Io vengo da un congresso in Alto Egitto che mi ha completamente fagocitato, negli ultimi giorni.
Il tema era, grosso modo, “La letteratura come strumento di conoscenza reciproco tra arabi e resto del mondo.” Non esattamente così, ma il succo era questo.

Vengo, dunque, da due giorni di dibattiti sul come ci vediamo a vicenda, noi e loro.
E mi ripromettevo, tornando a casa, di rilassarmi scrivendo qualcosa, chessò, sullo spirito da infante in gita proprio del felice congressista pieno di gadget e intrattenuto, in quanto ospite importantissimo (anche se sei della casa e, normalmente, devi ululare per ottenere una fotocopia) con tanto di gita sul Nilo e tappeti rossi e sale d’attesa con l’aria condizionata miracolosamente apparse alla stazione, per l’occasione. Che, magari, ‘sto centinaio di congressisti avrà pensato che fosse normale, aspettare il treno al fresco in un elegantissimo salone, ma io e la collega eravamo sbigottite.
Qualcosa sul bambinone che è dentro di noi e, magari, pure sui piccoli nervosismi di un’emozionata sottoscritta tra emozionati colleghi, ché non si dice e si fa gli indifferenti ma, insomma, non è che uno le faccia tutti i giorni, ‘ste cose.

O sul meglio e sul peggio di questo paese, che nelle grandi occasioni viene fuori tutto, e in contemporanea: lo spiegamento di effetti speciali tirato fuori dalla mia cittadina, innanzitutto, che ha fatto le cose in stra-grande e deve aver speso una fortuna, e il MegaGovernatoreGalattico che ha messo mano al portafoglio e che, mentre io lo ammiravo con tutto l’interesse dovuto ad un simile personaggio circondato da scorta e notabili, ha pure trovato l’humour di spiazzarmi con una malandrinissima sfida a sguardi che ci mancava solo che mi facesse l’occhiolino, ed è che gli egiziani non si smentiscono mai…
E, soprattutto, l’assoluto entusiasmo del centinaio di giovanotti e giovanotte sguinzagliati a fare da comitato d’accoglienza, e la preside che saltellava qui e là felice come una Pasqua e tutti contentissimi del loro megacongresso e determinati a fare bella figura pure a costo della vita, ché qui la gente non conosce il pudore della contentezza. Non sa manco cosa sia e questa è, forse, la cosa dell’Egitto che io amo di più.
“Ma tu hai visto che spiegamento?? Ma sono tutti contentissimi!!! Ommadonna come sono contenti, ossantocielo…”
Persino preoccupante, ché tanta contentezza ti responsabilizza.
E in concomitanza, però, le leggerezze catastrofiche di un sistema universitario che, così come è capace di sfornare gente bravissima, sforna pure dei cani inenarrabili, e una non se lo spiega né se ne riesce a fare una ragione.

E, insomma, ‘interculturalità’ è stata la mia parola d’ordine per due giorni, mentre ero isolata dal mondo e chiusa a doppia mandata nella letteratura.

Poi sono arrivata qui, ho letto i blog e i giornali e mi sono ricordata che, fuori, è un’altra cosa.
C’è la guerra, già.
L’Italia è in guerra, pensa te.

Ed io, dopo aver visto questo e letto questo, spengo il computer e me ne ritorno in Egitto.