Cosa facciamo quando facciamo un esame?
Sui giornali italiani vedo che si comincia già a discutere (…) sugli esiti degli esami. Più promossi o meno promossi? Voti più alti o più bassi? E si fanno conti sulle percentuali. Voti più bassi, esame più impegnativo. No, voti più alti, esame più serio.
Anche su it.istruzione.scuola.
Io vorrei che la smettessimo di dare i numeri, lasciando a Tre-Carte-Tre-Monti questo svago, e tornassimo a parlare di scuola, di insegnamento, del nostro mestiere.
Se l’esame servisse solo a dare un bollino di qualità, potremmo tranquillamente delegare quest’incombenza ad un’agenzia esterna, tipo quella della banana Cichìta, l’emblema azzurro della nostra Repubblica tropicale.
Ma io penso che l’Esame di Stato conclusivo dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore ecc. sia, appunto, la conclusione di un corso di studi, e che di questo corso di studi faccia pienamente parte: non ne sia un’appendice opzionale.
Voglio dire: l’esame serve sì a valutare e certificare una preparazione. Ma io penso che noi dovremmo metterne in risalto soprattutto la valenza educativa.
Lavorare in vista di uno scopo, che non sia solo dettato dalle nostre pulsioni viscerali. Confrontarsi con un problema impegnativo, quale quello di rispettare scadenze, contenuti, modalità, dettati da una società più complessa del nostro piccolo mondo quotidiano. Affrontare il confronto con il mondo esterno, una Commissione di cui non sappiamo fino all’ultimo la composizione, formata da professionisti che vengono da diverse esperienze, hanno diverse e imprevedibili tendenze, competenze, paranoie. Entrare in un gioco di cui non conosciamo in anticipo il risultato, ma solo le regole – mettendo in conto anche il rischio che qualcuno non rispetti queste regole.
(Il corsivo si riferisce all’epoca pre-Moratti…)
Fare tutto questo, e dedicare un intero anno scolastico (perché no: un intero triennio) a prepararsi a questo, penso che sia, per i ragazzi, sommamente educativo.
Da parte nostra, degli insegnanti, occorre essere adeguati a questo compito. Rispettare i ragazzi, e soprattutto rispettare la funzione che in quel momento rivestiamo. Capire i loro bisogni e loro debolezze, ma anche saperli mettere di fronte alle loro responsabilità. Dare in ogni momento l’immagine di gente che sta facendo molto seriamente una cosa molto seria. Per certi versi è la lezione più importante che diamo.
Offendetevi pure, ma io penso che chi non capisce l’importanza di tutto questo non abbia capito un cazzo del nostro mestiere.
(Dal sito di Maurizio Pistone)
Io non mi offedo, ma tu hai presente la classe docente a cui vorresti delegare questo arduo compito? Sei stata nelle sale insegnanti, immagino.
Non parlo delle classi, quella ? la parte migliore della scuola. Parlo delle sale insegnanti. Dei consigli di classe. Dei collegi dei docenti. Non mi parlare delle eccezioni, io intendo la regola. La media. C’? il classico italiano medio, non ? un invenzione, e c’? anche il professore medio. Diciamo maggioritario.
Belle parole, giuste anche, ma il lavoro va fatto a monte, la commissione di un esame non si pu? inventarla come una bella favola, dal niente. Ci vuole del materiale. E non ce n’?. Inutile far finta di niente. Non ce n’
Eh no, qui dissento io. Perch? se uno decide di fare il professore dovrebbe essere un po’ sopra la media, almeno si dovrebbe sforzare. Perch? insegnare, e da quanto scrivi penso sarai d’accordo, ? una responsabilit? enorme, non solo culturale, ma anche sociale, civile, direi.
Come un chirurgo, o chi pilota aerei in cui viaggiano migliaia di passeggeri al giorno affidandogli la loro vita, in qualche modo, ad ogni viaggio.
Insegnare dovrebbe essere qualcosa di serio, rispettato e rispettabile.
E invece.
Allora perch? tanti discorsi sulla cosiddetta maturit?, perch? vorremmo dare ai ragazzi quello che neanche la classe docente ha. La seriet?, l’onest? intellettuale eccetera eccetera.
Ho visto ragazzi uscire a calci in culo dalle superiori, un 36 stiracchiato (ai tempi) e poi diventare ingegnere alla Ferrari. Alla Ferrari, capisci. E i commissari d’esame gli avevano raccomandato: “Studi quello che vuole, ma non ingegneria”. Complimenti.
Viceversa, conoscerai anche tu brillanti 60 trasformatisi kafkianamente in impauriti e fallimentari universitari, insicuri, in fuga da due, tre universit? perch? sapevano solo studiare in modo guidato, le paginette dell’antologia, l’interrogazione quasi prevedibile, le domande sempre uguali. La figura di Renzo nei Promessi sposi.
E’ facile andare bene a scuola. Basta studiare. Studiare non ? difficile. Nessuno, o almeno pochi, ti insegnano il resto. Capire, voler capire, fare domande e non accettare supinamente la prima risposta che ti viene data. Collegare le conoscenze.
