Le “bonnes” le ho trovate descritte sul blog dell’attento giannitos ma arrivano da Narcomafie, addirittura:
In Marocco esiste una forma di schiavitù, benché illegale, socialmente accettata. Coinvolge bambine di 8-10 anni, appena in grado di fregare per terra con un po’ di energia e di accudire un altro bambino. Non si paga all’acquisto, ma a rate, mese per mese. Non esiste nessun contratto fra le due parti: il padre-padrone lascia la propria figlia a servizio di una famiglia, ma conserva la facoltà di andare a riprendersela. Anche dopo anni, anche se ormai la bambina si è abituata, e in qualche modo affezionata, ai suoi padroni. La chiamano la “bonne”, la bonne femme.
Il ricordo, di infanzia ma anche oltre, è su mia nonna, che di “bonnes” ne aveva ben due.
Si chiamavano Concetta e Giuseppina (ho alterato un po’ i nomi originali, ma neanche tanto) e venivano da un paesino sui monti dell’Irpinia.
Erano sorelle e arrivarono da mia nonna quando Concetta aveva 9 anni e Giuseppina 10: avevano perso la mamma e il padre, contadino, le portò giù “a servizio”, come si diceva una volta, e proprio da mia nonna perchè, da sempre, in Irpinia c’era un rapporto abbastanza feudale tra “chi aveva le terre” (o le aveva avute) e chi le coltivava; rapporto che, comunque, implicava una fiducia reciproca basata sul conoscersi da generazioni.
Noi che, oggi, abbiamo un nome per tutto, distinguiamo perfettamente tra una colf e una serva.
Allora le cose erano meno precise, specie nella provincia campana a cui mi riferisco.
Concetta e Giuseppina dormivano nello stesso letto in una stanzetta in fondo alla casa, mangiavano in cucina e non avevano un orario di lavoro: avevano il pomeriggio della Domenica libero, semplicemente.
Non percepivano uno stipendio: avevano i soldi per il gelato della Domenica. Mia nonna, poi, mandava una cifra al loro papà e, contemporaneamente, metteva via i soldi e la biancheria per la dote di entrambe, secondo gli accordi.
(Curioso che il sito che parla delle “bonnes” marocchine non parli di dote: è anche vero, però, che nelle società islamiche la dote la porta il marito.)
Soprattutto, mia nonna “educava” le due ragazze. Bambine, diremmo oggi.
Il loro status sociale (no, non svenite, è tutto vero) implicava che l’educazione data a loro fosse diversa da quella che veniva data a noi nipoti: loro non potevano indossare i pantaloni, per esempio, e noi sì.
Erano controllatissime: quando uscivano la Domenica, potevano solo passeggiare lungo il Corso. Non potevano leggere i fotoromanzi nè, tantomeno, i romanzi rosa. “Gente” era consentito, invece.
Sulla loro moralità non si transigeva in alcun modo: quando il padre delle ragazze si ammalò gravemente, mia nonna salì al suo paese per dargli l’estremo saluto: narrano le cronache che lui, sul letto di morte, le abbia baciato le mani pregandola di consegnare le sue figlie, istruite ed illibate, a dei bravi mariti.
Era chiaro che sarebbero uscite da casa di mia nonna solo da sposate, e questo concetto non venne mai messo in discussione da nessuno.
Mia nonna era sempre molto fiera degli insegnamenti di economia domestica che ricevevano in casa sua e ripeteva spesso che sarebbero diventate ottime mogli. L’istruzione a cui tutti si riferivano era questa.
Sapevano stirare chilometri di “mensali” ricamati, sapevano fare cose che io non saprei nemmeno descrivere perchè mi manca la terminologia per farlo e la competenza per sapere che vanno fatte. Cucinavano bene.
Dovevano essere capaci di fare tutto e, quando facevano male qualcosa, le prendevano. Sì, non sto scherzando: mia nonna prendeva la cucchiarella di legno e le menava. Specie Concetta, che era più ribelle e ne prese una caterva, negli anni.
Eppure non era cattiva, mia nonna. Era sinceramente convinta che fosse per il loro bene. Era nata e cresciuta in un mondo che era fatto così, semplicemente.
