera. E’ una Cuba tranquilla di gente che studia e lavora e sto cercando di conoscerla.
A dispetto del luogo comune che li vuole ilari e caciaroni, a me – almeno fuori dal circuito turistico – sembrano persino introversi, a prima vista. Quieti, pronti a lasciarti e a essere lasciati in pace. L’ho già scritto una volta: nemmeno lontanamente paragonabili agli egiziani, nel bene e nel male. Non hanno lo stesso spirito, non ti fanno ridere tanto ma sono anche infinitamente meno rompiscatole. Nonostante sia straniera, raramente vengo tampinata a scopo quattrino e, se capita, un invito a lasciarmi in pace basta e avanza. Non ce ne vogliono tre, uno è sufficiente. Ti tampinano più in piazza Erbe a Genova che all’Avana vecchia, nonostante un’infinità di guide turistiche e di persone affermino il contrario.
I taxisti ti danno il resto. L’unica cosa di posso accusarli è di essere musoni, ma le contrattazioni con loro durano mezzo minuto, altro che le sfiancanti maratone mediorientali.
Pure la vecchietta poverissima che ti vende il Granma ti dà il resto. Le avevo dato due pesos e lei, serissima, me ne ha restituito uno.
Altre categorie di negozianti cercano di imbrogliarti, a volte, ma glielo fai notare e finisce lì. Un altro vivere, proprio, rispetto a quello a cui mi ero preparata.
Secondo me si nota che sono isolani. Poi, per carità: quando interagiscono sono cordialissimi, gentili, e arrivano in fretta a una modalità di rapporto persino affettuosa. Però mi sembra di captare un fondo di chiusura che non sono certa di mettere completamente a fuoco ma che c’è. E, quando non c’è, è perché lo decidono loro, mi pare, più che per naturale irruenza.
La caratteristica che più mi sta dando da pensare, comunque, è quella del “nonostante”.
Nonostante l’embargo, nonostante la povertà, nonostante la mancanza di tutto ciò che è scontato trovare persino nei luoghi più assurdi dal pianeta – uno straccio di linea internet come si deve, ad esempio, ma anche una radiolina o una spugna decente – il buon livello culturale non è una leggenda, esiste davvero. C’è gente in gamba qui.
Lo scrivo e guardo il libro che è accanto a me. E’ un saggio storico molto interessante, presentato qualche giorno fa in occasione di un incontro con degli storici e filosofi dell’Università dell’Avana.
Dibattito interessante, interventi brillanti, molto pubblico anche giovane.
Tutto normale, se non fosse per i ringraziamenti dell’autore che aprono il volume e in cui, verso il fondo della pagina, appare una frase che voglio tradurre e trascrivere qua, solo per ricordarmi che l’ho letta davvero:
“I professori Tizio e Caio hanno avuto l’impagabile gentilezza di mettermi a disposizione due computer per la redazione di questo testo. Il loro gesto è stato determinante per l’elaborazione dello scritto originale. Grazie a entrambi, ho potuto scrivere in condizioni ottimali.”
Ecco. Non so se mi sono spiegata.
Sono stata fortunata ad aver scoperto il tuo blog anni fa.
Sono stata fortunata ad aver scoperto il tuo blog anni fa. Sì.
Mi unisco all’elenco delle fortunate!
Grazie per questi racconti, Lia cara. Ovunque tu ti trovi e qualunque cosa tu faccia, leggerti è sempre meraviglioso. Un abbraccione.
leggerti è sempre emozionante; sembra quasi di vederti in azione. Attendo trepidante il tuo prossimo articolo. Ti abbraccio e grazie per la condivisione
E com’è andata con l’Uragano Sandy, lì?