Io non sogno una scuola pi? severa, pi? seriosa. Sogno una scuola in cui se a un professore d’ITALIANO chiedi se conosce Baricco, o Vasquez Montalban, lui non ti guarda con una faccia come se avessi detto una parolaccia. In cui ci sia un po’ meno Pascoli, meno Leopardi (l’ho detta grossa, lo so) ma magari un corso sul Neorealismo. Tu dici: senza Leopardi non puoi capire il Neorealismo, dico cos? per fare un esempio. Ma quella sarebbe la rampa da cui ramificare il discorso, riprendere Leopardi, arrivare anche pi? in l?.
Il problema della scuola, e di molti insegnanti, ? che non sanno assolutamente rendere interessanti le loro materie, in s? interessantissime. Sono aridi, non vanno pi? in l? del libro, magari fanno le 4 di notte per preparare un compito, ma non danno alcuno stimolo. Leopardi, o Dante, insegnato anche attraverso Andrea Pazienza, o Dylan Dog, perch? no. Attraverso quello che i ragazzi possono capire meglio, e capire che Pazienza, per esempio, aveva una cultura che loro se la sognano, e che la cultura non serve solo per salire su una cattedra e pontificare, o per scrivere cose incomprensibili in una pagina culturale a beneficio di pochi. Questa, anzi non ? cultura. Cultura ? comunicare, comprendere e farsi comprendere, voler conoscere, fare domande e cercare pi? risposte, perch? spesso non c’? UNA risposta sola.
Ma questo, a scuola, nessuno te lo insegna. Ci sono i programmi. C’? il Foscolo, il Monti (ah, che utilit? infinita, sapere i nomi delle donne a cui Foscolo si riferiva quando parlava delle Grazie).
C’? Seneca. Ma buttato nelle teste come un sacco pieno di niente, sganciato dalla nostra realt?, dai nostri tempi, che invece si sono edificati anche su Foscolo, e su Seneca, su Platone, gente che non esiste solo sui libri, perdiana.
Sogno una scuola con professori che dovrebbero fare corsi di aggiornamento non sulle nuove tecniche didattiche (sempre quelle, rimasticate in maniera diversa), ma sui fumetti, sul linguaggio cinematografico, sulla storia dei beni voluttuari (c’? un libro bellissimo, piccino ma molto molto interessante, per i caratteri della Bruno Mondadori, assai pi? utile di un intero manuale di storia).
Spiegare il congiuntivo dubitativo latino facendo tradurre Should I stay or should I go. Sembra una cazzata, ? vero. Ma l’ho fatta, e ora i ragazzi conoscono meglio degli altri l’uso del congiuntivo latino, e se lo ricordano cantando.
Bisogna parlare il linguaggio dei giovani, non imporre il nostro, fatto di anni di studio, di esperienze diverse, di letture stratificatesi negli anni. Ah, le letture.
Ho visto persone con la licenza media molto pi? colte e famelici lettori di laureati con tanto di lode, magari.
La cultura non si insegna, si trasmette, ? una cosa che attinge non ai libri, ma al nostro essere umani, alla nostra sensibilit?, questo io penso che gli insegnanti dovrebbero capire.
E abolire questa farsa della maturit?, oggi pi? che mai inutile e farseca. Magari farli lavorare ad una tesi, come all’universit?. Un lavoro tutto loro (non come quelle cosiddette tesine che ora dovrebbero portare, scopiazzate qua e l?, in cui la longa manus di genitori, fratelli maggiori o zii docenti ? sempre evidente), su un argomento, su una sola materia, magari, ma lla quale abbiano speso un paio di mesi, entrando in una biblioteca magari (quaalche studente sa forse cos’?, cosa c’?, in una bibioteca?), scrivendo le PROPRIE idee, spaziando da Einstein a Lucrezio, ma usando quello che sa, non ripetendolo pedissequamente per la gioia del professore pi? ignorante di lui.
Ma, come te, sogno una scuola irrealizzabile, lo so. In questo, almeno, siamo simili.
Ellapeppa.
D’altra parte, si ? chiamati a lavorare con giovani italiani medi, dotati di genitori medissimi e che, domani, avranno datori di lavoro medi, colleghi medi, superiori e sottoposti medi…
Perch? mai il professore dovrebbe essere straordinario?
(Il vero prof, lo straordinario lo fa, non lo ?.)
Avrai capito che stavo facendo dell’ironia, suppongo… ? vero che i miei sogni sulla scuola si sono molto ridimensionati, con gli anni, ma da qui ad auspicare la mediocrit? professionale ce ne passa…:)
Tu dici, in sostanza, che la scuola non ha il monopolio della formazione, e sono d’accordo.
Che, anzi, a volte ? fuorviante, e sono d’accordo anche su questo: la figura dello studente bravo che, a 18 anni, si accorge di essere solo mediocre, ? una delle pi? tristi che io conosca. Straziante, eppure molto frequente.
(Anche se, in genere, questi ragazzi li cominci ad identificare gi? al triennio, perch? ? l? che le interrogazioni smettono di essere prevedibili..)