Io avevo un anno meno di Concetta e, quando cominciai a rendermi conto che c’era dell’ingiustizia, in tutto questo, ne avevo ormai 14. Me ne resi conto perchè venivo da Napoli, dove le cose erano diverse, e lo manifestai chiaro e forte perchè mi ero appena iscritta al Collettivo Democratico Antifascista del mio liceo.
Le due ragazze mi guardarono come una marziana, mia nonna mi informò che queste cose non si fanno e i parenti tutti diagnosticarono che stavo avendo un’adolescenza difficile.
Nessuno mi si filò manco di striscio, insomma.
Finì che si sposarono con due “bravi giovani”, a cui portarono dote e lenzuola ricamate. Concetta si portò via anche un mestolo d’argento, a dire il vero, e mia nonna non glielo perdonò mai: “Con tutto quello che ho fatto per lei!”, continuò a dire per decenni.
L’era delle nostre “bonnes”, intanto, era finita. Le successive colf di mia nonna ebbero un orario di lavoro, stipendio, con il tempo persino i contributi e, soprattutto, nessuno si preoccupò più del loro abbigliamento, dei loro gusti e della loro moralità.
E non so che fine fece la cucchiarella. Venne usata solo per girare il ragù, suppongo.
Io non 158 anni. Ne ho 42.
Eppure, quando leggo cose come quelle citate qui sopra, non penso a selvagge usanze islamiche, ma a cose che ricordo di avere visto e vissuto, persino in casa mia.
Riconosco l’usanza descritta e mi infastidisce la carica di giudizio etnocentrico di chi la descrive.
Il “padre-padrone”. Certo, esiste in tutte le società contadine. Concetta, o la “bonne” marocchina, non sono figlie del cristianesimo e dell’Islam, ma del fatto di non provenire da una società industrializzata.
Il padre “conserva la facoltà di andare a riprendersela”. Certo, e ci mancherebbe altro. Si chiama patria potestà. Il contrario sarebbe allucinante, a dir poco. Eppure, la giornalista lo dice come se fosse un arbitrio, una cosa scandalosa.
Come se il padre di Concetta e Giuseppina avesse smesso di essere il loro padre, una volta subentrata mia nonna. Ma scherziamo?
E giù immagini di ragazze “vestite di stracci” e casi esemplari, spesso frutto della semplice fantasia di chi li racconta.
Non lo capisco.
Si vuole rimproverare ai paesi non industrializzati di non possedere gli usi, i costumi e la mentalità di quelli industrializzati?
Mi sembra curioso: quando non ci sono le fabbriche, i lavori umili sono questi e cominciano fin dall’infanzia.
Mica ci sono solo le “bonnes”: ci sono i pastori e le pastorelle, alti quanto le loro capre.
Ci sono i campi da coltivare con la zappa, quella vera: chiedetelo al Contadino, quanto costa fare a meno della zappa: impensabile, da queste parti.
Ci sono gli apprendisti, che cominciano alla stessa età delle “bonnes” e fanno una vita, spesso, ben più dura e ancora meno garantita, proprio perchè sono maschi.
E’ il terzo mondo, ragazzi.
C’è poco da farci gli articoli su Narcomafie giusto per dare addosso al padre musulmano di turno e farci credere che i musulmani, come i comunisti di un tempo, mangiano i bambini.
Si potrebbero scrivere interi libri su come viene usato il linguaggio per attribuire caratteristiche mostruose a tutto ciò che è islamico.
Grazie al cielo, su mia nonna e la sua generazione di ultime meridionali dotate di “bonnes” non c’è mai stata nessuna denuncia di Narcomafie.
A nessuno è mai passato per la mente di considerarle mostri primitivi.
Non ci hanno bombardato per farci cambiare.
E’ semplicemente successo che qualche coetaneo di quelle due ragazze è andato al nord per lavorare in fabbrica, magari, e poi da cosa nasce cosa e, insomma, è cambiato tutto.
La cosa veramente strana di tutta questa faccenda, secondo me, è la nostra abissale mancanza di memoria.
Le cose sono cambiate molto in fretta, da noi. C’è stata una mobilità sociale che ha capovolto la faccia dell’Italia.
Non mi sembra un buon motivo per diventare tanto smemorati, tuttavia.
Per non riuscire a capire che altri popoli si comportano esattamente come si comportavano i nostri nonni, in contesti economici assolutamente rapportabili a quelli loro di un tempo.
