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Che poi, per quanto ciò possa stupire qualcuno, io passo buona parte del mio tempo sfiorando l’arresto per strangolamento di egiziani.

Ieri è stata l’apoteosi.
Esco di casa intenzionata a visitare il famoso Suq El Guma, mercato descrittomi come interessantissimo e forse un po’ inquietante: ci vendono gli animali e si vedono un sacco di acquirenti cinesi che comprano cani.
Si sospetta che siano cuochi.
Vabbe’: è un mercato che c’è solo di Venerdì, io non sono mai riuscita ad andarci prima e mi dico che questo è il giorno giusto.

Intenzionata a scansare i taxi, che ritengo siano il vero pericolo per la vita di un’occidentale nel mondo arabo, mi infilo nella metropolitana.
“Dove mi conviene scendere, per andare al Suq El Guma?”
“Uhm. A Matariyya”.

Ora: questo è stato il primo degli innumerevoli errori da me commessi ieri. Io LO SO che, quando qui non ti sanno dare un’indicazione, pur di non ammetterlo se la inventano.
Lo so, eppure ieri non dovevo essere molto lucida.
Pur con qualche perplessità, dunque, mi sono imbarcata per Matariyya, che è in capo al mondo, e per sicurezza ho chiesto ad altri passeggeri: “Scusate: per andare al Suq El Guma devo scendere a Matariyya?”
Errore n.2: non si deve suggerire la risposta, nella richiesta di indicazioni. L’egiziano medio, che a stento riesce a decifrare il tuo accento da patata, è gentile e ti risponde di sì. Qualsiasi cosa tu gli chieda.

Scendo a Matariyya, dunque, estrema periferia nord-est del Cairo, e lì apprendo che il Suq El Guma è altrove.
Mi arrendo e fermo un taxi.
Prima di salire glielo chiedo: “Tu sapere dove Suq El Guma?”
“Aha”, mi dice convinto.
Cerca di comunicare oltre ma io ho raggiunto i miei limiti linguistici ed ho dimenticato il dizionario a casa.
Andiamo. E poi andiamo. E ancora. Andiamo lontanissimi attraversando enormi arterie di periferia mai viste prima. Mi allarmo quando vedo i cartelli che segnalano l’autostrada per Suez.
“Ehi, Suq el Guma!!”
“Aha.”
E arriviamo, infine, in uno spiazzo enorme, gigantesco, pieno zeppo di cairoti che vendono la propria macchina.
Centinaia e centinaia di macchine col cofano alzato e il conducente dentro, a volte con famiglia, tutte in vendita. Le macchine, dico.
Ma io mica voglio vedere il mercato delle auto usate!
Penso che, forse, questa è una sezione del mercato vero e proprio: la zona dove vendono gli animali, con i cinesi e tutto, sarà sicuramente nei dintorni.
Come si dice ‘animali’ in arabo?
Io so dire ‘gatto’, ‘hotta’.
“Hotta!! Miao!! Miao!!”
Il taxista è partecipe: “Aha. Bau?? Bau, bau, grrr????
“Aha. Bau, miao.” concludo, rasserenata.

Ripartiamo e, dopo circa venti minuti – io riflettevo sui destini del mondo, intanto – mi allarmo di nuovo.
Dove cavolo stiamo andando?
Comincio ad agitarmi, il taxista si innervosisce per il mio nervosismo e la sua guida peggiora.
E’ un omino di una certa età e, se sta attento a me, non guarda la strada.
Rischiamo la vita diverse volte, io decido che è meglio tacere e, giusto mentre sto per decidere che devo scendere e cambiare taxi, lui si infila in una sopraelevata.

Bene: che il Cairo fosse pieno di sopraelevate lo sapevo già. Ieri, però, ho appreso che il sistema di sopraelevate forma una specie di tangenziale che circonda tutto il Cairo.
Perchè lui si piazza lì sopra e non scende più.
Ma proprio più, ed io, ormai, sono su un ottovolante gigantesco senza nessuna possibilità di fuggire.
Sfrecciamo come pazzi all’altezza dei tetti delle case, circondati da macchine che, correndo pure più di noi, mi impediscono di ingiungere al taxista di rallentare: se rallenta, ci fanno fuori.
Macchine che si immettono senza guardare, nessuno che dà la precedenza a nessuno, un guard rail simbolico tra noi e il vuoto e passa almeno mezz’ora e noi non scendiamo mai.