E dici che la scuola dovrebbe essere pi? inserita nella contemporaneit?.
E qui ti seguo anche, per carit?… ma con riserva.
Al di l? del fatto che nutro un’istintiva allergia per Baricco, io ho poche certezze scolastiche: una delle pi? solide, tuttavia, ? che i ragazzi hanno bisogno fondamentalmente di gente seria e corretta.
Alla fine, il prof ? innanzitutto un testimone di come essere adulti… i ragazzi ricordano per sempre la coerenza, la passione, l’onest? di chi si ? trovato a guidarli… sulle doti da intrattenitore, sono disposti a chiudere un occhio.
E’ interessante, l’uso delle canzoni per il latino, ma noi di lingue le facciamo tutti i giorni, queste cose… mi fa piacere che voi ‘classici’ stiate prendendo in considerazione le nostre tecniche didattiche…:))
Insomma, non estremizzerei le posizioni.. e poi, quando si scrive su internet, spesso si discute e ci si punzecchia dicendo, in realt?, la stessa cosa.
Per?, guarda, le critiche che tu rivolgi agli insegnanti si basano sull’ “essere”, pi? che sul “fare”, e sento un po’ di ingiustizia…
Tenersi culturalmente aggiornati ? molto bello, e in universit? si fa: hai uno stipendio che corrisponde a una fascia sociale borghese, ti muovi in una struttura che ti offre dei mezzi, hai poche ore di lezione e tanta ricerca da fare, non hai responsabilit? verso gli studenti che non siano quelle strettamente legate alla disciplina che insegni.
In queste condizioni, “trasmettere cultura” ? il minimo che tu possa fare.
A scuola, invece, hai uno stipendio che sancisce la tua appartenenza al proletariato; gli strumenti, spesso, sono i tuoi personali e te li porti da casa e la biblioteca, se c’?, c’? perch? l’ha fatta il collega; il tuo tempo se ne va nel fare-fare-fare e tempo per la tua cultura non ne hai pi?. Io ho ripreso a leggere, ad andare al cinema e al teatro e a sentire conferenze quando, grazie all’universit?, ho vagamente allentato i miei ritmi di lavoro. Pazzesco, vero…?
E, soprattutto, a scuola tu sei responsabile di personcine che, spesso, non hanno nessun altro punto di riferimento. Anche se, in apparenza, un padre e una madre ce li avrebbero pure.
L’ho scritto mille volte: la societ? si deve decidere. Se vuole che facciamo da contenitore sociale, lo facciamo. Se vuole che trasmettiamo cultura, si procuri dei contenitori sociali diversi. Se noi cerchiamo di fare tutto, finisce che schiodiamo. E, infatti, la maggior parte di noi schioda oppure, dopo tot anni, tira i remi in barca e decide di fottersene e di salvarsi la vita.
Insomma… non ? che tutti gli sfigati d’Italia si siano dati appuntamento nelle sale prof; forse sono le sale prof a trasformarti, alla lunga, in uno sfigato.
Te lo dico con un’amarezza profonda: io adoro insegnare e adoro i ragazzi, ma la scuola ti costringe, piano piano, ad abbandonare la materia che insegni e a riciclare le conoscenze.
Per coltivare la tua materia, devi andare in universit?.
Infine, una considerazione: i prof “giovani”, dal mio osservatorio, sono quelli che i ragazzi considerano pi? irritanti. E’ un po’ come con i genitori: un ragazzo ti vuole risolto, serio e lineare. Magari, poi, ti contesta… per? ti vuole cos?. Un fratello maggiore e, per giunta, pi? figo, riesce solo a plagiarlo o a farlo incazzare. Quando la societ? era pi? patriarcale, la figura del prof ‘amico’ tirava di pi?, forse.
Oggi, in noi, i ragazzi cercano disperatamente un ‘padre’, anche se sei femmina e hai un fiocco rosa in testa. Perch? hanno madri sole, padri ragazzini, uno smarrimento assoluto addosso e sono cresciuti davanti alla TV e senza un adulto nel raggio di chilometri.
Quindi noi dobbiamo assolutamente essere seri, perch? spesso siamo la loro unica occasione di guardare in faccia la seriet?. Se abbiamo una missione, ? quella.
Altrimenti ci impazziscono davanti, ‘sti peppetti.
Abbiamo il dovere di fare loro da contenitore emotivo, che ci piaccia o no. E spesso non ci piace, lo so.
Mia figlia ha fatto l’Artistico e ne ha piene le tasche, di prof che si fanno le canne, di prof che vogliono uscire con te la sera, di prof che, in gita, si mostrano in mutande e trovano adorabile che i ragazzi scopino. Certi prof che si sentono eterni giovani (e che invece, per i ragazzi, sono la cosa pi? stantia del mondo) per i ragazzi sono una semplice sofferenza, e il rimpianto di un’occasione di crescita mancata.
Ecco: se devo pensare a un problema serio della scuola nostrana, a me vengono in mente questi irresponsabili qui.
Mah….