Mi sembra che almeno chi è cresciuto nell’Italia del sud le dovrebbe ricordare, queste cose. Le dovrebbe dire.
Concetta deve avere 43 anni, adesso, e Giuseppina 44.
Magari hanno un blog.
L’immagine della piccola compagna lia con i suoi slanci rivoluzionari sedati dai parenti con un pat pat sulla testolina ? stupenda.
Vedi Lia, anch’io ho preferito fare un post, anzi un postino, invece che un commento lungo.
gi? pregustavo qualche bel commentone ghignoso di qualche leghista. e invece…
p.s. ma da quando le avvertenze ai commenti? secondo me ? deterrente pi? per chi vorrebbe fare il commento frivolo, che per i soliti militanti (neoconi, ca va sans dire)…
Concordo…mi viene in mente qualche anno fa quando ad uno filo-AN mi azzardai a dire una cosa
del tipo…
“Ma non capisco perch? tutte queste storie contro
gli islamici…in fondo mi risulta che fino a
non molto tempo fa manco gi? in Sicilia le donne
godessero di grande libert?…”
Quello (siciliano) si ? incazzato come una bestia e c’ha tenuto a dire che in Sicilia le donne erano “sempre state rispettate perch? comandavano loro in famiglia”…obiettivamente mi pare pi? coerente quanto dici tu rispetto a quanto diceva
quel “tipo”. Ma d’altronde qui in Italia in tanti sono prontissimi a tirare fuori il “Medioevo” quando parlano dell’Islam e non si ricordano manco
di qualche decennio fa…
Ciao,
Guido
Ah…quanto ho tirato fuori con il “tipo” in questione, ovviamente, era dovuto al fatto che quello ne diceva di peste e corna contro gli islamici…
esemplare. Io di anni ne ho 36, vengo anch’io dalla provincia campana, ho fatto in tempo a vedere qualche bonne invecchiata e diverse colf (del posto, non straniere) rimaste completamente analfabete. una di queste si chiamava Giulia: quando lo seppe, mia nonna – che di bonnes ne aveva avute – disse: “Ah per?, che nome per una serva”. Ai tempi, anche i nomi seguivano delle regole di classe. Vent’anni fa.
…E infatti ci siamo scordati,di quando eravamo noi gli emigranti,abbiamo dimenticato le nostre donne del sud con l’hijab nero in testa,i nostri “delitti d’onore”,il vecchio diritto di famiglia che puniva “solo”la donna se tradiva…e cos? via…adesso ci meravigliamo e caschiamo “dalle nuvole”, se , magari un marito “straniero”si comporta come avrebbe fatto un siciliano meno di trenta anni fa!..
Lilith
Verissima, la cosa dei nomi!!
Da mia mamma veniva una donna delle pulizie che, a un certo punto, rest? incinta: parlavamo di come avrebbe chiamato il bambino, e lei gi? a snocciolare i nomi della tradizione napoletana: Gennaro, Carmine, Strato e cos? via.
Ed io le dissi: “Perch? non Andrea, Marco, Luca?”
E lei: “Signur?, mica siamo signori, noi!”
(Ma a me scappa qualche considerazione da esternare pure su un post visto da te, Miic… non ho ancora osato perch? ti ho visto quasi percosso, dopo che ti era capitato di linkarmi. :) )
Le avvertenze le ho messe in un momento di assoluto esaurimento da commenti, e da incavolata nera.
Devo cambiarle, ma l’argomento “commenti” ha un effetto nefasto, su di me, e quindi rimando…:)
per carit? signur?, osate, osate pure, con la faccia mia sotto i piedi vostri!
piesse: ma Strato che nome ?? sar? di nicchissima, limitato a un singolo paese… dalle mie parti ci sono Simmaco, Prisco, Matrona, Castrese…
Posillipo, zona del Casale, protettore Santo Strato. Diminutivo: Stratuccio. Non ? male, quando ti abitui.
Oser? quanto prima, dunque. :)
Come sempre, post e commenti splendidi.
A proposito di nomi, il mio modesto contributo: ora che ci sono le straniere, le sciure milanesi pi? anziane cambiano i nomi esotici (si pu? dire esotico della Moldavia, o solo del Caribe?) in “Marie” “Lucie” e affini simil-donna-di-servizio-veneta-della-loro-giovent?.