Sai quando ti senti una cosa? La strana sensazione di premonizione che ci prende a volte, dico.
Ecco: a me viene la certezza assoluta che, se non scendo da ‘sto taxi il prima possibile, ci morirò dentro.
La certezza, proprio.
E non ho nemmeno il coraggio di fiatare: lui non mi capisce ed è capace di girarsi per leggermi il labiale, se dico qualcosa. Non ho nessuna intenzione di collaborare al nostro sfracellamento, sono assolutamente attonita e taccio.
Dopo aver viaggiato tra i tetti per un’altra infinità di tempo, riconosco il sud del Cairo.
“Oddio. Ma mi starà mica portando al mercato dei cammelli che c’è in capo al mondo, dopo le piramidi??”
E, a quel punto, prendo il telefono e chiamo Margherita, che parla arabo.
“Pronto, ciao, sono Lia, sono sequestrata in un taxi da più di un’ora. Continuiamo a viaggiare tra i tetti e io voglio scendere e non so come fare.”
Margherita, lesta, decide che è un problema da risolvere tra uomini e mi passa il marito.
Spiego il problema a Maged e gli passo il taxista.
Intanto abbiamo oltrepassato il Nilo. Loro parlano e, finalmente, scendiamo.
Terra!
Saluto Maged e, colma di un furore che non è possibile rendere in parole, ordino al taxista di fermarsi.
Lui, sereno: “Va bene qui?”
Io scendo senza una parola, gli metto in mano un mucchietto di spiccioli e faccio per andarmene.
Lui protesta: “Ma non bastano! Abbiamo viaggiato per più di un’ora!”
Ed io lo sbrano. Mi metto a urlare come una pazza che lui mi ha sequestrato, mi ha fatto prigioniera, che io volevo andare a Suq El Guma e invece sono sul Nilo e che, se non sparisce immediatamente dalla mia vista, lo strozzo con le mie mani.

Me ne vado e lui mi cammina dietro, muto e dimesso.
Mi infilo in un ristorante.
Il taxista dietro.
Mi siedo a un tavolo e il taxista si siede con me, con l’aria serenissima di uno che vuole risolvere la questione davanti a una bella tazza di tè.
Io, ormai, sono un concentrato di adrenalina a pressione, mi tremano le mani e, se avessi una pistola, gli sparerei.
Chiamo la proprietaria del ristorante e le ingiungo di liberarmi di quell’uomo.
Arriva suo marito, arrivano i camerieri, si confrontano le versioni, io non intendo ragioni: “Fate sparire quest’uomo!! Subito!!”
Se lo portano via. Rientrano.
“Ma lui dice che deve avere 10 LE e ne ha avute solo 6”
“Dieci botte in testa, gli do! Quest’uomo non sapeva dove andare e non mi faceva scendere!! Io non gli do niente. Mi riprendo pure quello che gli ho dato, anzi!!”
Se lo riportano via. Rientrano.
“Proprio non glieli vuole dare, i suoi 10 LE?”
NOOOOOOOO!!!!!!”
“Ok, ok.”
E se lo riportano via, stavolta definitivamente.
E vengono ad accendermi la sigaretta, a tranquillizzarmi, a farmi le coccole e io affogo le mie pene in una Mirinda e, infine, la proprietaria mi si avvicina solenne e mi fa: “Congratulazioni. Lei è la nostra prima cliente! Questo ristorante ha aperto i battenti solo oggi.”
Ancora un po’ e mi affogo con la Mirinda: alla faccia della prima cliente!

Poi sono tornata a casa, ho scritto sul blog, ho cenato e mi sono messa a letto con un bel libro.
E, un attimo prima di addormentarmi, ho avuto l’illuminazione.
Sono saltata a sedere sul letto: “Ma Guma, o Gouma, o Gu’ma o come si dice, vuol dire venerdì!! Non è un luogo!!”

Praticamente, io gli continuavo a dire “mercato del venerdì”, a quel poveretto.
E lui vagava, cercando di capire a quale, tra le centinaia di mercati del venerdì che devono esserci al Cairo, io volessi andare.
Cavoli.
Sì, ok, non era un genio, però pure io…
Gli devo 4 LE.
E chissà se lo rivedrò mai, che qui di taxisti ce ne sono 60.000…

Uno, poi, dice che io parlo bene degli egiziani.
Non lo so: so che mi capita spesso di essergli molto grata per la pazienza che hanno con me.
Che non mi abbiano ancora strozzato è un mezzo miracolo.