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Il Lunedì è il giorno in cui la mia vita paciosa viene sconvolta dal dovere e, invece di svegliarmi quando ho finito di dormire, cado dal letto alle 5,45 in condizioni psicofisiche variabili dal precario semplice al pessimo da ricovero, a secondo del senso di responsabilità dimostrato la sera prima.

Mi vesto da persona seria che deve andare in Alto Egitto, preparo un badile di caffè italiano (ormai Lavazza da esportazione, ché il Kimbo l’ho finito mesi fa e mi manca tanto) e accolgo le occhiaie seguite dalla collega che bussano alla mia porta verso le sei e qualcosa.
Lei mi guarda schifata mentre mi frullo la mia frutta (“Come fai a metterti un mango e una banana nello stomaco a quest’ora, non potrei mai”), io distolgo rabbrividendo il pensiero dal suo ispanico pane, olio e tacchino affumicato al posto del jamón e infine, zaino in spalla, affrontiamo l’alba cairota alla ricerca di un taxi che ci porti alla stazione di Giza, destinazione treno delle 7 per l’Alto Egitto.
Con i viveri nello zaino, ovviamente: l’acqua, i panini, i biscotti, queste cose qui. Le sigarette. Le sigarette, cielo santo.

Bene.
Tutta questa premessa per dire che domani sarà un lunedì di Ramadan.
Questo vuol dire che sul treno, con noi, ci sarà tutta gente che è andata a dormire alle 4 del mattino, se va bene. Che poi si è alzata per prendere il treno e che NON ha bevuto il caffè, come mi facevano notare l’altra sera, lascia perdere il mango e il tacchino.
E che è nello stesso stato d’animo di chi ha appena smesso di fumare.
Centinaia di persone che hanno appena smesso di fumare, tutte nello stesso treno.
Poi dicono che la gente tende ad essere un po’ irascibile, in Ramadan.

Ora: lascia stare che lo fanno perchè è bello, è il mese santo, è una festa e tutto quello che tutti sappiamo.
Tutto vero, certo, ma alle 7 del mattino è lungo, il digiuno che hai davanti. Ma lungo, proprio.
E mentre sei lì che cerchi di appisolarti, di non pensarci, di scacciare il pensiero della sigaretta e, cielo santo, di non avere sete nonostante qui sia di nuovo scoppiata l’estate, l’ultima cosa che vuoi vedere è la scena di due idiote di straniere che, accanto a te, si strafogano di cibi e bevande e poi, colmo dei colmi, si piazzano deve sarebbe pure vietato fumare, se il divieto fosse rispettato, e attaccano a fumare come ciminiere.
Non è il caso, vero?
No.

Quindi ne abbiamo discusso, io e la collega: “Come cavolo facciamo?”
E lei: “No! Me ne frego! Io sto andando a lavorare e non posso morire di fame e di sete! Berrò, mangerò e fumerò dove mi pare e, se mi dicono qualcosa, sparo!”
Io: “…”

Il fatto è che io avevo casa in Alto Egitto, all’epoca del Ramadan dell’anno scorso.
Non avevo ore di treno da fare e non ero costretta a stare fuori casa dall’alba al tramonto. Quando volevo fumare, mi sprangavo in dipartimento e non davo fastidio a nessuno.
Ora è un bel po’ diverso e sto pensando a quali stratagemmi potrei adottare.

Fare dei panini piccolissimi, per esempio: appena nessuno ti guarda tu, velocissima, fai: “Gnam!” e poi fischietti, indifferente.
Tenere la bottiglietta d’acqua in borsa, ché tanto qualche porta dietro cui infilarsi un attimo si trova sempre.
Ma è che sono le sigarette, il problema.
Io divento matta, a stare senza fumare da casa fino in Alto Egitto.
E che nessuno si sogni di suggerirmi di andare a fumare nel bagno del treno: il suggerimento è impraticabile, quanto il bagno stesso.
Insomma, non lo so. Che disastro. Vedrò.

In tutto questo, non è nemmeno detto che domani ci siano alunni: la prima settimana di Ramadan hanno la tendenza a volatilizzarsi, e posso capirli.
Finiremo presto, io e la collega, e andremo a mangiare al ristorante dove andiamo di solito e saremo le due uniche clienti, se non le uniche che mangiano in un luogo pubblico a quell’ora in tutta la città. E ci dovremo pure sbrigare perchè, se sbagliamo e facciamo tardi, becchiamo in pieno l’iftar: l’ora, cioè, in cui tutta la città digiunante fino a poco prima si riversa in massa ovunque sia pronto da mangiare e, dove prima c’era il deserto, un attimo dopo ci sarà il pienone.
Bisognerà sincronizzarsi.

Che poi le cose non sono mai come una se le immagina, anche questo va detto.
Io, l’anno scorso, non sapevo che in Ramadan smettono di servire alcolici, in quel tipo di locali, e una sera andai lì al Lotus e chiesi una birra.
Il cameriere mi fece spostare a un tavolo defilatissimo, con mio stupore, e poi tutto complice si presentò con una tazzona da caffelatte piena di birra. Un segreto tra me e lui, in pratica.
Quando l’ho raccontata a dei musulmani osservanti, questa cosa, per poco non mi sono svenuti davanti: “Ma non si fa!!! Ma era Ramadan!! E per giunta in Alto Egitto, ma roba da matti!!”
Un po’ come se uno si desse al sesso in piazza Duomo la notte di Natale, deve essere. Non so.
Questo sì che non lo faccio più, comunque. E’ che l’anno scorso non lo sapevo, che volete da me.

Insomma: questo Ramadan non l’ho ancora veramente visto, ché in questi giorni ho frequentato solo spagnoli.
Lo vedrò domani in full immersion e sono un po’ spiazzata.

Però, no, l’ho visto anche ieri notte: ero qui a casa e sono rimasta alzata fino a tardissimo. Saranno state le 4 quando mi sono messa a letto e, mentre ero lì che leggevo, ho sentito il muezzin.
Ho immaginato la gente: tutti in piedi per l’ultimo spuntino prima dell’alba e la preghiera, e mi sono alzata per affacciarmi alla finestra.
E’ stato bello: era ancora notte, ma l’aria era quella da alba in arrivo. E c’erano mille luci accese nelle case, fin dove arrivava il mio sguardo. Sembrava in festa, la mia skyline cairota. Una festa assonnata, in pigiama, pronta a spegnere la luce e dormire ancora un po’.
Era bello davvero. Inconsueto, come se tutti si fossero svegliati per caso nello stesso momento.
E non mi sembrava più nemmeno tanto tardi, quando ho spento la luce e fuori albeggiava.

Il muezzin di Dokki deve essersi comprato un megafono nuovo, a proposito: è noto che in Ramadan alzano il volume, ma lui ottiene risultati eccezionali anche rispetto all’entusiastica media cittadina. Sembra di averlo in soggiorno e “Allah Akhbar” sono le ultime parole che senti prima di addormentarti o nel dormiveglia, e nitidissime, senza i rumori del traffico che di giorno attutiscono tutto.
Lo senti e dormi.
Ormai le associo a quello, al cuscino.
Anzi, mentre lo scrivo mi sento come se fossero già le quattro, mi è venuto uno sbadiglione.
E un altro, mentre rileggo.