A proposito del pezzo: ma sai che mentre leggevo il “pezzo” di Narcomafie non ho pensato per un istante alla religione dei soggetti? Sono io che al solito non becco un sottinteso manco se mi balla di fronte vestito di lilla a pois?
Beh, noi abbiamo avuto i nostri schiavi deportati all’estero anche nel ‘900.
Li abbiamo mandati in Belgio per convenienza. Ne sono morti, ah si se ne sono morti.
Ma hanno anche vissuto e male. Non li abbiamo chiamati schiavi, ma a cosa ti riduce la povert??
Al tempo, l’Italia ha guadagnato del carbone a buon prezzo, questo era l’accordo fra Italia e Belgio.
http://www.emigrati.it/Tragedie/MARCINELLE.asp
Tanto per ricordarci come eravamo…
”L’orda, quando gli albanesi eravamo noi” di Gian Antonio Stella
http://www.orda.it/rizzoli/stella/home.htm
Lettura altamente consigliata ai ”terroni del nord” ovvero i veneti, che hanno fatto in fretta a dimenticare quando erano loro gli emigranti con le pezze al culo…
Si’, si’, tutte belle parole.
Sono abbastanza vecchio da ricordare anch’io qualche Concetta e Giuseppina.
La differenza e’ che a loro nessuno tagliava la clitoride
Statemi bene !!
Aldo Vincent
Io invece avevo una bonne particolare: Adriana. Una gran rompiballe. Non stava mai capita. La sua specialit? era trovare le mie mutande inzaccherate da sotto al mio letto. Una volta me ne sbatt? una sotto al naso: “Ma scusa non hai un ragazzo che ti fa passare tutto sto lavoro?”, cos? mi disse la mia bonne
Concordo con quello che avete commentato fino ad adesso. Molti hanno dimenticato come vivevano i nostri nonni o i nostri genitori. Lia fai bene a ricordarlo ogni tanto!Due anni fa ? arrivata a casa una telefonata di una signora che chiedeva a mio padre se gentilmente io o l’altra mia sorella pi? piccola potevamo sposare un suo nipote…non so chi dei 2, uno valeva l’altro…? successo solo due anni fa.Perch? abbiamo la memoria corta quando ci conviene? Al sud italia se ne sentono ancora di queste cose…devo aspettarmi delle bombe in testa? eh? Katia
Mah secondo me l’articolo di Narcomafie non aveva nessuna valenza antiislamica, e se lo si legge interamente si scopre che il fenomeno delle “bonne” riguarda prevalentemente i Berberi, cio? un’etnia molto povera, non ha una valenza “umanitaria” visto che le “bonne” i genitori li hanno, e costituisce una riduzione in schiavit?. Dato che ? illegale in Marocco, e che comunque il Marocco in Africa ? uno stato che sta facendo grandi passi avanti, mi pare sacrosanta la denuncia di questo stato di cose. Forse sei tu, Lia, a non essere stata abbastanza forte nel denunciare queste ingiustizie coi tuoi parenti, ai tuoi tempi. Io con mia nonna sarei arrivato ai piatti in testa :P
ciao
Flavio
Poi non cediamo ai luoghi comuni che una volta era tutto lecito, era normale, si “usava” cos?… e allora va bene… perch? se per questo una volta le donne manco votavano… meno male che ? venuto il cambiamento (e non certo con la violenza che’ quella proprio dai fascisti era cominciata)… mia nonna, classe 1908, finito il liceo se ne ando’ di casa e visse da sola a Genova mantenendosi e studiando lettere… forse bisogna cambiare un po’ il concetto scontato di “normalit?”… anche rispetto al passato
be’ anche in veneto, tanto per non fare paralleli col solo meridione, fino agli anni settanta -ricordo come fosse ieri- le anziane vedove vestivano integralemnte di nero (calze comprese, anche d’estate!) e spesso con lo scialle nero sui capelli.
Alla faccia dei problemi col “chador” di cui ora va di moda blaterare nelle “civilta’ occidentali”…
Quello che ora si suppone distingua “noi” da “loro” spesso si rivela essere anche cio’ che distingue noi dal nostro passato.
