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Ci sarà un motivo se una buona percentuale di chi apprezza questo blog possiede una maggiore o minore esperienza personale del mondo arabo, mentre non mi pare che lo stesso accada tra i blog islamofobi.

Ci sarà un motivo se io continuo a ricevere email di persone – e soprattutto donne – che, dopo aver conosciuto questo pezzo di mondo, vorrebbero venire a lavorare qui.
Ci sarà un motivo se in tanti ci viviamo, qui, europei ed americani.

Ci sarà un motivo se Simona Pari e Simona Torretta e molti altri hanno dedicato la loro ‘meglio gioventù’ a ‘sto mondo arabo e ancora lo rifarebbero e lo rifaranno.

Dovrebbe chiederselo anche un bambino: “Ma perchè?”
Eppure no, la domanda non mi sembra all’ordine del giorno.

Orripilato dal mio resoconto su ciò che la stampa italiana va dicendo dei nostri due ex ostaggi, Jose Antonio stasera diceva: “E’ che questa gente ignorante non arriva neanche a concepire che il mondo arabo abbia in sé le qualità per essere amato.”
Mi pare molto vero.

Ieri sera la mia collega è tornata dalla Spagna (“Avevo una voglia di tornare che non ce la facevo più!”) e oggi eravamo lì che ci aggiornavamo a vicenda sulle novità; e, quando le ho tradotto le previsioni di stupro di Feltri, le è venuta la pelle d’oca per l’orrore. Non è un modo di dire: le ho visto le braccia, aveva la pelle d’oca. “Ma come possono scrivere queste cose?” Già.

Leggo da Panda che Luca Sofri considera “equilibrato” quest’editoriale di Francesco Merlo.
Lo leggo e ne deduco che l’aggettivo “equilibrato” adesso si usa, a quanto pare, per definire non un rapporto cosciente e sereno con la realtà bensì una sorta di pacato stato d’animo perfettamente in linea con un sentire comune che, della realtà, può tranquillamente fare a meno.

Nel mondo equilibrato di Merlo, due donne che operano da anni in zona di guerra – compito che richiede notevoli doti di concretezza, capacità operativa, intelligenza e conoscenza del campo – diventano due ragazzine di buon cuore e pochi lumi.
E complimenti, en passant, al declamatissimo rispetto verso le donne e la loro professionalità di noi occidentali, ché tanto paternalismo tutto assieme io non lo vedevo da parecchio.

Nel mondo di Merlo, “a nessuno, neppure a due ragazze coraggiose, è consentito di proporre il proprio mestiere come visione del mondo”.
Ma chi l’ha detto, chiedo scusa? Dov’è la norma che, Dio sa perchè, lo vieta?
E il motivo? Cos’è, concorrenza sleale nei confronti di chi parla senza sapere?

Gli esseri umani – a meno che non vivano davvero nel mondo di 1984 – non fanno altro che proporre la propria visione del mondo e, come è noto, il lavoro è spesso la principale fonte di esperienza della realtà.
Se una vive e lavora e studia in Iraq per anni, perchè non le dovrebbe essere consentito di proporre e condividire la sua esperienza e le idee che si è formata sul campo?
Chi la deve proporre, la propria visione del mondo? La gente che non lavora, coloro che parlano di argomenti su cui non hanno esperienza?
Qual è la casta autorizzata a parlare, se posso chiedere?
Nel nostro paese di tuttologi, tra l’altro.

Che io sappia, le società democratiche prevedono che, chi vuole, proponga la propria visione del mondo, con l’auspicio che tale visione si basi su una conoscenza.
La società, così arricchita, poi sceglie liberamente in quale visione del mondo identificarsi.
A me sembra un’enormità, la frase di Merlo. Altro che discorso equilibrato.

E le sciocchezze, poi.
Nel mondo di Merlo, due donne dedicano la vita a lavorare nel mondo arabo e – almeno una delle due – a studiarne lingua e cultura per poi, davanti al dono di un Corano, rispondere arrogantemente: “Lo accetto solo se tu ti leggi la Critica della Ragion Pura”.
Perchè “lì ci sono loro e qui ci siamo noi”, come se il conoscersi a vicenda passasse per uno sprezzante sbattersi in faccia i biglietti da visita culturali.
Come se avesse un senso anche minimo, una frase del genere, .
Come se, infine, l’Iraq non avesse librerie e università, bombe permettendo.
Frasi a effetto che non significano niente ma che magari, su due piedi, sembrano persino intelligenti a chi situa l’Iraq sulla Luna o giù di lì.

Non è del tutto vero che a queste due donne si stia rimproverando il fatto di essere tornate vive, di non essere state stuprate o chissà cosa. O, almeno, non è solo questo, il rimprovero.

Ciò che viene loro rimproverato è il fatto di avere fatto qualcosa per quel mondo e di avere dato ma, anche, ricevuto.
E di riconoscerlo.

E’ questa la cosa che non si vuole ascoltare, il tabù, la consegna del silenzio che vorrebbe rinchiudere i cooperanti nella gabbia dei missionari d’altri tempi, di quelli che “lo facevano per Dio” e che, per carità, tacevano su tutto ciò che era terreno.

(Che poi è una sciocchezza, visto che persino quei missionari lì qualche volta hanno parlato, hanno denunciato, hanno proposto la loro visione del mondo che, in genere, altro non era che la constatazione di quanta poca coerenza ci fosse nei valori della cultura superiore dell’epoca.
Come dire che a Bartolomé de las Casas non doveva essere consentito di fare quello che fece nel 1542, pensa un po’, e noi che crediamo di essere moderni. Come situarsi più a destra dell’Inquisizione dell’epoca, e per fortuna che Merlo è equilibrato.)

Una viene in Medio Oriente: dà e, soprattutto, riceve.
Conoscenza, esperienza, arricchimento, umanità, cultura. Consapevolezza dell’esistenza dell’altro, riconoscimento del filo che lega gli uomini e le culture.
Sono cose belle: dubito che una verrebbe qui, altrimenti.
E sono cose che è possibile amare molto: personalmente, ritengo che amarle molto, quando le si comincia a conoscere, sia inevitabile, oltre che possibile.

Ma noi stiamo basando una politica e una guerra su tutta l’arroganza che solo l’inconsapevolezza può dare: quelle due, col loro sincero rispetto verso gli iracheni in carne ed ossa, visti e conosciuti attraverso il tempo ed il lavoro, sono la cosa più destabilizzante che ci sia in circolazione al momento.

P.S. Mi fa molta paura quest’idea dei 100 euro: lo Stato è di tutti, che ai governi in carica piaccia o o no.
E chi è felice di vederle libere, queste donne, e intere nella loro esperienza e nelle loro idee, appartiene a questo Stato. Non è un alieno dignitoso che rifiuta la beneficenza.
Non è il momento di rinunciare a sostenere quest’evidenza, credo.
Eviterei di certificare idee allarmanti, sia pure attraverso un gesto che, in questo momento, ha certamente della nobiltà.
Piuttosto dateli a “Un ponte per“, i 100 euro. E’ solidarietà concreta.

Segnalo, infine, un articolo di Padellaro che è una boccata di ossigeno. Grazie ad Alberto Biraghi.