Il contesto è quello della Rivoluzione cubana del 1868, fatta allo scopo di sbattere fuori gli spagnoli e ottenere l’indipendenza. I cubani combattono eroicamente per ben dieci anni, poi si rassegnano a un armistizio. Tutti, tranne un gruppo di stanza a Oriente dell’isola che decide di continuare a combattere a oltranza. Il generale spagnolo, che già credeva di avere la pace in tasca, cerca di convincerli a stare buoni, ma invano.

Bene, passo a tradurre direttamente dal testo:

E tuttavia, dallo stesso giorno in cui riprendono le ostilità, i capi cubani si vedono recapitare rapporti contenenti un’informazione fondamentale: i soldati spagnoli non combattevano.

Seguendo la nuova tattica del generale spagnolo Martinez Campos, le truppe colonialiste rispondevano agli spari partigiani con il grido di “Viva Cuba, viva la pace!” e senza rispondere al fuoco dei patrioti.

Era davvero difficile obbligare i soldati cubani a sparare contro un nemico che non rispondeva. Lo stesso Maceo (eroe nazionale cubano, ndt) fu testimone, a El Caobal, del comportamento degli spagnoli, che preferirono lasciarsi decimare da meno di cento cubani, pur essendo loro 1500 uomini.

Questo atteggiamento fiaccava considerevolmente il morale delle truppe partigiane.

(E qui una si immagina la scena, coi cubani dell’epoca che protestano: “Ma belin, ma gli spagnoli, non si smuovono, ma mi pare di sparare a mia nonna, io butto il fucile, basta!!” e i loro capi: “No, sparate lo stesso, ci stanno a prendere per il culo, non cascateci!” E loro, avviliti: “No, ma non mi piace, io me ne vado…” Spagnoli gandhiani, chi lo avrebbe mai detto.)

Poi, vabbe’, su Oriente convergono migliaia di soldati spagnoli e i cubani, in inferiorità numerica, si ritrovano più o meno accerchiati.

E tuttavia:

Gli ufficiali spagnoli si comportavano in modo sorprendente per i cubani, non abituati a una guerra tanto rispettosa. Perplessi, contemplavano come veniva permesso alle famiglie dei rivoltosi di trasferirsi in regioni meno scomode per donne, bambini e anziani, che venivano alimentati e persino protetti dal nemico. Tanto meno ci si riusciva ad abituare a vedersi rimandare vivi i prigionieri, senza che gli fossero sequestrate neppure le armi. E ancor meno potevano concepire che, dopo scontri con numerose vittime in entrambi i fronti, le truppe spagnole seppellissero con tutti i rispetti, oltre agli iberici caduti, anche i partigiani.

Insomma: alla fine, pure questi ultimi irriducibili gettano la spugna. Il Governo provvisorio cubano forma una delegazione che va a comunicare al generale spagnolo l’intenzione di abbandonare la lotta.

Venne mandata una commissione dal generale Martinez Campos, che fu tanto gentile da mettere addirittura a disposizione un treno per il suo trasferimento.

(Tratto da: Oscar Loyola Vega, Historia de Cuba 1492–1898, Editorial Pueblo y Educacion, pp. 290 – 292.)

Vabbe’, insomma, come non sorridere, tra i cavallereschi spagnoli e i cubani ancora più cavallereschi a raccontarla così nei loro libri di Storia.

E poi una si immagina le facce di ‘sta gente sul campo di battaglia, coi cubani perplessi e gli spagnoli con l’aria angelica, dai.