“i veci no parte: i speta a morir, i mor venessiani, i mor col so vin; e vecie va a mesa, col siale a coco’, e mor confesae dixendo e orassion”
Non si dice “vecchia”! Si dice “anziana”! Oh! Uahuahu ;P
Mh… interessante. Io ho gli anni della bonne Giuseppina, e credo di essere scampata solo per un pelo al suo destino, solo perch? sono nata a Roma in un momento storico in cui, almeno nel centro Italia, si cominciava a venir fuori da situazioni di questo tipo. Mia madre e mia nonna, per?, non hanno avuto la bonne. Loro erano loro che andavano a servizio, quando il loro ruolo, di coltivatrice diretta per mia nonna e di aiutante tuttofare e non pagata in famiglia e di stiratrice guardarobiera in un istituto di suore per mia madre (con stipendio trattenuto da mia nonna e mio nonno ai fini della dote)non era sufficiente a sbarcare il lunario. Cominciarono a cambiare le cose dal pi? piccolo dei miei zii, il pi? moderno, ribelle e… coccolato, anche. ;-).
Per quanto mi riguarda io l’ho scampata perch? mia madre ha voluto, per me e mia sorella, un destino del tutto diverso dal suo, che ha dovuto sopportare di arrestare i suoi studi alla terza elementare “perch? sei femmina, e basta che sai fare la firma tua e scrivere e contare”. I miei nonni erano marchigiani, del 1908 lui e del 1910 lei, scesi a Roma dopo il matrimonio, sopportata la seconda guerra, la fame e le tribolazioni, mai capito un corno di diritti dell’infanzia, delle donne e dei lavoratori. Mia madre a nove anni, con uno sgabello sotto i piedi perch? non arrivava al tavolo della cucina impastava e faceva le tagliatelle per tutta la famiglia. Praticamente la bonne di casa era lei, veniva selvaggiamente picchiata da mia nonna, per ogni minima dimenticanza o per il pi? piccolo sbaglio. Una vita tristissima fino al matrimonio, poi tutto cominci? a cambiare. Io avrei potuto odiare mia nonna, e spesso ne sono stata tentata. Ora, per?, se tutti noi nipoti ci ritroviamo qualcosa, una casa, un po’ di benessere… lo dobbiamo anche a loro, anche a lei, la nonna severissima che non ha mai raccontato favole a nessuno. Ora che non c’? pi? sono contenta di avere riconciliato me stessa alla memoria di quel che ? stata, e di averlo fatto prima che se ne andasse, ma sono contenta anche che certe cose, qui, in questo paese, non succedano quasi pi?… ma ? questo “quasi” che mi inquieta. Ora possiamo criticare quanto ci pare i sistemi economico sociali pi? arretrati, ma sta di fatto che ce ne ritroviamo qui una parte considerevole, e non ? che siamo poi cos? splendidi quando si tratta di conferire loro giuste retribuzioni, contribuzioni e trattamento umano adeguato. So che queste situazioni abbondano anche in Egitto, e non solo in Marocco o nel nordafrica in generale, ma non ? detto che sia l’islam a determinarle, anzi… forse mancano piuttosto le volont? politiche acch? tutto ci? abbia fine, ma ? anche vero che sarebbe bene lasciare che le societ? si evolvano da se senza necessariamente postulare l’aiuto e l’intervento dei paesi pi? ricchi o, come alcuni amano dire, pi? civili. Pi? si insiste a battere questo tasto e peggio sar?, perch? nessuno ama sentirsi dire dagli altri cosa deve fare. Credo non occorra se non per qualcuno, qui, neanche ricordare che la pratica dell’infibulazione (taglio della clitoride)..(della o del? Preferisco della.)tutto ? fuorch? islam, ma che, ahim?, purtroppo come tale ? ancora percepito da molti, ed ? pratica dura a morire.
…ma sto diventando lunga, gente. Ciao ciao da qarmida.
43 anni lia??ma ti facevo moolto pi? vecchia
;-)))))))))
42. Non esageriamo.
A chiosa aggiungo anche la mia personale esperienza. Sono un “terrone del nord” ovvero veneto, come da uno dei commenti. Anche se non ho 42 anni, quando mia nonna era viva, mi raccontava spesso di come a Lei fosse toccato un destino per certi versi migliore: la dama di compagnia. Non avendo infatti avuto molte possibilit? di studio, questo le ? servito per migliorare notevolmente la cultura e poter vivere in un’ambiente per certi versi pi? raffinato della casa contadina. Complimenti per il post.
zerocold
Come al solito,ti abbraccerei.Il richiamo alla perdita di memoria,alla frattura che si ? creata tra una generazione,la tua, e quella dei trentenni ? fondamentale. E’ vero,abbiamo corso, ma ci sono ampie fette del nostro sud che convivono ( a fatica) tra la civilt? dei consumi e quella contadina. Tra l’essere e l’apparire, in definitiva. Forse la Moratti invece di togliere dovrebbe aggiungere qualche ora di ripasso.Ciao
Lia! Che scoperta!
E’ un pochino che leggo il tuo blog, e sentivo una certa affinit?, ma che tu fossi di Napoli, non ci avevo pensato! (il mio idraulico, e qualche compagno di scuola si chiamavano Strato). Che, hai fatto le elementari a via del Marzano
Son sempre pi? curiosa di te.
Proseguo la lettura.
Elementari e medie a Santa Dorotea, ahim
Vabb?, adesso per non criminalizzare i mussulmani (che effetivamente non c’entrano niente) non ? che si possa difendere una pratica cos? scandalosa.
Scandalosa.
“I lavori umili sono quelli”, emb?? scusa, ma ti sembra una bella cosa?
Sar? che io invece sono nato e cresciuto in Emilia Romagna.
sbircio ogni tanto qui e mi piace molto la tua prospettiva sulle cose :-)
una email funzionante! caspita lia, questa ? un’idea fantastica! scherzi a parte, si, le cose stavano cos? anche da noi. Quando io stavo per nascere, mia nonna and? dalla fruttivendola e la trov? che picchiava la ragazzina, une delle due aiutanti, perch? aveva mangiato il pezzo buono di una pesca mezza marcia. Compr? l’intero cesto delle pesche, col patto che le desse le due “aiutanti” per portarlo a casa. una volta a casa le mise a sedere a tavola con un coltello per una e fece cavar loro la voglia di pesche. Intere e non marce. Qualche mese dopo, mentre mia madre mi allattava, si prese le febbri maltesi, la brucellosi. Dovette svezzarmi e la nonna mise in giro la voce che le serviva “una picciocchedda de aggiudu”. Si presentarono in tante, anche una delle due piccole, aveva dodici o tredici anni e si chiamava Ginetta. Rimase. Dopo la morte di mia nonna, disse a mia madre che aveva desiderato intensamente vivere con mia nonna dal giorno delle pesche, ed aveva pregato ogni giorno per questo. Tra parentesi mia nonna metteva le marchette, depositava met? dello stipendio in posta e met? lo consegnava al padre, ma solo fino ai sedici anni. A quell’et?, diceva, le minorenni che guadagnano devono avere intera loro la paga, perch? sono emancipate e al padre non spetta pi? di riscuoterne neppure una parte. Aveva anche lei la fissa della dote e del corredo, ma non del matrimonio. Sposati solo se sei sicura, diceva, ? una scelta troppo importante per farla in fretta. Metti da parte il tuo denaro, e non dire ai pretendenti quanto hai. Se ti prendono da povera, saranno ancora pi? contenti se ti scoprono ricca. E i mariti non sono eterni, guarda me che sono rimasta vedova con una bambina piccola!
Il padre di Nen? faceva il pastore, la loro casa era di una stanza sola, col camino ed il forno, e il solaio sopra dove tenevano le granaglie e via dicendo. Nen? mi ha insegnato buona parte delle cose che so, dagli otto mesi ai sette anni: pulire la casa, lavare, cucinare (sua ? la ricetta della lussarza che amo ancora tanto), raccogliere erbe e frutti selvatici nei campi, accendere un fuoco, impastare il pane, pulire e arrostire il pesce, uccidere un coniglio o un pollo, spiumarlo, sventrarlo e cuocerlo, salare e seccare la ricotta,salare e seccare la pancetta, curare un animale malato, picchiare i bambini che mi tormentavano, ricamare, portare una brocca in equilibrio sulla testa, andare a testa alta. Vive in Francia. Per me ? stata mia sorella.
Tu, Ceci, hai una capacit? di commuovermi quando ti leggo che mi fa quasi paura…